Se vince la destra, il Brasile uscirà dall’Accordo di Parigi

 

Il risultato delle elezioni presidenziali di ottobre in Brasile è imprevedibile: se è vero che l’ex presidente socialista Luiz Inácio Lula da Silva, del Partido dos Trabalhadores è in testa in tutti i sondaggi, è anche vero che “Lula” è in prigione con l’accusa di corruzione e che la sua candidatura potrebbe essere annullata da un  tribunale, lasciando campo libero agli altri avversari e in particolare a Jair Bolsonaro del Partido Social Liberal  (Psl – destra), un reazionario e un pericoloso negazionista climatico.

Infatti, come spiega la vicedirettrice di Climate Home News Megan Darby, fin dall’avvio della sua campagna elettorale e poi in diverse interviste, Bolsonaro ha dichiarato che si unirà agli Stati Uniti di Donald Trump e si ritirerà dal patto di Parigi.

Una presa di posizione che ha preoccupato molto il capo dell’United Nations environment programme (Unep) Erik Solheim che, respingendo le argomentazioni di Bolsonaro ha sottolineato su Climate Home News che «l’azione contro il cambiamento climatico creerebbe economie più sane e più ricche.

Un rifiuto dell’Accordo di Parigi è un rifiuto della scienza e dei fatti.

E’ anche una falsa promessa, perché i politici che presentano l’azione climatica come un costo per la società hanno sbagliato tutto».

Eppure il 9 agosto il governo di centro-destra del Brasile (lo stesso che ha messo in atto il golpe istituzionale per defenestrare la ex presidente Dilma Vana Rousseff e che ha fatto di tutto per mandare in galera Lula) ha dichiaratoche il Paese ha raggiunto tre anni prima l’obiettivo per le emissioni forestali del 2020 e Thiago Mendes, segretario per i cambiamenti climatici nel ministero dell’ambiente, ha detto alla Reuters: «Il messaggio politico è che possiamo e dobbiamo rimanere nell’Accordo di Parigi (perché) è possibile attuare efficacemente gli impegni che sono stati presi».

Ma Bolsonaro, che pure è stato un grande sostenitore del golpe e, se diventasse presidente, il ritiro dall’Accordo di Parigi di uno dei più importanti Paesi emergenti e che ospita la più grande foresta pluviale del mondo, darebbe un duro colpo alla cooperazione internazionale sul clima. 

Inoltre, il Brasile dovrebbe ospitare nel 2019 la Conferenza delle Parti dell’United Nations framework convention on climate change, ma da Brasilia – in attesa delle elezioni – non arriva nessuna conferma.

Secondo diversi esperti in realtà quelle di Bolsonaro sarebbero minacce elettorali a vuoto per galvanizzare il suo elettorato reazionario di fazendeiros, industriali delle miniere e agroindustria che sognano di poter avere le mani libere e spianare l’Amazzonia e le terre indigene.

André Guimarães, a capo dell’Instituto de Pesquisa Ambiental da Amazônia (Ipam), fa notare che «a differenza degli Stati Uniti, il Brasile ha ratificato l’Accordo di Parigi attraverso il suo congresso.

Onestamente, penso che ci siano ben poche possibilità che avvenga [il ritiro].

La mia ipotesi è che anche se Bolsonaro vincesse e volesse cambiare l’accordo, non sarà un compito facile».

Guimarães  ha citato lo studio “The impact of Amazonian deforestation on Amazon basin rainfall”, pubblicato nel novembre 2015 su Geophysical Research Letters, secondo il quale la deforestazione dell’Amazzonia potrebbe far cambiare il modello delle precipitazioni e quindi avere pesanti ripercussioni sull’agricoltura e l’allevamento del bestiame e ha aggiunto: «L’azione climatica è nell’interesse nazionale. Fermare la deforestazione è un buon affare per il Brasile, non solo per gli ambientalisti».

In realtà, Bolsonaro non ha mai spiegato bene ai suoi elettori perché si oppone all’Accordo di Parigi, ma un anno fa condivise Bolsonaro ha condiviso un’intervista di Ricardo Felicio, un noto negazionista climatico brasiliano, un geografo che contesta la fisica di base dell’effetto serra.

Il 2 giugno 2017, il giorno dopo che Trump annunciò to la sua intenzione di abbandonare l’Accordo di Parigi, Bolsonoro condivise un articolo pubblicato da Flavio Quintela sulla Gazeta do Povo.com, intitolato “Fábulas de estufa”,  in difesa della decisione del presidente Usa.

