Giornata mondiale degli Oceani: 5 eroi del mare che lottano per la salute di tutti

 

Dal gelido splendore dell’Artico alle nere profondità della fossa dell’oceano Mariana, i rifiuti di plastica minacciano i nostri mari, uccidendo la fauna selvatica e inquinando la catena alimentare. 

«I fatti sono innegabili – dice l’United Nations environment programme (Unep) – ogni anno più di 8 milioni di tonnellate di plastica entrano nei nostri oceani. 

Secondo una stima, entro la metà di questo secolo il 99% degli uccelli marini avrà ingerito la plastica.

È un’immagine che fa riflettere, ma lavorando insieme possiamo cambiare questa narrazione».

L’Unep  sottolinea che «possiamo trarre ispirazione dalle persone che in tutto il mondo che stanno facendo tutto il possibile per arginare la marea tossica e difendere cambiamenti a lungo termine che ridefiniranno in modo permanente la nostra relazione con la plastica» e per celebrare la Giornata mondiale degli oceani, indica come esempi alcune persone straordinarie che stanno combattendo battaglie per i nostri mari.

Tiza Mafira: fare guerra ai sacchetti di plastica in Indonesia.  

Tiza Mafira, avvocato e direttrice dell’ Indonesia Plastic Bag Diet Movement  è la leader di una prolungata campagna per vietare i sacchetti di plastica monouso nel suo Paese. 

Nel 2015 la sua organizzazione ha lanciato una petizione chiedendo ai rivenditori di non distribuire più gratuitamente i sacchetti di plastica. 

Nel 2016 l’Indonesia ha introdotta una sperimentazione nazionale di una tassa sui sacchetti di plastica. 

Dopo 6  mesi c’era già una riduzione del 55% nell’uso dei sacchetti di plastica. 

Diverse province  indonesiane hanno iniziato a preparare regolamenti e due città hanno bandito i sacchetti di plastica nei moderni negozi al dettaglio.

Anche se il problema della plastica può sembrare insormontabile, Mafira non perde la speranza ed è convinta che, in definitiva, la soluzione sia semplice: «La plastica è una cosa così tangibile. 

È visibile, la usi tutti i giorni, la vedi e puoi testimoniare l’enorme volume della sua distruzione nell’ambiente. 

Questo non è qualcosa che puoi negare … In quanto tale, i percorsi per fermare la distruzione sono molto più chiari, non più facili, ma più chiari. 

Puoi vietarla dove non è necessaria o cambiarla in materiale compostabile. 

Questa semplicità mi dà speranza e, per lo meno, mi dà una visione chiara di cosa combattere».

Mafira fa anche campagne per “Città a rifiuti zero”, nelle quali ogni singolo pezzo di spazzatura biodegradabile in natura rientri in circolo per  tornare a diventare una materia prima per la produzione.

È cautamente ottimista sul fatto che «si possano compiere ulteriori progressi per ridurre l’uso eccessivo di plastica in Indonesia», il secondo più grande contributore all’inquinamento di marino da plastica dopo la Cina.

«Sono ottimista – spiega all’Unep – perché dei progressi sono già stati fatti e cauta perché il cambiamento sembra essere sempre più imminente, più gruppi di interesse tentano lottare».

Ormai la plastica che finisce in mare proviene in maggior parte dalla pessima gestione dei rifiuti da parte dei Paesi più poveri, molti dei quali asiatici,  ma Mafira è convinta che «non aiuta quando i Paesi sviluppati promuovono come unica risposta delle soluzioni tecnologiche.

La tecnologia è costosa, contestuale e non funziona indipendentemente dalla filiera dei rifiuti. 

Le politiche di riduzione della plastica dovrebbero essere ancora una priorità, insieme alla definizione della catena di approvvigionamento dei rifiuti, per garantire che i rifiuti non finiscano nei corsi d’acqua.

I Paesi sviluppati devono dare l’esempio e richiedere alle loro multinazionali di fare lo stesso ovunque operino».

