Uso energetico delle biomasse legnose: pro e contro per clima e inquinamento

 

In Europa l’accusa contro l’uso energetico di legna e pellet come risorse critiche per clima e inquinamento è sempre più determinata.

La diatriba non è semplice da dirimere perché sono molti sono i fattori di cui tenere conto da una parte e dall’altra.

Resta però fondamentale promuovere un uso più moderno e sostenibile delle biomasse legnose.

Cosa c’è di più bello del fuoco nel camino che illumina e riscalda la stanza o della stufa a legna che scoppietta, mentre sparge intorno il suo tepore?

Si sta al calduccio e si rispetta l’ambiente, usando il più naturale dei combustibili, quello che accompagna l’umanità da un milione di anni o più.

Non vorremmo frantumare l’idilliaco quadretto appena dipinto, ma in Europa si alzano sempre più intense le voci che indicano proprio nella buona, vecchia legna, e nel suo derivato moderno, il pellet, uno dei peggiori fattori di inquinamento dell’aria e, secondo alcuni, una falsa soluzione ai problemi climatici.

Il tema è al centro di un confronto molto duro che non è però così semplice da dirimere.

L’attacco alle bioenergie in Europa

L’ultimo attacco che leggiamo, che proviene da Linde Zuidema campaigner dell’ong Fern, pubblicato dall’agenzia Euractiv, è contro il Parlamento Europeo.

L’Europarlamento, si accusa, è reo di aver seguito le indicazioni della Commissione sull’opportunità di continuare ad incentivare l’uso energetico della legna, che in Europa fornisce il 45% del calore ed elettricità rinnovabili (ma era il 56% nel 2005), senza porre vincoli sul modo di usarla e alla sua provenienza, in modo da essere certi che ci sia un vero risparmio di CO2 rispetto ai fossili e non si danneggi l’ambiente; quindi senza fare ciò che è stato fatto, in piccola parte, per i biocombustibili liquidi.

Secondo Zuidema, anche se è vero che bruciando gli alberi non si libera CO2 fossile, ma quella assorbita durante la crescita della pianta, comunque quella anidride carbonica si aggiunge in aria a quella fossile, peggiorando il cambiamento climatico.

Inoltre,  spiega, ci vorranno decenni prima che nuovi alberi riassorbano quella CO2.

Una cosa è quindi sfruttare le foreste in modo sostenibile per la bioedilizia, i parquet o per i mobili, realizzando oggetti che bloccheranno per decenni o secoli la CO2 contenuta nelle piante, un’altra cosa è bruciarle in stufe e caldaie.

Inoltre, secondo l’esperta, incoraggiare l’uso della legna per fini energetici, riduce uno degli obiettivi dell’Ue, in quanto buona parte dei progressi fatti dall’Europa verso il “carbon neutral”, dipendono proprio dal fatto che le nostre foreste sono cresciute in questi ultimi decenni al ritmo di circa 720 milioni di metri cubi ogni anno, contando quindi come CO2 negativa, cioè rimossa dall’atmosfera.

Se l’uso energetico della legna continuerà ad espandersi – in effetti i consumi di pellet in Europa sono passati da 4 a 20 milioni di tonnellate dal 2008 al 2015 – non potrà più essere alimentato in modo sostenibile dalla ricrescita delle foreste europee, e quindi dipenderà sempre più dalla deforestazione di altre parti del mondo.

Se vogliamo portarlo alle estreme conseguenze e per impianti di grandi dimensioni, è un fenomeno che, seguendo l’esempio della centrale britannica di Drax, sta già avvenendo in Cina e Giappone, dove vecchie e inefficienti centrali a carbone, destinate alla chiusura, si salvano diventando “verdi” perché bruciano, in modo ancora più inefficiente, legna da ardere importata, senza troppi controlli sulla sua sostenibilità.

