Gli inceneritori non sono la soluzione per la gestione dei rifiuti

 

https://www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=7gt3OzlGOXo

Mentre l’Unione europea, da anni, spinge per il superamento delle politiche di incenerimento dei rifiuti fin dalla relazione “sulla revisione del sesto programma d’azione in materia di ambiente e la definizione delle priorità per il settimo programma” (2012), nei vari Stati europei i rifiuti bruciano spesso e volentieri.

Da tempo è, infatti, noto l’effetto negativo delle emissioni degli impianti di incenerimento dei rifiuti sulla salute (vds. per esempio Incenerimento dei rifiuti ed effetti sulla salute, IV Rapporto della Società Britannica di Medicina ecologica, 2008).

Gli inceneritori di rifiuti emettono particolato (PM2,5; PM10), metalli pesanti, ceneri, diossine.

In particolare, l’emissione di diossine comporta tumori di vario tipo (sarcoma dei tessuti molli, linfoma di Hodgkin, tumore al polmone, tumore alla laringe, tumore al fegato); tumori infantili; malformazioni congenite; disturbi e malattie respiratorie; alterazioni del rapporto di mascolinità alla nascita.

Insomma, per capirci, gli inceneritori che emettono solo vapore acqueo non esistono.

E’ bene averlo molto chiaro quando si decidono e si attuano le politiche di gestione dei rifiuti.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=BmdD_empTXo

da La Stampa, 19 novembre 2018

Chi brucia di più i rifiuti negli inceneritori? (Paolo Magliocco)

La scelta di realizzare o no nuovi inceneritori, in particolare nel Sud Italia, sta creando contrasti nella maggioranza di governo tra la Lega, che sostiene la loro realizzazione, e il Movimento 5 Stelle, da sempre contrario

In Europa ci sono oltre 400 impianti capaci di trasformare i rifiuti in energia, quelli che i tecnici del settore chiamano termovalorizzatori e che vengono ancora definiti semplicemente inceneritori (gli inceneritori possono anche bruciare i rifiuti senza produrre energia).

La loro distribuzione è poco omogenea tra i diversi Paesi.

Il maggior numero di impianti si trova in Germania e in Francia, che nel 2016 ne avevano rispettivamente 121 e 126, cioè il triplo del numero presente in Italia, dove erano 41, secondo la Confederation of european waste to energy plants .

Anche in Italia, d’altra parte, la loro presenza è molto diversa: al Nord sono più che in tutto il Centro-Sud. 

In Germania però si bruciano molti più rifiuti rispetto alla Francia: 26 milioni di tonnellate contro 14,4 (sempre nel 2016).

In Italia sono circa 6,2 e in tutta l’Unione europea circa 68 milioni di tonnellate.

La Francia brucia più del doppio dei rifiuti rispetto all’Italia e la Germania il quadruplo.  

La quantità di rifiuti che finisce bruciata è sempre aumentata negli ultimi vent’anni, così come quella riciclata o trasformata in compost.

L’unico modo di trattare i rifiuti che è andato riducendosi nel tempo, sia in termini di quantità sia in percentuale sul totale, è il trasporto in discarica, sceso ameno del 25% del totale e inferiore a incenerimento e riciclaggio, come mostrano i dati di Eurostat, il servizio statistico europeo.

A livello mondiale, però, le discariche rappresentano ancora il sistema più diffuso di smaltimento dei rifiuti. 

Oggi in Europa i rifiuti urbani sono circa 483 chilogrammi a testa all’anno, in Italia un poco di più, con 497.

Nell’Ue circa 133 chilogrammi di spazzatura prodotta da ciascun cittadino finiscono inceneriti. 

La percentuale più alta si registra in Paesi come Svezia e Olanda e, fuori dalla Ue, in Svizzera e Norvegia, dove la quota di rifiuti bruciata è attorno alla metà del totale.

Fuori dall’Europa, in Giappone si brucia circa il 60% dei rifiuti prodotti.

