Una nuova mappa globale mostra perché le persone fuggono dai loro Paesi

 

Una nuova mappa redatta dall’università statunitense di Cincinnati mostra quali sono le forze che spingono i  migranti ad attraversare il Sahara e il Mediterraneo o le carovane dei migranti a lasciare il Guatemala e l’Honduras per raggiungere gli Stati Uniti.

Il team di Tomasz Stepinski, un professore di geografia della Università di Cincinnati, ha creato la nuova mappa del mondo che mostra cambiamenti radicali nell’utilizzo della terra nell’ultimo quarto di secolo. 

Stepinski  ha trasformato le immagini satellitari ad alta risoluzione dall’Agenzia spaziale europea in una cartografia dettagliatissima che mostra come le persone stanno rimodellando il pianeta.

Il tutto è descritto nello studio “Global assessment and mapping of changes in mesoscale landscapes: 1992–2015” pubblicato sull’ International Journal of Applied Earth Observation and Geoinformation al quale hanno partecipato altri due ricercatori dello Space Informatics Lab, Department of Geography and GIS dell’università di Cincinnati: JakubNowosa e PawelNetzel.

«In questo momento ci sono carovane di persone che marciano verso gli Stati Uniti. Molti di loro vengono dal Guatemala» ha ricordato Stepinski e giornali come The Guardian hanno definito alcuni dei migranti centroamericani «rifugiati del cambiamento climatico», visto che molti di loro stanno fuggendo da anni di disastri climatici. 

Ma Stepinski ha detto che «il cambiamento climatico racconta solo una parte della storia». 

Infatti, la sua mappa dimostra che il Guatemala ha subito un’estesa deforestazione «e hanno perso la foresta perché la gente usa la legna come combustibile – sottolinea il geografo  statunitense – E’ una parte della crisi dei rifugiati».

La mappa  nuova mappa dimostra come, tra il 1992 e il 2015, il 22% della superficie abitabile della Terra sia stata alterata in modi misurabili, principalmente passando dalla foresta all’agricoltura.

Stepinski sottolinea: «È molto istruttivo. 

Non c’è nient’altro come questo.

Ci sono mappe sulla perdita della foresta ma nessuna mappa mostra tutto».

E la mappa, ovunque si guardi, racconta storie diverse, come la scomparsa delle zone umide nel sud-est americano, o a devastazione del Mare d’Aral, fino alla deforestazione nei tropici e nelle foreste pluviali temperate.

Le immagini satellitari dell’Esa sono così dettagliate che i geografi dell’università di Cincinnati hanno potuto organizzarle in griglie da 300 m2 e in ciascuno di questi pixel hanno identificato i cambiamenti in 22 categorie di uso del suolo che descrivono vari tipi di terreni agricoli, foreste, zone umide, praterie o sviluppo urbano. 

Ma le ridotte dimensioni dei pixel e un gran numero di variabili rendevano praticamente impossibile un’analisi globale. 

Sembrava un puzzle impossibile da risolvere.

Ma Stepinski ha organizzato i pixel in quadrati di 9 Km2  ha ridotto il numero di utilizzi del territorio a 9 tipologie che riflettono descrizioni più ampie come agricoltura, foreste o urbanizzato. 

Nel confrontare le differenze tra le mappe del 1992 e del 2015, ha usato tre sfumature di colore per identificare l’entità del cambiamento da un utilizzo della terra a un’altro.

Così ha cominciato a prendere forma la storia degli ultimi 25 anni.

La mappa conferma che il deserto del Sahara in Nord Africa sta crescendo: «Nell’area di transizione chiamata Sahel, se si nota, si vedono perdite nei pascoli a causa dei cambiamenti climatici: più desertificazione», spiega ancora Stepinski.

La mappa degli Stati Uniti mostra enormi perdite di zone umide nel sud-est insieme all’urbanizzazione crescente al di fuori dalle città.

La mappa illustra la drammatica scomparsa del Mare d’Aral, che si è prosciugato negli anni ’90 dopo che in epoca sovietica i contadini del Kazakistan e dell’Uzbekistan avevano deviato i suoi affluenti per irrigare i campi di cotone.