Un appello di 800 ricercatori ha tentato inutilmente di far cambiare il parere del Parlamento Europeo, proponendo di limitare gli incentivi solo quando la produzione di bioenergia da legno derivi da scarti dell’industria del legname, ma, secondo l’attivista di Fern, la potente lobby dell’industria del legname dei paesi scandinavi, dove esiste un crescente uso di bioenergia (140 TWh/anno di calore ed elettricità prodotti solo in Svezia con le biomasse, il 25% del totale dei consumi energetici), ha bloccato ogni possibile ripensamento.

Riscaldamento domestico e inquinamento

La risorsa biomassa non è sotto accusa solo per gli effetti sui cambiamenti climatici: in molti paesi il pessimo uso di legna per il riscaldamento domestico è indicato come uno dei fattori più gravi di inquinamento atmosferico urbano, quello che rischia di far pagare all’Italia (insieme a Germania, Francia, Spagna e UK) pesanti sanzioni per il mancato rispetto delle direttive Ue sulla riduzione degli inquinanti in aria.

Tre anni fa un rapporto Enea (finanziato da Assogasliquidi l’associazione dei produttori di Gpl)  ha rivelato che il 99% delle emissioni da riscaldamento di Pm2,5 (le particelle solide più pericolose per la salute, i cui limiti dell’OMS risultano rispettati solo nel 6% delle stazioni di rilevamento in Italia), è dovuto a impianti a pellet e a legna, e che il 56% dell’inquinamento totale da Pm 2,5 deriva da loro, con il resto a carico di traffico e industria,.

A confermare questi dati c’è uno studio dell’Arpa Emilia, che ha stimato che in quella regione il 45% dell’ossido di carbonio, il 29% composti organici e il 39% dei Pm10 in aria derivano dalla combustione di legna, contro, ad esempio, il 39, 13 e 24% rispettivamente, causati dal traffico.

Per la Lombardia le percentuali degli stessi inquinanti derivati dalla legna sul totale sono 37, 6 e 51%.

Secondo l’Enea per risolvere il problema dell’inquinamento atmosferico in pianura padana e nei grandi centri urbani, non ci si può limitare solo a ridurre l’impatto del traffico, ma occorre affrontare anche quello del crescente uso di riscaldamento a legna, soprattutto utilizzando ineefficienti bruciatori.

La posizione dell’associazione di categoria della bionergia

«A noi non risulta questo uso crescente, visto che i consumi di biomasse forestali in Italia si aggirano da diversi anni intorno ai 23 milioni di tonnellate, di cui 20 di legna e 3 di pellet», dice Valter Francescato, direttore tecnico di AIEL, associazione italiana energia agroforestali.

«Non neghiamo certo che la legna, se bruciata male, produca inquinamento e che ciò nei centri urbani contribuisca all’inquinamento atmosferico.

Il punto è che in Italia ci sono 10 milioni di impianti di riscaldamento a legna vecchi, di cui il 40% andrebbe urgentemente sostituito: le moderne stufe e le caldaie che gassificano la legna prima della combustione, consumano molto meno e hanno emissioni di Pm10 molto ridotte, costituite anche quasi solo della parte minerale, non carboniosa, della legna, con bassissima tossicità».

In effetti, come riporta la stessa Arpa Emilia, se un’automobile media emette ogni anno 0,7 kg di Pm10 e un camion 11,9, un camino ne emette 20,9 kg e una stufa tradizionale 10,5.

Ma una stufa moderna a fiamma inversa fa crollare il Pm 10 ad appena 1,9 kg l’anno e una stufa a pellet a 2,6.

«Oltre a ciò, le caldaie a legna vanno installate in modo corretto, con una grossa massa di acqua da riscaldare che le faccia funzionare costantemente alla potenza ottimale, e vanno usate e mantenute seguendo precise regole.

Per questo AIEL informa con manuali e brochure su come utilizzare bene stufe e caldaie, e cerca di spingere alla sostituzione dei vecchi impianti, approfittando degli incentivi del Conto Termico, che prevedono corretti requisiti d’impianto e che consentono di rientrare nella spesa in pochi anni».

