Tav Torino-Lione: i copia e incolla di Salvini e la penale fantasma

 

Ormai la Tav Torino-Lione è diventata il nuovo motivo – probabilmente elettoralistico – sul quale traballa il governo del cambiamento.

Se il dossier/contro-analisi presentata dalla Lega del vicepremier Matteo Salvini si è rivelata un copia e incolla dei rapporti della Telt, il costruttore pubblico italo-francese, e dei suoi consulenti che vogliono realizzare a tutti i costi l’opera, l’altro vicepremier Luciano Di Maio non può deporre l’ultima bandiera – e quella più simbolica – contro le grandi opere ancora non ammainata dal Movimento 5 Stelle.

Una situazione di stallo guerreggiato fotografata bene dalla  senatrice di Liberi e Uguali  e presidente del gruppo Misto  Loredana De Petris: «È inutile che il ministro Salvini cerchi di mascherare la difesa a tutti i costi e contro ogni ragionevolezza della Tav parlando di diminuzione dei costi.

La Tav è il tunnel base, quello a cui la Lega non vuole rinunciare.

Ma non esiste alcuna ragione per proseguire con questa opera inutile, costosissima, ad alto e devastante impatto ambientale e oltretutto di difficile realizzazione, come dimostra il fatto che dopo 10 anni è stato fatto pochissimo.

La Tav deve essere assolutamente fermata senza sé e senza ma.

Ci auguriamo che questa volta Di Maio sia conseguente alle sue ultime dichiarazioni e prenda davvero una posizione netta e senza ripensamenti, senza genuflettersi ancora una volta ai diktat della Lega».

E questa volta il M5S non sembra disposto a mollare di fronte all’offensiva dell’alleato leghista che, quando si parla di Tav, diventa improvvisamente pan-europeista e richiama impegni presi con Bruxelles che a volte non esistono.

Secondo i portavoce del Movimento 5 Stelle in Commissione trasporti alla Camera, «è francamente deprimente veder ridurre la questione Tav a una sterile discussione tra chi dice “Sì” al progresso – che sono poi gli stessi che dicevano “Sì’ a Ruby nipote di Mubarak e al Ponte sullo Stretto – e chi dice “No”.

Non sono certo argomentazioni serie, né tanto meno sono queste le variabili da valutare per decidere su un’opera del genere.

“Ridiscutere integralmente l’opera” è quello che abbiamo concordato nel contratto di Governo e ricordiamo che i lavori per il tunnel del Tav Torino-Lione non sono mai iniziati: a dispetto di quanto sostenuto dal ministro Salvini, non esiste neanche un cm di linea ferroviaria.

Il ministro Toninelli invece ha giustamente avviato un’analisi costi-benefici che finalmente ci consentirà di capire se l’opera è sostenibile, anche dal punto di vista economico, per evitare ulteriore spreco di soldi pubblici.

Questa attenta valutazione tecnica denota grande senso di responsabilità con cui affrontiamo in maniera pragmatica e non ideologica ogni problema.

La stessa responsabilità che ci ha portato a concentrare l’attenzione sulle opere davvero utili per il Piemonte e per il Paese intero.

In Legge di Bilancio abbiamo stanziato 250 milioni per i ponti del Po e abbiamo un piano di circa 600 milioni che andranno ad Anas per il rifacimento di strade e viadotti piemontesi.

Inoltre, nei 13 miliardi del contratto di programma con Rfi, sono già stati stanziati fondi per il trasporto pubblico locale e per la messa in sicurezza e il potenziamento di nodi autostradali, ferroviari e aeroportuali.

E se il Tav non si dovesse fare, i soldi risparmiati saranno certamente investiti per la messa in sicurezza e l’ammodernamento delle infrastrutture fondamentali del territorio.

Sono queste le “grandi opere” da portare avanti perché sono le uniche davvero utili: hanno un grande impatto sulla vita quotidiana dei cittadini e possono davvero portare quel “progresso” tanto sbandierato a parole dalla vecchia classe politica ma mai realmente realizzato».

Intanto il movimento No Tav, dopo aver contestato Salvini in visita blindata al Cantiere di Chiomonte per promettere che la Tav si farà comunque, sceglie la strada dell’ironia per contestare quella che definisce «una nuova puntata della vicenda Tav e finanziamenti: una “fonte europea”, ripresa nel pomeriggio di lunedì con titoloni da prima pagina da tutta la stampa italiana, afferma che “non possiamo escludere, se ci sono ritardi prolungati, di dover chiedere all’Italia i contributi già versati” paventando il “rischio che, se i fondi non sono impiegati, possano essere allocati ad altri progetti”».

Si tratta degli 813,8 milioni di euro di cofinanziamento europeo stanziati per il periodo 2014-2019.

Ma i No Tav fanno notare che «sono soldi che non devono essere restituiti visto non sono stati ancora versati, e che riguardano opere mai eseguite. 