A Mafira piace che punta a uno stile di vita zero-waste: «Non posso nominare una sola persona perché ce ne sono diverse e ora il numero è in aumento. Mi danno l’ispirazione che questo sia effettivamente fattibile, anche se inizi con te stesso».

Afroz Shah: l’uomo dietro la pulizia della spiaggia più grande del mondo. 

L’attivista indiano froz Shah è più conosciuto per il suo lavoro di pulizia della spiaggia di Versova a Mumbai, ma la sua battaglia contro l’inquinamento marino da plastica è molto più esteso: ogni settimana, lui e il suo gruppo di volontari ripuliscono le spiagge e le paludi di mangrovie e visitano le scuole per far capire ai bambini il perché di quello che fanno. 

Un altro elemento chiave del piano d’azione di cinque punti di Shah è il suo lavoro tra la popolazione di 50.000 persone di due insediamenti sulla spiaggia – quelle che chiama zone di conflitto uomo-oceano – per educarli sugli effetti devastanti dei rifiuti di plastica e trasformarli in comunità zero-waste.

La chiave della sua strategia è la sua convinzione dell’importanza di cambiare mentalità: «Il problema non è la plastica.

Il problema è la nostra empatia nei confronti della plastica o di come gestiamo la plastica».

Shah, che nel 2016 è stato insignito dall’Onu dell’onorificenza Champions of the Earth,  ritiene che «i divieti sulla plastica non potranno essere efficaci se non viene cambiata la mentalità delle persone.

Quello che dobbiamo vietare è ciò che è nelle nostre teste e nei nostri cuori: la nostra empatia nei confronti della plastica, la nostra disconnessione con la natura, la nostra disconnessione dall’oceano. 

Ci sono un sacco di leggi, politiche e regolamenti che regolamentano l’utilizzo e l’uso improprio della plastica, ma dobbiamo chiederci: questa legge o questa politica cambierà i cuori e le menti delle persone?»

L’avventura di Shah è iniziata nel 2015, quando andò ad abitare in un appartamento di fronte alla spiaggia di Versova e rimase scioccato dai cumuli di plastica che ricoprivano letteralmente l’arenile. 

Sentì che doveva fare qualcosa e così, con il suo vicino di casa iniziò a raccogliere la spazzatura. 

Subito venne preso in giro, poi arrivarono altre persone e il suo gesto che era sembrato disperato si trasformò nella più grande pulizia di una spiaggia avvenuto al mondo, con decine di volontari al lavoro ogni fine settimana negli ultimi anni che hanno trasformato una discarica costiera in una spiaggia pulita dove, dopo decenni, sono tornate a nidificare e a nascere le tartarughe marine.

Durante i lunghi mesi di lavoro massacrante, Shah è stato aiutato dagli abitanti delle baraccopoli, da stelle di Bollywood, da diplomatici e politici stranieri. 

Finora, i volontari hanno rimosso circa 15.000  tonnellate di rifiuti da una spiaggia lunga 2,5 Km.

Shah sostiene che «i rifiuti marini sono un problema complesso che richiede l’intervento di cittadini e governi, nonché de produttori di plastica: la narrativa non dovrebbe essere noi contro di loro. 

La domanda è: possiamo lavorare tutti insieme? 

La protezione dell’ambiente è molto complessa. 

Non si tratta di un rimedio contro un altro rimedio».

Quel che è certo è che l’esempio di Shah ha ispirato altri a lanciare crociate anti-litter: ad aprile centinaia di volontari hanno partecipato alla pulizia della spiaggia di Dadar, sempre a Mumbai, accogliendo l’appello di Aaditya Thackeray, il leader del partito induista di estrema destra Shiv Sena e dell’attrice Dia Mirza.

Hugo Tagholm: lotta per spiagge più pulite con i Surfers Against Sewage. 

La passione di Tagholm per la pulizia delle spiaggia è nata da ragazzo, quando con suo padre e suo fratello setacciava le rive del Tamigi alla ricerca di tesori sepolti. 

