L’importanza dei ricordi di un esempio

Questa prima settimana del nuovo anno ha sottratto alla mia persona e all’Italia intera, la presenza, l’amicizia e la guida di Ferdinando Imposimato, Magistrato, giurista, attivista politico, strenuo difensore dei diritti umani. La sua storia è anche un pezzo della storia d’Italia, di quell’Italia coraggiosa che non molla. La sua carriera in Magistratura ha visto il raggiungimento di vette professionali di straordinaria importanza; è stato Giudice istruttore dei più importanti casi di terrorismo, tra cui il rapimento di Aldo Moro del 1978, l’attentato a papa Giovanni Paolo II del 1981, l’omicidio del vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet e dei giudici Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione. Si è occupato anche di mafia e camorra, istruendo il processo contro Michele Sindona, il banchiere legato alla mafia, e quello contro la banda della Magliana. Nel 1983 venne ucciso assassinato dalla Camorra il fratello Franco, sindacalista.

Ho avuto la fortuna di potermi definire suo amico dopo un po’ dal lontano 1985/ 1986 , di poter conoscere alcuni lati meno noti della sua personalità e posso dire che lui era proprio come appariva, coraggioso, un leone, una carattere d’eccezione : un esempio di vita. Il subire un lutto come quello che lo aveva colpito avrebbe piegato chiunque alla disperazione e alla paura, ma non lui. L’attacco nei suoi affetti più cari segnò la sua vita ed ebbe come reazione non solo la fame di giustizia, alla scoperta dei mandanti e l’obbiettivo di difendere i più deboli e le vittime innocenti delle guerre di mafia e camorra affinché nessuno avesse a soffrire e subire ancora ma anche diffondere la cultura della legalità. Ci raccomandava di non aver paura di denunciare i poteri forti, le lobby affaristiche e la camorra: osare e denunciare. Da quel momento fu strenuo combattente in difesa della legalità, in aperta battaglia contro la violenza, la corruzione e la delinquenza organizzata a cui si dedicò con tutti i mezzi a disposizione.

Grand’ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica italiana, ha ricevuto diverse onorificenze in patria e all’estero per il suo impegno civile. Attualmente si occupava della difesa dei diritti umani, ed era impegnato nel sociale. È stato inoltre scelto per il riconoscimento di “simbolo della giustizia” dall’Onu in occasione dell’Anno della Gioventù. La passione per la difesa dei più deboli si ravvisava ad occhi nudo e la trasmetteva attraverso le sue doti comunicative. Sarà stato forse un modo per sublimare il dolore ma Ferdinando aveva sviluppato proprio negli ultimi anni della sua vita grandi doti comunicative. Amava scrivere lettere ai suoi amici, a coloro che condividevano il suo pensiero, e lo faceva di suo pugno, in esse esortava senza sosta a combattere il malaffare e a vedere la riforma del sistema politico quale non dissociabile da una riforma del sistema sociale, con la reale attuazione del principio di Uguaglianza Sostanziale sancito dall’art. 3 della Costituzione. Il desiderio di comunicare ha raggiunto l’apice nell’età matura, nel corso della quale ha scritto numerosi libri, saggi di inchiesta tra i quali ricordiamo “Doveva Morire”, il libro inchiesta sulla morte di Aldo Moro; l’Errore Giudiziario, saggio giuridico e La Repubblica delle stragi impunite, che ricostruisce in chiave innovativa uno dei periodi più drammatici della Repubblica. Tutti testi di inchiesta, a testimoniare l’instancabile forza di non rassegnarsi mai dinanzi ad un verdetto o ad una chiave di lettura non rappresentativa della verità.

Alcuni di essi abbiamo avuto la fortuna di presentarli a Sorrento, nel corso di eventi e progetti di educazione alla legalità, dinanzi a platee di giovani, con i quali era capace di instaurare un rapporto comunicativo sorprendete. Tante occasioni, tanti ricordi.

Quello che ricorderò è questa sua passione instancabile, che nonostante l’età continuava a crescere anziché fermarsi dinanzi agli acciacchi dell’età e il suo esempio.

La voglia di comunicare, di arrivare fino alle nuove generazioni lo avevano spinto ad utilizzare, alla sua veneranda età, i Social network come sistema privilegiato per arrivare ai giovani, comunicazione che curava quotidianamente e personalmente.

La vita e gli impegni poi nel tempo ci hanno un po’ allontanato, ma quello che mi resterà sarà sempre il ricordo di lunghi pomeriggi trascorsi a dialogare e a confrontarci, scontrarci e a tentare di convincerci, con ammirazione e rispetto reciproco, e con fare paterno da parte sua, quel fare che solo l’esperienza e la consapevolezza sanno dare.

E tutte le cose non dette, le occasioni in cui si poteva stare insieme e si è rimandato, le opportunità di confronto non colte per qualche risentimento inevitabile in un rapporto importante…li lascio al tempo, alla storia e al valore dei ricordi. Perché come scrive Susanna Tamaro ”E’ il ricordo che costituisce l’essere umano, che lo situa nella storia ‐ nella sua personale e in quella più grande del mondo che gli sta intorno ‐ e le parole sono le tracce che lasciamo dietro di noi.

Rosario Fiorentino

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