I partiti prima della politica. Come cambiano le opinioni sul cambiamento climatico

 

Che la politica sia sempre più ridotta a tifo lo vediamo ogni giorno anche in Italia dove, appena arrivati al governo (o tornati all’opposizione) per i partiti sembra giustificabile ciò che prima era ingiustificabile, e ingiustificabile ciò che prima si sarebbe fatto ben volentieri. 

Gli esempi si sprecano – dall’immigrazione al Tap e alla Tav o alla giustizia – ma in aiuto per decifrare il perché di questo spirito di parte nonostante tutto (anche i tradimenti di fresche promesse elettorali) viene uno studio effettuato nel Paese nel quale la radicalizzazione tra destra e “progressisti” si è acuita più rapidamente: gli Usa di Donald Trump.

Sono dati che ci parlano anche di noi, di come l’appartenenza a forze politiche che – paradossalmente – sono più liquide, indefinite e a-ideologiche o post-ideologiche che mai superi il discorso politico, e renda difficilissimo trovare una sintesi (che spesso non si vuole proprio trovare).

Gli scienziati dell’Università della Californa – Santa Barbara  (Ucsb) e dell’Università del Colorado – Boulder  hanno pubblicato su Perspectives on Psychological Science un nuovo studio, “Psychological Barriers to Bipartisan Public Support for Climate Policy”, indagando quanto distanti siano le opinioni di repubblicani e democratici quando si tratta di cambiamenti climatici. 

La sorpresa è che «a quanto pare non sono molto lontane. 

Ma sono troppo concentrati sul loro partito per notarlo».

Interrogando 2.000 adulti il team statunitense ha scoperto che, oltrepassando le divisioni di partito, «c’è un accordo generale sul fatto che il cambiamento climatico è reale, che è causato dall’attività umana e che si dovrebbe fare qualcosa per mitigarlo».

Ma lo studio rivela anche che «le persone sono più propense a sostenere una stessa proposta di politica climatica quando pensano che il proprio partito politico la sostenga» e che «sia i democratici che i repubblicani sopravvalutano quanto i loro avversari si oppongano alle idee dell’altro partito».

Uno degli autori dello studio, David Sherman del department of Psychological and brain sciences dell’Ucsb, spiega che «i cittadini democratici e repubblicani valutano allo stesso modo una carbon tax o una politica cap and trade basandosi su chi l’ha proposta: al di sopra e al di là di quel che pensano loro sui dettagli della politica, o sul fatto che sia coerente con le loro convinzioni sull’importanza del cambiamento climatico.

Lo fanno nonostante affermino che le considerazioni politiche dovrebbero essere più importanti della partigianeria».

Il principale autore dello studio, Leaf Van Boven del department of psychology and neuroscience dell’UC – Boulder, aggiunge: «Abbiamo scoperto che le persone si adeguano regolarmente alla posizione del partito andando, e sono in disaccordo per il solo motivo di non andare d’accordo».

Per il loro progetto, Sherman, Van Boven e l’altro autore Phil Ehret, che ha appena completato il suo dottorato in psicologia sociale presso l’Uscb, hanno cercato di esplorare «le ragioni psicologiche che spieghino perché – nonostante gli avvertimenti sugli impatti economici, sociali e umanitari dei cambiamenti climatici – i legislatori statunitensi devono ancora mettere in atto una politica nazionale».

Studi precedenti e il senso politico comune suggerivano che ciò fosse dovuto principalmente al fatto che la maggior parte dei repubblicani è scettica riguardo ai cambiamenti climatici.

Così i ricercatori hanno condotto due studi nel 2014 e nel 2016 con diversi gruppi nazionali composti da oltre 2.000 statunitensi adulti, chiedendo loro: “I cambiamenti climatici stanno avvenendo? 

Rappresentano un rischio per l’umanità? 

L’attività antropica ne è responsabile? 

E la riduzione delle emissioni di gas serra può ridurre i cambiamenti climatici?”.

Ne è venuto fuori che il 66% dei repubblicani, il 74% degli indipendenti e il 90% dei democratici credono nei cambiamenti climatici causati dall’uomo e sull’utilità di ridurre i gas serra.

