Secondo lo studio “Ambient PM2.5 Reduces Global and Regional Life Expectancy”, pubblicato su Environmental Science & Technology Letters da un team di ricercatori statunitensi, canadesi e britannici, «l’inquinamento atmosferico accorcia le vite umane di oltre un anno», mentre «una migliore qualità dell’aria potrebbe portare ad un’estensione significativa della durata della vita in tutto il mondo».
I ricercatori del Department of civil, architectural and environmental engineering dell’università del Texas – Austin che hanno guidato il team di scienziati evidenziano che «questa è la prima volta che i dati sull’inquinamento atmosferico e sulla durata della vita sono stati studiati insieme, al fine di esaminare le variazioni globali nel modo in cui influiscono sull’aspettativa di vita complessiva».
Per questo è stato esaminato l’inquinamento da particolato (PM) inferiore a 2,5 micron dell’aria esterna e all’università del Texas spiegano che «queste particelle fini possono entrare in profondità nei polmoni e respirare PM2.5 è associato ad un aumento del rischio di attacchi cardiaci, ictus, malattie respiratorie e cancro. L’inquinamento PM2.5 proviene da centrali elettriche, auto e camion, incendi, agricoltura ed emissioni industriali. »
Il principale autore dello studio, Joshua Apte della Cockrell school of engineering dell’università del Texas- Austin, spiega a sua volta che «il team ha utilizzato i dati dello studio Global Burden of Disease per misurare l’esposizione all’inquinamento atmosferico da PM2.5 e le sue conseguenze in 185 Paesi.
Hanno quindi quantificato l’impatto nazionale sull’aspettativa di vita per ogni singolo Paese e a livello globale» e in Italia le polveri sottili ci rubano 4 mesi di aspettativa di vita.
Sono messi molto peggio paesi come due anni di vita Egitto e Niger, dove il PM2,5 accorcia la vita in media di 2 anni, o India, Pakistan e Arabia Saudita con un anno e mezzo, il poverissimo Burkina Faso con 16 mesi, più dell’inquinata e industrializzata CIna con 15 mesi in Cina.
Ma è chiaro che le polveri sottili colpiscono di più nei paesi desertici o del Sahel.
Sia petroliferi che quelli che consumano ancora carburanti molto sporchi: in Senegal, Ghana, Guinea, Costa d’Avorio, Libia, Siria e Qatar l’aspettativa di vita si riduce più della media mondiale.
Apte sottolinea che «il fatto che l’inquinamento atmosferico da particolato fine sia un grande killer globale era già noto e a tutti noi interessa quanto a lungo viviamo.
Qui, siamo stati in grado di identificare sistematicamente come l’inquinamento atmosferico accorcia notevolmente le vite in tutto il mondo.
Quello che abbiamo scoperto è che l’inquinamento atmosferico ha un grande effetto sulla sopravvivenza; un anno in tutto il mondo.
Nel contesto di altri fenomeni significativi che influenzano negativamente i tassi di sopravvivenza umana, questo è un grande numero.
Ad esempio, è considerevolmente più grande del beneficio in termini di sopravvivenza che potremmo vedere se trovassimo sia le cure per il cancro al polmone che al seno.
In Paesi come l’India e la Cina, il beneficio di un miglioramento dell’aria sarebbe particolarmente grande per gli anziani: per gran parte dell’Asia, se l’inquinamento atmosferico fosse rimosso come rischio di morte, i 60enni avrebbero dal un 15 al 20% di possibilità in più di vivere oltre gli 85 anni».
Secondo Apte e il suo team «questa scoperta è particolarmente importante per il contesto che fornisce.
Un conteggio dei morti che dice che 90.000 americani o 1,1 milioni di indiani muoiono ogni anno per l’inquinamento atmosferico è qualcosa di grande ma che non si vede.
Dicendo che, in media, una popolazione vive un anno in meno rispetto a quella che farebbe altrimenti, è qualcosa con cui ci si può relativamente relazionare».
(Articolo pubblicato con questo titolo il 24 agosto 2018 sul sito online “greenreport.it”)