Se la città può essere considerata un essere vivente, certamente l’acqua è il suo sangue: l’acqua attraversa le innumerevoli vene e arterie del corpo urbano per svolgere la sua funzione di apporto di vita e di smaltimento delle scorie e dei rifiuti. Ogni abitante della città trova l’acqua, apparentemente in quantità illimitata, aprendo un rubinetto: il suo prezzo è quasi irrilevante, nel gran fiume delle spese domestiche. Ma da dove viene e dove va quest’acqua, dieci miliardi di tonnellate all’anno, da 100 a 300 tonnellate all’anno per ogni cittadino? Immaginiamo di infilarci dentro il rubinetto e di risalire, contro corrente, il moto dell’acqua: ci ritroveremmo, prima o poi, in qualche serbatoio o deposito, alimentato da altri tubi provenienti da qualche sorgente o lago, naturale o artificiale, le vere fonti naturali dell’acqua. Prima di arrivare nel nostro rubinetto l’acqua delle sorgenti o dei serbatoi idrici viene analizzata, subisce vari trattamenti, imposti da severe norme europee che prescrivono, a fini igienici, quali sostanze possono essere presenti nell’acqua e quali sono rigorosamente vietate. Per la purificazione l’acqua è addizionata con sostanze ossidanti come il cloro e i suoi composti, abbastanza indesiderabili, oppure l’ozono o l’acqua ossigenata. Quale uso fa ciascuno di noi di quest’acqua preziosa, trasportata a distanza, analizzata e trattata? La beviamo, ma neanche tanto, perché una accorta propaganda ha diffuso l’idea che l’acqua del rubinetto è cattiva e che è meglio usare acqua in bottiglia, per la maggior gloria di quelli che la vendono, facendola pagare da duecento a mille volte di più dell’acqua del rubinetto. Ma così va il mondo. L’acqua del rubinetto viene impiegata per cuocere la minestra o gli alimenti (ma conosco dei furbi che cuociono anche la pasta con acqua in bottiglia), e poi viene usata per lavare il corpo, gli utensili di cucina, gli indumenti, […]