«E’ stato un disastro totale – ricorda Stepinski – Questo era un grande lago salato alimentato da due fiumi. 

Hanno deviato l’acqua per il cotone e il mare si è prosciugato in delle praterie.

Oggi, si vedono enormi barche adagiate in mezzo ai campi».

Stepinski aveva già usato le mappe prima per raccontare storie affascinanti e terribili come queste: la rivista Quartz nel 2017 ha definito la sua mappa sulla diversità razziale negli Usa «incredibilmente dettagliata» e all’inizio di quest’anno, ha utilizzato i dati di WorldClim per  confrontare i diversi climi della Terra e per prevedere il cambiamento climatico nei prossimi 50 anni.

Ma questo suo ultimo progetto ha presentato sfide uniche: dato che molte mappe del mondo tendono ad esagerare le dimensioni dei Paesi più lontani dall’equatore, Stepinski ha tracciato i suoi risultati usando una mappa di proiezione sviluppata nel 1943 da Buckminster Fuller che mostra le dimensioni comparative dei continenti. 

Ma questo ha costretto l’università di Cincinnati a sviluppare software speciali che mantenessero l’integrità dei dati per poterli tradurre e applicare.

Mentre la mappa racconta la storia dello sviluppo a grandi linee, i ricercatori possono esaminarne qualsiasi porzione con dettagli più precisi. 

La mappa presenta i dati di ciascun pixel di 300 metri quadrati.

Il progetto è stato supportato dallo Space Exploration Research Fund dell’università di Cincinnati.

«Certo, solleva degli allarmi.

Ma non sono nuovi – evidenzia Stepinski – Sapevamo già della deforestazione o della perdita delle zone umide o della crescente urbanizzazione. 

Ma ora possiamo vedere esattamente dove sta accadendo tutto questo.

L’Agenzia spaziale europea nel 1992 ha iniziato a scattare immagini satellitari della Terra per studiare i cambiamenti climatici.

La copertura della superficie può influenzare notevolmente la temperatura a seconda che assorba o rifletta la luce solare. 

Allo stesso modo, la copertura forestale assorbe più anidride carbonica rispetto ai centri commerciali.

Il grande risultato per l’Agenzia spaziale europea è stato quello di assicurarsi che le immagini satellitari fossero compatibili di anno in anno in modo da poterle confrontare.

La mappa mostra come le risorse naturali finite vengono sfruttate su scala globale.

Ciò che rende tutto questo deprimente è che lo stiamo esaminando su una scala temporale più breve della nostra vita».

Nowosad, che ora insegna all’università Adam Mickiewicz in Polonia, aggiunge: «Uno degli esempi più ovvi di cambiamento dell’uso del suolo si trova nelle città.

L’impatto diretto delle attività umane si riflette nei modelli di urbanizzazione. 

Ad esempio, nel Nord America e in Europa è possibile vedere la suburbanizzazione e la densità delle città.

La Cina occidentale ha assistito a una estesa urbanizzazione, mentre lo sviluppo più evidente dell’India è stato nelle sue città più piccole.

Spero che questa mappa renderà le persone più consapevoli dell’impatto umano sul nostro pianeta.

Come società, dobbiamo essere meglio informati della portata dei cambiamenti che apportiamo alla Terra e, a mio parere, questa consapevolezza può influenzare i futuri cambiamenti nelle politiche ambientali.

La nostra mappa non prevede niente su quel che potrebbero portare i prossimi 24 anni. 

Ma i dati demografici suggeriscono che la nostra impronta diventerà solo più grande.

La popolazione umana è ancora in aumento, creando più domanda di terra e risorse naturali  Inoltre, sappiamo che le società dei Paesi sviluppati utilizzano più risorse; pertanto, con lo sviluppo crescente nei Paesi più poveri, possiamo aspettarci che la pressione sulla terra sarà ancora più grande di quanto previsto come effetto della crescita demografica».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 21 novembre 2018 sul sito online “greenreport.it”)

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