Negli Stati Uniti, invece, meno del 13% e le discariche accolgono ancora più della metà della spazzatura, mentre un quarto viene riciclata

La Svezia, tra l’altro, considera l’uso dei termovalorizzatori una forma di riciclaggio e perciò ritiene di riciclare quasi il 99% dei propri rifiuti (oltre a bruciarne grandi quantità che arrivano da altri Paesi). 

 

da Il Fatto Quotidiano19 novembre 2018

Inceneritori,quello di Copenaghen non produce solo vapore acqueo. Lo dice la stessa azienda:“Emissioni al minimo”.

I fumi saranno ottimizzati, ma non è vero che l’impianto nella capitale danese emetterà solo vapore acqueo.

La Babcock & Wilcox Vølund, azienda che ha fornito il sistema di alimentazione del forno e le tecnologie di depurazione, assicura sulle “prestazioni avanzate” e sulla qualità dell’aria ma precisa che comunque emetterà un minimo di monossido di carbonio, ammoniaca, carbonio organico e ossidi di azoto.

L’inceneritore di Copenaghen produce solo vapore acqueo?

No, non è vero.

Lo dice la stessa azienda che ha fornito il sistema di alimentazione del forno e le tecnologie di depurazione dei fumi.

Che non saranno solo di vapore acqueo, come scrivono diversi media italiani tra i quali il Corriere della Sera.

Certo, le emissioni sono ottimizzate, ma comunque dal camino usciranno monossido di carbonio, ammoniaca, carbonio organico e ossidi di azoto.

L’inceneritore potrebbe diventare una delle maggiori attrazioni turistiche di Copenaghen e molti, in questi giorni di polemica su quel tipo di impianti, citano la struttura della città danese in fase di ultimazione come un modello da seguire. Famoso perché ospiterà sul suo tetto una pista da sci e percorsi di trekking e per le sue tecnologie all’avanguardia, l’impianto emette però qualcosa in più oltre al semplice vapore acqueo e per funzionare guarda all’immondizia in arrivo da altri Paesi. Ecco come funziona.

Energia dai rifiuti.

Amager Bakke, rinominato anche Copenhill perché ambisce a rappresentare una collina verde, dentro la città danese, è stato costruito da una società di cinque Comuni.

Ha iniziato a funzionare a settembre 2017 in sostituzione di un altro inceneritore arrivato a 45 anni di anzianità.

Con due linee di combustione, brucia in totale 70 tonnellate di rifiuti all’ora: in un anno, può trattare circa 400mila tonnellate di spazzatura, prodotta da 550-700mila cittadini e 46mila imprese.

L’energia sprigionata dalla combustione torna alle famiglie sotto forma di elettricità per 50mila utenze e calore per 120mila.

 Per avere un termine di paragone, l’impianto di Brescia, il più grande d’Italia con oltre 700mila tonnellate incenerite nel 2017 ma una tecnologia più datata, produce energia elettrica pari al fabbisogno di oltre 200mila famiglie e calore per oltre 60mila appartamenti.

Non proprio vapore acqueo.

Gli amanti dello sci hanno bisogno di non preoccuparsi per la qualità dell’aria sul versante dello stabilimento”, si legge in una brochure della Babcock& Wilcox Vølund, azienda danese che ha fornito il sistema di alimentazione del forno e le tecnologie di depurazione dei fumi, per ridurre le emissioni inquinanti dell’impianto. L’azienda assicura che l’inceneritore di Amager Bakke “rispetto al vecchio impianto riduce del 99,5 per cento le emissioni sulfuree e minimizza quello degli ossidi di azoto a un decimo”.

Prestazioni avanzate, è vero, anche se nel fumo che esce dall’altissimo camino non c’è solo vapore acqueo, come qualcuno arriva a dire in questi giorni.

La Vølund assicura che l’impianto manterrà le emissioni degli ossidi di azoto entro i 15 mg/Nm3, il monossido di carbonio sotto i 50, ammoniaca non oltre i 3, così come il carbonio organico totale.

Se si osservano i dati delle emissioni di forni italiani (anch’essi frutto di autodichiarazioni da parte degli impianti), si osserva che i vantaggi dell’impianto di Copenaghen riguardano soprattutto gli ossidi di azoto, composti associati alla combustione (compresa quella da traffico) molto dannosi per l’apparato respiratorio.

