La Basilicata e le trivelle nel parco nazionale ad uso industriale

 

Cambiano i governi ma non il destino della Basilicata: l’ombra di nuovi pozzi petroliferi è sempre più incombente in aree di pregio dal punto di vista paesaggistico ed ambientale che, improvvisamente, cambiano la loro destinazione d’uso.

Siamo in Basilicata, nel cuore del Parco nazionale Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese che, suo malgrado, continua ad esistere nonostante aree interne e confini condivisi con l’attività estrattiva trentennale di Eni.

In questa fetta di Basilicata sorge il più grande giacimento di greggio in terraferma d’Europa.

Che è destinato a crescere, nonostante significativi impatti su ambiente, salute e comunità locali.

Infatti, Eni, in data 13 ottobre 2017 presenta al ministero dello Sviluppo economico istanza di Variazione del Programma Lavori della concessione di coltivazione “Val d’Agri” – per la quale è attualmente pendente una richiesta di proroga dal 26 ottobre 2019 al 31 dicembre 2025 – con la previsione di realizzare nuovi pozzi petroliferi, necessari per portare a 104 mila barili giornalieri l’attuale soglia di barili (80 mila, ndr).

A tal proposito, è curioso leggere – in una nota ufficiale datata 15 gennaio 2018 – la posizione della multinazionale di San Donato Milanese.

Eni, premettendo che «la tutela dell’ambiente è una componente imprescindibile del nostro modo di operare» e che «la nostra gestione dell’ambiente è basata su criteri di prevenzione, protezione, informazione e partecipazione», sottolinea «che il nuovo piano di sviluppo persegue la riduzione dell’impatto ambientale sul territorio, attraverso la diminuzione del numero dei pozzi da realizzare e l’utilizzo delle aree pozzo e condotte esistenti ai fini della migliore gestione della produzione.»

In realtà, carte alla mano, in Val d’Agri ci saranno nuovi pozzi.

I NUOVI POZZI E L’AGGIRAMENTO DELLE PROCEDURE DI VALUTAZIONE D’IMPATTO AMBIENTALE NAZIONALI

In località Civita del Comune di Marsicovetere, in provincia di Potenza, Eni prevede di perforare cinque nuovi pozzi petroliferi.

Sono il “S.Elia 1”, il “S.Elia Or A”, il “Cerro Falcone 7”, il “Cerro Falcone 7 Or A” e l’”Alli 5”.

I primi quattro, in particolare, hanno una storia singolare, che vale la pena di raccontare.

Il 10 aprile 2015, con deliberazione numero 461, la Giunta regionale della Basilicata esprime parere favorevole sulla compatibilità ambientale in merito alla realizzazione dell’area cluster ospitante i pozzi “S.Elia 1” e “Cerro Falcone 7”.

A distanza di tre anni, l’8 giugno 2018 (deliberazione numero 485, ndr), fa di più: rilascia l’“intesa” in base all’accordo, datato 24 aprile 2001, sancito in sede di conferenza Stato-Regioni.

Tutto bene per Regione e compagnia petrolifera, se non fosse che le autorizzazioni regionali del 2015 e del 2018 aggirerebbero le competenze ministeriali e le procedure autorizzative nazionali.

Infatti, per le autorizzazioni relative a nuove postazioni e nuovi pozzi è prevista, in base alla legge Sblocca Italia (già in vigore all’epoca dei fatti, ndr), l’applicazione di procedure di Valutazione d’impatto ambientale nazionali e non regionali.

Tra l’altro, l’area cluster dei pozzi “S.Elia 1”, “S.Elia Or A”, “Cerro Falcone 7” e “Cerro Falcone 7 Or A”, a differenza del pozzo “Alli 5”, non compare nel Programma di sviluppo della concessione di coltivazione Val d’Agri, spuntando col senno di poi nell’istanza di Variazione di Programma Lavori non ancora approvato dai ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente.

Ma quella della compatibilità ambientale non è la sola forzatura adoperata dagli enti locali e dal Parco nazionale dell’Appennino Lucano: il Comune di Marsicovetere, con deliberazione numero 40 del 23 settembre 2015, modifica la destinazione d’uso dell’area in località Civita.

Circa 22 mila metri quadrati che da «zona omogenea E2 agricola semplice» si trasforma in area di «tipo produttivo» per effetto della proposta di tipo progettuale attuata da Eni.

Mentre l’Ente parco rilascia con provvedimento numero 251 del 25 novembre 2015 il nulla osta favorevole «all’intervento di adeguamento della strada comunale “Serio-Copone” di accesso alla postazione denominata S.Elia l-Cerro Falcone 7, in agro di Marsicovetere», permettendo che mezzi pesanti e autobotti attraversino quella che era in precedenza una tranquilla pista di montagna da trasformare in una strada a servizi dei mezzi dell’Eni.

 

I POZZI FANTASMA

I dettagli di questa storia di pozzi ed autorizzazioni “tout court” si arricchisce di ulteriori particolari – e misteri – leggendo la deliberazione n. 1998 del 5 novembre 2002 si evince che la Regione Basilicata, in passato, ha già autorizzato i pozzi in questione in una postazione ubicata in altra località, ovvero Case Marinelli, sempre nel Comune di Marsicovetere, a circa un chilometro e mezzo da località Civita.

A Case Marinelli Eni c’è stata in pianta stabile ed ha lavorato.

Dopodiché ha deciso di sospendere i lavori senza alcun motivo apparente.

