I fratelli brutti del Ceta che nessuno conosce

 

La campagna Stop TTIP Italia ha pubblicato il dossier “I brutti fratelli del CETA” sugli accordi di libero scambio che analizza gli altri trattati di libero scambio – praticamente sconosciuti rispetto ai più noti Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip, Ue -Usa) e Comprehensive Economic and Trade Agreement (Ceta Ue-Canada) – ma che sono sul tavolo della Commissione Europea.

«Sono i “fratelli (brutti)” del Ceta e del Ttip, ma hanno impatti altrettanto insostenibili»» dicono quelli di  e Stop TTIP Italia che a metà ottobre organizzeranno un evento pubblico con la presenza di relatori stranieri, tra cui Sujata Dey del Council of Canadians (da sempre molto attivi sui temi del commercio internazionale e della sostenibilità ambientale e sociale dei trattati) e che parteciperanno Tunisi al meeting per seguire gli sviluppi delle mobilitazioni contro l’ Accord de libre-échange complet et approfondi Tunisie-UE (Aleca).

Mentre si avvicinano le elezioni europee, Stop TTIP denuncia che  «l’agenda commerciale di Bruxelles vive un’accelerazione spasmodica, con una decina di accordi di libero scambio sulla rampa di lancio della Commissione.

I negoziatori della Commissaria europea al commercio Cecilia Malmstrom hanno l’incarico di portare a casa tutto il possibile prima di una tornata elettorale che rischia di consegnare una fetta consistente del consenso alle forze euroscettiche».

Ma se la coalizione Partito Popolare Europeo – Socialisti & Democratici che regge la Commissione Junker punta a portare a casa questo obiettivo perché teme l’avanzata della neo-destra nazionalista-sovranista, le critiche e le reazioni più forti arrivano dalle tante organizzazioni della società civile e dai sindacati che  in questi anni si sono opposti “da sinistra” e in maniera democratica  a un’agenda commerciale che considerano «troppo prona alle richieste di grandi imprese transnazionali e poco attenta all’interesse pubblico».

Il dossier “I brutti fratelli del CETA” mette nero su bianco «i rischi di un sacrificio del principio di precauzione sull’altare del commercio globale» e mappa ogni criticità di 10 trattati di libero scambio  che sono sul tavolo negoziale di Bruxelles: Ue-Mercosur; Ue-Messico; Ue-Cile; Ue-Vietnam (Evfta); Ue-Indonesia; Ue-Singapore; Ue-Tunisia; Ue- Marocco; Ue Australia e Ue Nuova Zelanda.

Gli attivisti italiani spiegano che «come i più noti Ttip e Ceta, infatti, questa serie di accordi presenta un impianto che, secondo il rapporto, può seriamente indebolire la competitività del nostro Paese e minacciare la capacità normativa e di autodeterminazione democratica del nostro Paese, con ripercussioni su interi comparti produttivi nazionali, la protezione dell’ambiente, dei diritti dei lavoratori e dell’agricoltura».

Secondo Stop TTIP Italia, «la Commissione europea in scadenza, a fronte delle perplessità e resistenze che emergono negli Stati membri rispetto al Ceta e ai suoi (brutti) fratelli, invece di aprire una fase di seria riflessione e valutazione d’impatto complessivo della politica commerciale e sull’attuale struttura dei trattati esistenti, sta moltiplicando gli sforzi per approvare più accordi possibili prima delle prossime elezioni.

La strategia adottata per accelerare è quella di “alleggerire” i trattati delle parti di competenza condivisa, evitando così la ratifica dei Parlamenti nazionali e quindi un esame più accurato dei loro impatti da parte degli Stati membri».

Il dossier evidenzia che «attualmente ambiti negoziali come l’agricoltura, l’energia, i servizi (tra cui acqua e sanità), regole e standard di grande rilevanza per la protezione di diritti universali legati alla cittadinanza in Paesi come il nostro, sono considerati di competenza della esclusiva dell’Ue.

Dunque i Parlamenti nazionali sono esclusi da decisioni che invece riguardano strettamente la sovranità loro affidata dalla Costituzione».

Dall’ analisi trasversale dei pericoli individuati dalla Campagna Stop TTIP, emergono una serie di elementi comuni ad ogni accordo portato avanti da Bruxelles: 

una sicura perdita di entrate pubbliche per l’abbattimento dei dazi, non compensate dall’aumento dei flussi commerciali generati dalla liberalizzazione; 

limitazioni alla sovranità e ai diritti dei governi di regolamentare nell’interesse pubblico, costretti come saranno a consultare i partner negoziali prima di promulgare leggi che non piacciono agli investitori;

riservatezza e scarsa trasparenza sul lavoro dei negoziatori fino alla finalizzazione dei testi;

le istituzioni politiche possono unicamente approvare o bocciare accordi di migliaia di pagine che non possono emendare;

un tentativo di abbattere, oltre ai dazi, tutte le normative che ostacolano i flussi commerciali, anche se si tratta di leggi e regolamenti che difendono l’ambiente, la buona occupazione o i servizi pubblici;

possibilità di modificare i testi approvati da parte di comitati tecnici istituiti dagli stessi accordi, che possono riformare il testo senza dover consultare il Parlamento europeo o quelli nazionali;

accantonamento del principio di precauzione, considerato antiscientifico;

istituzione di tribunali sovranazionali a beneficio dei soli investitori privati di ciascuna parte contraente, che permettono alle imprese di citare in giudizio gli Stati che minacciano i loro profitti con leggi considerate scomode;

nessuna previsione vincolante per il rispetto degli obiettivi del Protocollo sul clima di Parigi o delle Convenzioni internazionali sul lavoro; 

scarsa protezione dei prodotti alimentari con indicazione geografica dalle copie a basso costo di Paesi terzi.

La Campagna Stop TTIP  conclude: «Si tratta di tratti distintivi molto pericolosi, che suggeriscono di bocciare il Ceta – già al vaglio del Parlamento italiano  e potenziale apripista per tutti gli altri trattati – per aprire una attenta riflessione in Italia e in Europa su quali priorità debbano avere futuri accordi, assicurando a tutti un commercio più giusto e sostenibile».

 

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 26 settembre 2018 sul sito online “green report.it”)

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