Per fare un confronto con l’inceneritore del Gerbido di Torino,entrato in funzione nel 2013, in media nel mese di settembre 218 la linea 1 dell’impianto ha emesso 2 mg/Nm3 di ossido di carbonio, 0,1 di carbonio organico totale, 0,7 ammoniaca, ma quasi 26 mg/Nm3 di ossidi azoto.

Sciare sull’inceneritore.

A far parlare molto dell’impianto prima ancora della sua apertura al pubblico prevista per la primavera 2019 sono però, oltre alle prestazioni ambientali, le attività che si possono fare sul tetto e su uno dei lati.

Copenhill ospiterà una pista da sci, percorsi su cui correre e passeggiare, un’area verde per il pic nic, una parete di arrampicata alta 80 metri, oltre che un ristorante e un bar.

Costato circa 500 milioni di euro, di grosse dimensioni per raggiungere alti livelli di efficienza, adesso Amager Bakke conta sui turisti e sui rifiuti in arrivo da fuori confine per ripagare il cospicuo investimento.

Modello danese?

Mentre la Lega propone un inceneritore per provincia e il Movimento 5 stelle non ne vuole neanche uno, gli operatori del settore rifiuti ricordano che per chiudere il ciclo ad oggi serve anche l’incenerimento.

Per far diventare realtà l’economia circolare bisognerà puntare su riduzione dei rifiuti e di imballaggi non riciclabili, riuso, riciclo, affrontando però di pari passo il problema della parte della spazzatura impossibile da rigenerare. 

Oggi nelle regioni del Sud senza inceneritori questi scarti raggiungono il Nord o vanno in discarica con punte dell’80 per cento in Sicilia e del 58 in Calabria.

Ma di fronte alle richieste dell’Europa di non superare il 10 per cento di rifiuti interrati entro il 2035 diventa molto difficile fare a meno degli altri impianti di smaltimento, seppur brutti e inquinanti.

In questo quadro, la Danimarca può davvero essere un modello da replicare?

Non più di tanto.

Copenaghen ha sì un impianto di combustione considerato all’avanguardia, ma ha avviato solo di recente la raccolta dei rifiuti organici, che da soli rappresentano circa un terzo degli urbani e sono una risorsa per produrre biometano e biogas.

Non solo.

Nel Paese che vuole raggiungere il 50 per cento di riciclo entro il 2022 e la cui capitale sogna di diventare a emissioni zero entro il 2025, c’è il problema opposto a quello italiano: una sovraccapacità di incenerimento, con 28 impianti attivi per meno di 6 milioni di abitanti.

L’incenerimento, seppur a ridotte emissioni e alti livelli di accettazione da parte dei cittadini, qui non si ferma alla gestione dei rifiuti ma è anche una strategia di sviluppo industriale.

Lo stesso Copenhill, ha spiegato il direttore Clima della città di Copenaghen Jorgen Abildgaard, è stato sovradimensionato per ottenere dei benefici in termini di efficienza e ora come gli altri 27 cercherà rifiuti sui mercati stranieri.

Tra il 2013 e il 2015, si legge nel rapporto annuale sul tema del ministero dell’Ambiente danese, l’importazione di rifiuti per l’incenerimento è passata da 160mila a 350mila tonnellate: oggi rappresentano l’11 per cento della spazzatura bruciata nel Paese e arrivano soprattutto dalla Gran Bretagna.

Ma lo spazio nei forni c’è e la Danimarca guarda a tutta l’Europa, Italia compresa.

Così, mentre da noi si litiga, chissà che qualcuno a Copenaghen già non pensi ai treni di immondizia che potrebbero arrivare dalla penisola per far marciare gli impianti danesi.

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 26 novembre 2018 sul sito online del Gruppo d’Intervento Giuridico)

N.B. – Per l’impianto di Copenaghen vedi l’articolo “INCENERITORE DANESE: UN FALSO MITO CHE FRANA”  (https://www.verdiambientesocieta.it/?p=69941#more-69941 )

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