Appassionato surfista e ambientalista, è entrato a far parte di Surfers Against Sewage nel 1991 e ha assistito all’evoluzione dell’ONG che da un gruppo di pressione che aveva come unico scopo la qualità dell’acqua,  è diventata una delle più famose Associazioni del Regno Unito che si occupano di salvaguardia marina. 

Ora Surfers Against Sewage ha più di 350.000 sostenitori e ogni anno mobilita circa 50.000 volontari, che passano circa 150.000 ore a ripulire le spiagge britanniche.

Tagholm è diventato amministratore delegato di Surfers Against Sewage nel 2008 per sviluppare le sue politiche sulle minacce ambientali più pressanti: l’inquinamento da plastica e il cambiamento climatico e ora dice che «siamo ad un punto critico in cui la società sta ridefinendo il suo rapporto con la plastica.

Il consenso è sul fatto che non possiamo continuare ad usare la plastica come facciamo oggi. 

Le prove ci stanno intorno ogni giorno sulle nostre strade cittadine, nelle campagne e sulle nostre spiagge. 

Credo che il movimento comunitario stia crescendo così rapidamente che le imprese e i governi ora devono adattarsi.

Ridurre l’uso della plastica vergine o passare al plastic-free deve essere riconosciuto come un vantaggio di mercato e un voto vincente.

Altrimenti le aziende, i governi perderanno il potere. 

Ma siamo tutti insieme: questa è una convergenza di individui, imprese e stato, che devono collaborare per ridurre il peso dell’inquinamento da plastica sul pianeta».

Surfers Against Sewage ha condotto nel Regno Unito una campagna per una tassa di 5 pence, fatta propria dal governo che ha portato a una drastica riduzione del numero dei sacchetti di plastica  trovati nei mari della Gran Bretagna. 

L’associazione sta anche chiedendo anche la cauzione sui contenitori di bevande, una proposta che il governo conservatore sta prendendo in considerazione.

Ora l’ONG dei Surfers ha lanciato la nuova campagna: Plastic Free Communities, un’iniziativa internazionale che punta a incoraggiare le persone, le imprese e i governi locali a ridurre la loro impronta plastica collettiva. 

Centinaia di comunità ci stanno già lavorando e si sono impegnate a eliminare imballaggi e prodotti in plastica monouso per disaccoppiarsi dalle plastiche usa e getta. 

A Surfers Against Sewage sono convinti che alla fine questa iniziativa potrebbe raggiungere oltre 19 milioni di persone.

Nonostante la portata del problema della plastica, Tagholm crede che la rivoluzione sia appena cominciata: «I livelli di attività globali mi ispirano ogni giorno, quando vengono introdotti nuovi divieti per le plastiche evitabili, vengono lanciate plastic free communities e il businesses  innova con nuove soluzioni senza plastica. 

Le persone vogliono un cambiamento. 

L’elettorato vuole il cambiamento».

Sasina Kaudelka: attivismo di base sulle spiagge della Thailandia. 

Nel 2015, Sasina Kaudelka è stata tra le fondatrici dell’ Ao Nang chapter di Trash Hero, il movimento globale che lavora per riunire le comunità per pulire e ridurre i rifiuti ed educare la prossima generazione e creare programmi a lungo termine per aiutare le persone a gestire la loro spazzatura.

Ogni settimana, Sasina e volontari locali si incontrano per ripulire le spiagge di Ao Nang e del fiume vicino alla città di Krabi. 

«Adoro l’idea e l’approccio di Trash Hero. Krabi è la mia casa. 

Per me, è importante riunire la comunità, non creare divisioni. 

Si tratta di connettersi con persone che la pensano allo stesso modo, di provare a fare un cambiamento. 

E’ importante anche mostrare ai nostri bambini un modo migliore di prendersi cura della natura».

Nel 2016, Trash Hero Thailand ha vinto il Green Green Award per il suo eccezionale contributo al turismo verde. 