«Crediamo che sarebbe opportuno nelle città incentivare il passaggio a impianti a legna o pellet condominiali o di teleriscaldamento di quartiere: le grandi dimensioni consentono non solo una gestione e manutenzione ottimali, ma anche l’uso di sistemi di filtraggio che abbattono le emissioni inquinanti ai livelli degli impianti a metano», conclude Francescato di cui segnaliamo un articolo pubblicato su QualEnergia.it che risponde a diverse accuse riguardanti le emissioni di particolato prodotte dalla combustione domestica di biomasse (vedi anche Perché la combustione del pellet è più sostenibile del gas naturale e del GPL).

Alle critiche sull’inefficacia dell’uso della legna per la lotta al cambiamento climatico, risponde invece Annalisa Paniz, direttore Affari Generali e relazioni internazionali di AIEL.

«Negli ultimi 25 anni, lo stock di biomassa nelle foreste dell’Unione Europea è aumentato di 7,3 miliardi di metri cubi, con uno stock di legno disponibile all’uso cresciuto di oltre 5 miliardi di mc (l’Italia consuma circa 26 milioni di mc di legna all’anno, ndr)».

Le foreste europee continuano a crescere, visto che solo il 63% (ma appena il 24% in Italia) dell’incremento annuo di massa forestale viene utilizzato, nonostante la quantità di bioenergia consumata (che non comprende solo la legna, ma anche parte dei rifiuti urbani, biogas e bioliquidi), negli ultimi 15 anni nel continente sia raddoppiata.

«Questo perché la quota di biomassa di origine forestale destinata al settore energetico è rimasta sostanzialmente stabile dal 2000 ad oggi, intorno al 20% (vedi grafico, ndr), con il resto destinato all’industria del legno e della carta.

L’impiego della biomassa a scopo energetico in Europa si basa sul principio di uso a cascata delle risorse, e si è sviluppata prima di tutto con l’obiettivo di dare valore a materiali secondari quali segatura, trucioli, ramaglie, ossia legname altrimenti inutilizzabile».

«Peraltro, sottolinea Paniz, il suo uso relativamente ridotto a fini energetici ha già contribuito in modo significativo alla decarbonizzazione del settore energetico europeo, con una riduzione delle emissioni di gas climalteranti di oltre 4,2 miliardi di tonnellate negli ultimi 15 anni, circa 350 milioni di tonnellate ogni anno (pari a 2/3 delle emissioni annue italiane, ndr)».

Secondo la rappresentante di AIEL non è corretta neanche la previsione che l’intensificarsi dell’uso di biomassa solida per scopi energetici in Europa incoraggi la deforestazione in paesi come l’Indonesia o il Brasile.

«Nel 2015 la biomassa importata in Europa a scopi energetici rappresentava solo l’1% di tutti i combustibili importati.

La dipendenza totale dalle importazioni di biomassa in Europa è stata del 4,4%, contro l’89% per il petrolio e il 69% del metano.

Pertanto, possiamo affermare che l’Europa in questo settore si affidi quasi solo alle proprie risorse interne, riducendo con esse efficacemente la sua dipendenza energetica e le sue emissioni di CO2 fossile.

Inoltre, la quasi totalità della frazione di biomassa solida importata in Europa proviene da foreste nordamericane le quali sono quasi sempre certificate secondo i principali standard di gestione forestale sostenibile».

E comunque, visto il surplus di crescita forestale europea, e ancora più di quella italiana, i margini per aumentare il prelievo di legna per scopi energetici, senza intaccare lo stock di carbonio immagazzinato nelle nostre foreste, sembrano ancora molto ampi, come si può intuire dal grafico qui sotto.

Proprio di questi argomenti che coinvolgono milioni di cittadini si parlerà nel convegno inaugurale di Progetto Fuoco 2018 alla Fiera di Verona, mercoledì 21 febbraio, dal titolo Aria, bene comune. Politiche, azioni, tecnologie per ridurre le emissioni del riscaldamento domestico a biomasse” .

 

(Articolo di Alessandro Codegoni, pubblicato con questo titolo il 16 febbraio 2018 sul sito QualEnergia.it”)

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