Van Boven fa notare che «poco prima delle elezioni presidenziali, la maggior parte dei repubblicani che ha votato per Trump, che ha definito il cambiamento climatico una “bufala”, hanno comunque espresso la loro convinzione sul cambiamento climatico».

Nello studio del 2014, gli stessi ricercatori hanno mostrato ai partecipanti  la proposta di due politiche climatiche: una era il cap-and-trade che storicamente è stato sostenuto dai democratici, l’altra altra era una revenue-neutral carbon tax basata sulle politiche recentemente sostenute dai repubblicani. 

Ai partecipanti è stato detto che il 95% dei repubblicani e il 10% dei democratici sostenevano l’una o l’atra politica o viceversa.

Il risultato è che «indipendentemente dal contenuto, i democratici hanno sostenuto più fortemente le politiche dei democratici, e i repubblicani hanno sostenuto più fortemente le politiche dei repubblicani». 

Ehret  commenta: «Se vuoi sapere chi sosterrà una politica climatica, guarda solo quale partito politico la sostiene: la sola convinzione sull’esistenza del cambiamento climatico non è l’intera storia».

In un altro studio correlato, “Partisan Barriers to Bipartisanship. Understanding Climate Policy Polarization”, pubblicato su Social Psychological and Personality Science, gli stessi autori hanno testato le reazioni di 500 persone utilizzato letteralmente (ma senza rivelare la fonte ) una proposta sui cambiamenti climatici che faceva parte del referendum I-732 tenutosi nello Stato di Washington nel 2016.

Ne è venuto fuori che democratici e repubblicani appoggiavano o si opponevano alla proposta nello stesso modo, con risultati simili.

Cosa che naturalmente non si è verificata nel voto reale nello Stato di Washington, uno dei più progressisti degli Usa.

Sherman fa notare che «inoltre, le persone prevedono che gli altri, i loro concittadini repubblicani e democratici, saranno ancora più polarizzati e influenzati dal partito politico di quanto non lo siano realmente.

Questo crea una falsa norma di consenso e unanimità all’interno di ogni partito facendo sì che, ad esempio, i repubblicani respingeranno qualsiasi politica proposta dai democratici. 

Questa percezione dell’unanimità all’interno del partito rende molto difficile oltrepassare l’allineamento».

Vi ricorda qualcosa?

I ricercatori hanno anche intervistato quattro parlamentari del Congresso Usa in pensione che hanno lavorato sulle questioni ambientali: i repubblicani Mickey Edwards e Robert Inglis e i democratici David Skaggs e Tim Wirth, e i quattro hanno detto che «mentre il cambiamento climatico è diventato strettamente associato ai democratici, il disaccordo tra i repubblicani è aumentato».

Nella sua intervista Wirth spiega: «Se fossi stato interessato a sostenere la lotta contro il cambiamento climatico, questo avrebbe significato essere interessato a sostenere Al Gore. Nessuno vuole essere un anomalo, nessuno».

Secondo i ricercatori, «questa sfiducia verso l’altra parte, combinata con la falsa supposizione che le due parti siano nettamente in disaccordo, ha reso difficile guadagnare terreno alle buone idee bipartisan».

Sherman conclude: «Una delle intuizioni fondamentali della psicologia sociale è l’influenza poco apprezzata delle norme sociali, e che le azioni sono determinate più dalla percezione delle norme che dalle norme attuali.

Per i legislatori e gli elettori è di fondamentale importanza essere informati su ciò che gli altri pensano effettivamente su questioni ambientali come il cambiamento climatico.

Ci sono molte ragioni per cui i media si concentrano sulle differenze tra i partiti, ma il nostro lavoro dimostra perché è importante sottolineare questo forte consenso e il consenso ancora più forte tra i cittadini che dovrebbero valutare le politiche nei loro dettagli e in merito al loro impatto e capacità di affrontare i problemi, non in base a quale partito le propone».

 

(Articolo di Umberto Mazzantini, pubblicato con questo titolo il 27 luglio 2018 sul sito on line “greenreport.it”)

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