Veneto, sulla direttiva acque la rabbia delle “Mamme No Pfas”

 

VERONA – Nella zona rossa il tempo delle mezze misure è finito da un pezzo.

Inutile girarci attorno.

Per quanto riguarda i Pfas, il testo definitivo della direttiva acque indica i limiti peggiori tra quelli che potevano essere approvati“.

Di ritorno da Strasburgo, Elisa Dalla Benetta, membro della delegazione delle Mamme No Pfas e medico di famiglia nel comune di Zimella, scuote la testa.

Un emendamento presentato dal Partito Popolare Europeo a tre giorni dalla votazione ha vanificato mesi di dialogo condotti dai comitati con tecnici e parlamentari.

Originariamente, il testo avanzato dalla commissione ambiente fissava il limite delle cosiddette sostanze perfluoroalchiliche – che da oltre quarant’anni avvelenano le falde acquifere e il sangue di centinaia di migliaia di persone nel Veneto occidentale – a 300 nanogrammi al litro.

Promotrici della tolleranza zero, le Mamme No Pfas ritenevano imprescindibile quantomeno l’allineamento europeo con quanto fissato, a disastro avvenuto, dalla giunta Zaia per le zone contaminate, fatta eccezione per la zona rossa – epicentro del disastro ambientale – nella quale sono previsti limiti più severi.

E invece l’emendamento del Ppe ha innalzato il limite a 500 nanogrammi al litro e introdotto una distinzione tra i composti incriminati, basata sul numero di atomi di carbonio che li compongono.

Il testo approvato distingue tra Pfas a catena lunga e Pfas a catena corta.

Gli unici a essere stati normati sono i primi, la cui produzione è pressoché cessata un decennio fa.

Per i Pfas a catena corta, cioè quelli attualmente in uso, non è stato posto nessun limite.

Una distinzione che è al di fuori da ogni logica perché sono i più idrosolubili: attraversano facilmente la placenta e vanno nel latte, nel polmone e nel cervello.

Inoltre, vengono difficilmente fermati dai filtri a carbone attivo” attacca il medico, sottolineando come l’emendamento sia stato giustificato dalla necessità di non gravare eccessivamente sui costi di gestione del servizio idrico e quindi sul consumatore finale.

È paradossale definire le persone consumatori invece che cittadini.

L’acqua non è come la cioccolata, è impossibile farne a meno.

I costi che non vengono addebitati ai gestori idrici si ripercuotono sul bilancio del sistema sanitario: i Pfas hanno portato quello della Regione Veneto allo stremo” riprende Dalla Benetta.

In realtà, alcune delle richieste avanzate dai genitori, come l’aggiornamento della lista delle sostanze da monitorare per includere i cosiddetti inquinanti emergenti, sono state accolte.

Ma la battaglia per decretare la tolleranza zero appare, per il momento, persa.

Nella zona rossa a cavallo tra le province di Vicenza, Verona e Padova, abitano oltre 100mila persone.

La sottostante falda acquifera è, per estensione, tra le maggiori d’Europa.

Di certo, è la più inquinata.

Nella regione, la produzione di Pfas a catena lunga, utilizzati nella filiera di numerosi prodotti tra i quali i rivestimenti antiaderenti delle pentole e i materiali tecnici, inizia nel 1966 a Trissino, luogo d’origine della contaminazione, dove sono stati sversati nel sottosuolo queste sostanze persistenti, che attraverso l’acqua e gli alimenti continuano tuttora ad accumularsi negli organismi, uomo compreso.

Le conseguenze sulla salute umana sono tuttora poco comprese: a causa della scarsità di studi sull’uomo – prima del Veneto, la sola contaminazione da Pfas nota riguardava il fiume Ohio negli Stati Uniti – l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha classificato l’acido perfluoroottanoico (Pfoa) come possibile cancerogeno solamente alcuni anni fa.

Nel frattempo, la concentrazione di Pfas nel sangue dei cittadini veneti è salita alle stelle mentre la falda acquifera risulta impossibile da bonificare.

Di studi sulla pericolosità dei Pfas ormai ce ne sono parecchi, non solo sugli animali ma anche sull’uomo: è un alibi che non sta in piedi“, ribatte Dalla Benetta.

Reni, colesterolo, tiroide e testicolo: la speranza è di non contaminarci ulteriormente. E non è facile perché nella zona rossa viviamo in una condizione paradossale.

Le persone che conducono uno stile di vita salutare hanno le concentrazioni più alte di Pfas nel sangue.

I ragazzini che stanno meglio sono quelli che mangiano poca frutta e verdura oppure quelli sedentari poiché non si abbeverano dalle fontanelle tra una corsa e un gioco all’aria aperta” sospira il medico.

Persino l’allattamento al seno andrebbe sconsigliato nel caso la madre abbia alte concentrazioni di Pfas nel sangue.

Il piano di sorveglianza sanitaria, avviato dalla Regione Veneto, prevede il monitoraggio della concentrazione di 12 diversi Pfas nel sangue della popolazione esposta.

Ma a quasi due anni dall’avvio, non sono state ancora raggiunte tutte le classi d’età.

Dobbiamo tenere alta la guardia e continuare a fare informazione – conclude Dalla Benetta – affinché quello che è accaduto in Veneto non si ripeta altrove. Partendo proprio dai bambini: è fondamentale che sappiano cosa sono i Pfas“.

 

(Articolo di Davide Michelini, pubblicato con questo titolo il 30 ottobre 2018 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

 

 

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