L’abbandono dell’area da parte di Eni, ad oggi, non ha ancora una spiegazione plausibile, ma più di un legittimo sospetto.

La Regione Basilicata, interrogata sulla vicenda da associazioni e cittadini, non ha mai chiarito il motivo della sospensione dei lavori.

Anzi, in una determina dirigenziale dell’11 luglio 2018 (la numero 14AJ2018/D.00462, ndr) si legge «che la postazione non sarebbe mai stata perforata in ordine di valutazioni di tipo ambientale e territoriale».

La cartellonistica indicante i riferimenti della postazione è stata rimossa, ma grazie ad alcune foto satellitari è possibile vedere una spianata di cemento e due teste pozzo, dimostrazione che – presumibilmente – delle perforazioni ci sono state.

Non c’è traccia, invece, delle autorizzazioni alla chiusura mineraria rilasciate dall’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse (Unmig).

L’OMBRA DELL’INQUINAMENTO

Se le nuove autorizzazioni regionali non menzionano le motivazioni della riallocazione dei pozzi “S.Elia 1” e “Cerro Falcone 7”, le associazioni e i cittadini attivi sul territorio nutrono il sospetto che qualcosa di grave è accaduto in località Case Marinelli: siamo di fronte all’inquinamento dell’idrostruttura dalla quale si alimentano le sorgenti idropotabili degli acquedotti locali e delle reti di irrigazione della Val d’Agri?

Se in località Case Marinelli, come sostiene la Regione, l’Eni non ha mai lavorato, perché la compagnia petrolifera il 27 settembre 2017 richiede al Comune di Marsicovetere le autorizzazioni a ripristinare l’area?

Area, per giunta, sottoposta a vincolo idrogeologico, come riferito dal responsabile dell’area tecnica del Comune di Marsicovetere in un documento del 29 gennaio 2018.

Area da ripristinare e far scomparire dai radar.

 

 AREA DI PREGIO E ECONOMIE LOCALI SOTTO SCACCO

Il progetto di Eni che, inizialmente aveva incassato il parere negativo da parte della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Potenza – poi riconvertito in positivo nel 2015 – è ubicato a circa un chilometro in linea d’aria dai confini del Parco nazionale Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese e dal Sito d’importanza comunitaria (Sic) Monte Volturino, così come a meno di un chilometro e mezzo dal Sic Monte della Madonna di Viggiano, e all’interno dell’IBA Val d’Agri (Important Bird Area).

E va ad aggiungersi ad una situazione di deregolamentazione delle norme di tutela preesistente.

Infatti, nell’ambito della concessione di coltivazione “Val d’Agri, 14 di 40 pozzi totali si trovano all’interno del Parco nazionale e 13 sono all’interno di Siti d’importanza comunitaria e Zone di protezione speciale (Zps).

Inoltre, i pozzi “S.Elia 1”, “S.Elia 1 Or A”, “Cerro Falcone 7”, “Cerro Falcone 7 Or A” e “Alli 5”, distano trecento metri dall’agriturismo “Il Querceto”, azienda bio-ecologica che promuove una produzione secondo i principi dell’agricoltura biologica e realizza servizi di turismo sostenibile attraverso attività di salvaguardia e tutela del territorio e dell’ambiente, delle risorse naturali del suolo e della diversità genetica a tutela del paesaggio naturale e agrario.

Francesca Leggeri, proprietaria de Il Querceto – che, tra le altre azioni messe in campo, ha presentato ricorso al Tar Lazio contro le autorizzazioni regionali – in una lettera-appello inviata al ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, chiede la sospensione delle autorizzazioni, invitando il ministero a sollecitare alla «Regione Basilicata i chiarimenti amministrativi e ambientali necessari, per non reiterare eventuali nuove omissioni e carenze […], questa volta anche da parte del ministero dell’Ambiente, le cui direzioni competenti sono oggi chiamate a rilasciare parere ambientale per la Via relativa al pozzo “Alli 5”, ricadente nella medesima postazione di località Civita.»

IL MINISTRO DELL’AMBIENTE COSTA NON AUTORIZZI IL NUOVO POZZO “ALLI 5”

Sono numerosi i cittadini, le associazioni e gli imprenditori agricoli e turistici della Val d’Agri che si sono opposti, presentando osservazioni, alla procedura Via ministeriale in base alla legge Sblocca Italia, per la realizzazione del nuovo pozzo “Alli 5”.

Ad oggi sono, infatti, pervenute al ministero dell’Ambiente le osservazioni dell’azienda agrituristica “Il Querceto”, dell’associazione Cova Contro, del WWF e dell’ente parco.

Tra gli altri, in prima linea, è l’Osservatorio Ambientale della Val d’Agri che evidenzia come i cinque pozzi ricadrebbero su importanti sistemi idrici che alimentano le sorgenti dell’Alta Val d’Agri, che servono acquedotti e reti di irrigazione per l’agricoltura e l’allevamento.

I cinque nuovi pozzi petroliferi si troverebbero all’interno dell’IBA Val d’Agri, Important Bird Area compresa nel Parco nazionale Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese, a poca distanza dall’area archeologica e antico sito di insediamento umano di Civita.

Sarebbe grave che il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, autorizzasse questi nuovi pozzi, dopo che il presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella, in campagna elettorale dichiarò che «nessun nuovo pozzo potrà essere autorizzato e realizzato in Basilicata.»

 

(Articolo di Pietro Dommarco, pubblicato con questo titolo il 16settembre 2010 sul periodico “Terre di Frontiera”)

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vas