Nell’ultimo anno 2.275 migranti morti nel Mediterraneo

 

Si stima che nel 2018 siano stati 2.275 i rifugiati e migranti che hanno perso la vita nel Mar Mediterraneo, con una media di sei decessi al giorno, il che rende questa rotta marittima «la più letale al mondo».

E oltre la metà di questi morti stava tentando di raggiungere l’Italia.

A confermarlo è l’ultimo rapporto Viaggi disperati, pubblicato oggi dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), che mostra come nell’ultimo anno siano arrivati in Europa 139.300 migranti, il numero «più basso degli ultimi cinque anni».

Il calo è stato costante, dall’oltre 1 milione di sbarchi in Europa nel 2015 ai 363mila del 2016, 172mila del 2017 e 116mila del 2018.

Un declino che non ha però reso meno pericoloso il viaggio, anzi.

In numeri assoluti i morti in mare sono diminuiti, dai 3.771 del 2015 ai 2.275 del 2018, ma lungo le rotte dalla Libia all’Europa, una persona ogni 14 arrivate in Europa ha perso la vita in mare, con «un’impennata vertiginosa rispetto ai livelli del 2017», quando si contava un morto ogni 38 persone.

Ora sono più del doppio.

E se è vero che in Italia nel 2018 gli arrivi di migranti sono continuati a scendere, così come anche il numero assoluto di morti e dispersi in mare (1.312 nel 2018 contro 2.873 nel 2017), altre rotte si stanno gonfiando: in Spagna gli arrivi sono aumentati del 131% rispetto al 2017 (e i morti e dispersi passati da 202 a 777), in Grecia del 45% (insieme a un altro forte incremento di morti e dispersi, da 59 a 187).

Soprattutto, altre migliaia di persone sono state ricondotte in Libia.

«La riduzione della capacità di ricerca e soccorso nel 2018 non è stata, tuttavia, una risposta a un minor numero di persone in partenza dalla Libia», sottolineano infatti dall’Unhcr.

Da sei mesi l’Italia ha deciso di porre fine allo sbarco nei porti italiani di persone soccorse al largo della costa libica, le navi delle Ong hanno subito crescenti restrizioni alle possibilità di effettuare operazioni di ricerca e soccorso, mentre è stata formalizzata una zona libica di ricerca e soccorso (Search and rescue region/Srr).

Tutto questo significa che la Guardia costiera libica ha incrementato le operazioni, col risultato che l’85% delle persone intercettate nella Srr sono state fatte sbarcare in Libia, dove «sono state detenute in condizioni tremende».

«Le persone soccorse o intercettate in mare e sbarcate in Libia vengono successivamente trasferite in centri di detenzione – spiegano dall’Onu – Le condizioni in tali centri sono spaventose; per esempio, nel mese di novembre, l’Unhcr ha riferito che in alcune strutture i detenuti hanno un accesso limitato al cibo, e si segnalava anche un’epidemia di tubercolosi.

Nel corso dell’anno si sono inoltre registrati diversi decessi nei centri di detenzione ufficiali».

È questo il prezzo che la politica dei “porti chiusi” sta facendo pagare.

Eppure «salvare vite in mare non costituisce una scelta, né rappresenta una questione politica, ma un imperativo primordiale – ricorda Filippo Grandi, Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati – Possiamo porre fine a queste tragedie solo trovando il coraggio e la capacità di vedere al di là della prossima imbarcazione, e adottando un approccio a lungo termine basato sulla cooperazione regionale, che dia priorità alla vita e alla dignità di ogni essere umano».

Molte al proposito le raccomandazioni che arrivano dall’Unhcr: in primis istituire urgentemente un meccanismo regionale, coordinato e prevedibile, per rafforzare le operazioni di soccorso in mare; sollecitare le autorità libiche a porre fine alla detenzione arbitraria di rifugiati e migranti intercettati o soccorsi in mare; rafforzare l’identificazione alle frontiere delle persone bisognose di protezione internazionale e garantire l’accesso alle procedure di asilo anche per le persone che entrano irregolarmente, oltre a porre fine alle pratiche di respingimento; facilitare il rimpatrio tempestivo, in sicurezza e dignità, delle persone che non risultano bisognose di protezione internazionale, o di avere esigenze umanitarie impellenti, a seguito di una procedura equa ed efficiente; migliorare l’accesso a percorsi sicuri e legali, rafforzando l’impegno degli Stati al reinsediamento, anche per le persone evacuate dalla Libia.

 

(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 30 gennaio 2019 sul sito online “greenreport.it”)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vas