Per Kaudelka, «la forza del mio gruppo sta nella motivazione personale della gente ad essere il cambiamento che vogliono vedere.

Le persone che si uniscono alle nostre pulizie vogliono fare la differenza, agire, farlo avvenire con le nostre mani … Motiviamo le persone con la nostra positività dato che non incolpiamo nessuno, non c’è un dito puntato. 

Lo facciamo perché ci fa sentire bene con noi stessi, per restituire qualcosa alla natura».

Si stima che in Thailandia nel 2016 siano finite in mare circa 2,8 milioni di tonnellate di spazzatura nel 2016 e il 12% era plastica. 

Il governo ha una strategia ventennale per affrontare il problema che prevede anche incentivi finanziari per tenere la plastica lontana dal mare.

Kaudelka pensa che il cambiamento stia arrivando: «E’ un grosso problema che le persone non possono più ignorare. 

Nel sud-est asiatico abbiamo oltre 50 gruppi che sono partiti spontaneamente da gente del posto che vuole ambiare e vediamo molti altri gruppi simili che lavorano per fare pressione sul governo e sull’industria perché agiscano. 

Sento che ci stiamo avvicinando ad un punto di svolta in cui la società finalmente dirà “basta!”».

Stiv Wilson: sfruttare il potere delle storie per cambiare la narrazione sulla plastica. 

Stiv Wilson è da molto tempo un ambientalista che difende gli oceani e ritiene che il segreto del successo risieda nell’azione collettiva: «Molte delle nostre comunità hanno capito che per cambiare il mondo dobbiamo cambiare i sistemi che lo inquinano. 

E questo significa non chiedere “cosa posso fare” ma chiedersi molto di più “cosa possiamo fare”. 

L’azione collettiva è il modo in cui vinciamo».

Ora, Wilson sta lavorando a The Story of Stuff Project,  ma in precedenza ha guidato una campagna statunitense contro microsfere di plastica e sta anche facendo pressione perché la California approvi un disegno di legge che richieda l’etichettatura dei capi di abbigliamento che superano il 50% di poliestere per arginare l’afflusso di microfibre nei corsi d’acqua e negli oceani.

Il progetto Story of Stuff, che è partito da un documentario del 2007 della fondatrice Annie Leonard che esamina la cultura del consumo, ora ha una comunità globale di circa un milione di membri o changemakers che comprendono genitori, leader di comunità, insegnanti, studenti e scienziati, tutti impegnati a creare un mondo più sano e più giusto.

Wilson ha visto in prima persona gli effetti dell’inquinamento plastico: come vicedirettore dell’ONG 5Gyres, ha navigato per oltre 35.000 miglia nautiche in quattro dei cinque vortici di rifiuti oceanici per documentare l’inquinamento marino da plastica e ora sta viaggiando di nuovo in tutto il mondo alla ricerca di soluzioni locali per l’inquinamento e per girare il film “The Story of Plastic”. 

L’ambientalista statunitense è convinto  che per trovare soluzioni durature per il nostro consumo eccessivo di plastica monouso bisogna sfruttare le conoscenze locali: «Stiamo dando voce al pensiero di leader di che hanno soluzioni attuabili e la capacità per implementarle.

Questo problema è risolvibile solo se ascoltiamo le persone giuste, le voci che non sono ascoltate sulla scena mondiale. 

Il nostro film sarà una roadmap per creare il mondo che vogliamo … Abbiamo solo bisogno di mobilitare risorse per entità diverse e creeremo la forza necessaria per il cambiamento».

Per Wilson, l’attivismo ambientale è un problema intensamente personale: «Alla fine, lottiamo per le persone accanto a noi, le persone a cui teniamo, tutti gli esseri viventi e il mondo naturale che calma i nostri sensi. 

Non posso fare altro … Continuo a farlo, continuo a battermi contro il complesso industriale attuale  perché deve semplicemente cambiare».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo l’8 giugno 2018 sul sito online “greenreport.it”)

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