I tre figli maggiori di Bolsonaro, tutti deputati o amministratori pubblici, sono stati più espliciti sulla questione.

A gennaio Eduardo, deputato federale dello Stato di São Paulo, ha pubblicato un video nel quale definisce l’Accordo di Parigi «una cospirazione globalista» e, parlando agli accaldati brasiliani da un’area innevata degli Stati Uniti ha detto: «Vedete, non ha alcun senso».

Il 6 agosto è stata pubblicata una foto che rivela l’incontro avvenuto a New York tra Eduardo Bolsonaro e l’ex consigliere di Trump e propagandista di estrema destra Steve Bannon che, prima di essere cacciato dalla Casa Bianca, è stato  uno dei più forti d sostenitori nello staff di Trump dell’uscita degli Usa dall’Accordo di Parigi.

Carlos Bolsonaro, consigliere comunale a Rio de Janeiro, ha detto che il cambiamento climatico è «un’agenda di sinistra» e nel 2016 ha fatto scalpore un suo tweet nel quale affermava – contro ogni evidenza – che il mondo si sta raffreddando.

Per non essere da meno, il terzo figlio, Flavio, anche lui deputato federale ma di Rio de Janeiro, ha definito il riscaldamento globale «una frode».

Questa dinastia di politicanti fascistoidi legati a doppio filo con l’agroindustria rischia di mettere il  Brasile nelle condizioni di dover affrontare una dura pressione internazionale per contrastare la deforestazione, in particolare da parte della Norvegia, il cui governo di centro-destra sostiene gli sforzi di protezione delle foreste attraverso l’Amazon Fund e che  nel 2017 aveva già dimezzato il pagamento dei finanziamenti a 35 milioni di dollari, dicendo che il governo conservatore paragolpista brasiliano aveva conseguito  risultati molto più mediocri di quelli che vanta. Secondo l’Instituto do Homem e Meio Ambiente da Amazônia (Imazon) nel 2016 e 2017 il Brasile ha registrato i suoi più alti tassi di abbattimento di alberi dall’inizio di questo secolo e il suo “Boletim Do Desmatamento Da Amazônia Legal (Junho 2018) SAD” dimostra che a giugno si è toccato un ulteriore picco della deforestazione.

Nonostante giuri fedeltà all’Accordo di Parigi, l’attuale governo del presidente Michel Temer ha  ceduto a ogni richiesta dalla lobby della carne, riducendo le protezioni delle foreste e delle terre indigene per consentire l’espansione di allevamenti di bestiame, piantagioni di soia e miniere.

A luglio 10 noti scienziati hanno pubblicato su Nature Climate Change  lo studio “The threat of political bargaining to climate mitigation in Brazil” nel quale avvertono che le politiche del governo hanno messo a repentaglio gli obiettivi climatici del Brasile: «L’abbandono delle politiche di controllo della deforestazione e il sostegno politico alle pratiche agricole predatorie rendono impossibile raggiungere obiettivi coerenti con il contributo del Brasile per un mondo che non superi i 2° C».

Secondo la classifica di Climate Action Tracker sul rispetto degli obiettivi di Parigi,  in realtà l’obiettivo del 2020, che il governo di Brasilia sbandiera come una vittoria anticipata, era stato sostanzialmente già raggiunto nel 2012, essendo stato indebolito gonfiando artificialmente il reale impatto dello scenario “business as usual”.

L’analista climatica Paola Parra fa notare che, in base alle attuali tendenze, «le prospettive per raggiungere gli obiettivi più severi per il  2030 sono scarse. Il futuro non sembra fantastico per la deforestazione».

Guimarães  è d’accordo: «E’ molto facile giocare con i numeri.

A un certo punto del futuro, la sfida per il Brasile sarà quella di fermare la deforestazione».

Anche per questo la  Coalizão Brasil Clima, Florestas e Agricultura, composta da oltre 170 rappresentanti dell’agrobusiness, dell’ambiente e del clima ha presentato ai principali candidati alla presidenza del Brasile un documento con 28 proposte e il cui punto di partenza è che «è possibile e urgente conciliare la produzione agricola e la conservazione ambientale».

Guimarães, che è anche co-facilitatore della Coalizão Brasil Clima, Florestas e Agricultura, conclude: «I produttori e gli imprenditori più moderni lo hanno capito. 

Così abbiamo deciso di sederci al tavolo e trovare un accordo».

Ma sarà difficile che il negazionista climatico e trumpista Bolsonaro legga il documento e ne accetti i saggi consigli.

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 16 agosto 2018 sul sito online “greenreport.it”)

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