La causa del mancato cofinanziamento non è però l’attesa dell’analisi costi-benefici come suggerito dall’anonima “fonte europea” ma l’enorme ritardo accumulato in questi anni, le varianti e le modifiche progettuali che, oltre ad aumentare i costi facendo la felicità degli studi di progettazione, hanno allungato i tempi non consentendo di rispettare le scadenze fissate dal cofinanziamento.

Questi non sono incidenti di percorso, ma la logica stessa delle grandi opere inutili: non servono, ma farle permette di spendere montagne di soldi e più i tempi si allungano e meglio è, perché nel frattempo si possono costruire carriere politiche e distribuire appalti.

Non è utile completarle, ma costruirle, e tanto meglio se i tempi si dilatano».

NoTAV.Info analizza quel cofinanziamento europeo, che fa parte del Grant agreement del 2014, l’accordo tra Italia, Francia e Ue sulla parte transfrontaliera e sottolinea che «degli 813,781 milioni finanziati dall’Europa circa un quarto era destinato a “lavori principali” (main works), che nel lato italiano riguardavano la galleria di ventilazione in Val Clarea e i lavori preparatori nella piana di Susa.

La galleria è stata sostituita nell’ultima variante di progetto, e i lavori nella piana di Susa sono stati posticipati di qualche anno.

Questa parte del cofinanziamento non può essere quindi erogata dall’Ue.

Sono soldi che non possono essere erogati ora.

Vi erano poi sul lato italiano diverse centinaia di milioni co-finanziabili riguardanti lavori collaterali: 160 milioni per il collegamento Susa-Bussoleno, 14 milioni per il ricollocamento della pista di guida sicura.

Ma entrambi questi lavori sono stati posticipati a una fase successiva.

E poi c’erano 62 milioni per lo svincolo di Chiomonte, e 66,5 per rilocalizzare l’autoporto di Susa; queste due opere sarebbero dovute iniziare secondo i piani del cofinanziamento il 1 gennaio 2017 e terminare entro il 31/12/2018.

Il problema è che non solo non sono mai iniziate, ma neanche ancora appaltate!»

Secondo i No Tav «la vera notizia che bisognerebbe tirare dalla dichiarazione Ue è, semmai, che non esiste nessuna fantomatica penale di due o addirittura tre miliardi come agitato da PD, Forza Italia, Madamine e Lega.

Non si possono perdere soldi che ancora non sono stati spesi, possono invece essere risparmiati, utilizzati in qualche cosa di utile.

Ogni euro versato dall’Ue per la Tav comporta che l’Italia ne versi un altro, ogni euro che l’Ue non versa comporta un risparmio di un euro per le casse pubbliche.

Se il cofinanziamento europeo non verrà utilizzato l’unica conseguenza è che l’Italia risparmierà qualche miliardo di euro che altrimenti dovrebbe impiegare in un’opera inutile».

Anche secondo il Partito Verde Europeo non c’è nessun pericolo di sanzioni da parte dell’Unione europea in caso di abbandono del progetto della seconda linea Tav Torino-Lione. 

A confermarlo qualche giorno fa è stata la presidente della commissione  Trasporti e turismo del Parlamento europeo, la francese Karima Delli, che, in una nota congiunta con la co-presidente del Partito Verde Europeo Monica Frassoni, ha ricordato che «il governo italiano sta da mesi cercando l’accordo fra due forze politiche dai programmi completamente contraddittori.

Sono ormai 8 mesi che stiamo aspettando che l’analisi costi e benefici venga a nutrire un dibattito che è oggi ideologico e spesso slegato dai dati di fatto concreti.

Ribadiamo perciò la nostra convinzione che il tunnel della Valsusa non sia un’opera prioritaria né per l’Italia né per la Francia né per l’Europa.

Non si tratta, contrariamente alla convinzione di molti, di una nuova linea ferroviaria ad alta velocità. 

Del progetto originario di una linea ad alta velocità lunga 270 km, quello che rimane oggi è solo il tunnel della Valsusa, lungo 57,5 km.

Il progetto era stato proposto sulla base di stime di traffico in gran parte esagerate: tra il 1980 e il 2000, il traffico sulla linea attuale era di 7/10 milioni di tonnellate, mentre oggi si è ridotto a 3 milioni di tonnellate.

Anche il progetto si è negli anni prosciugato, riducendosi al tunnel, ossia la parte più mediatica ma anche meno necessaria»

La Delli e la Frassoni confermano quanto detto più volte dai No Tav e ignorato dai grandi media: «Non c’è inoltre alcun pericolo di sanzioni da parte dell’Unione europea.

L’Ue aveva deciso di finanziare solo opere preliminari e studi per 813 milioni di euro, in relazione al bilancio pluriannuale 2014-2020, chiaramente insufficienti per coprire tutta l’opera.

Non è stata ancora presa alcuna decisione in merito a quali opere andranno i fondi del bilancio 2021-2027.

Ciò significa che non sono ancora stati stanziati nuovi fondi e che non ci sono sanzioni da pagare».

Le due esponenti Verdi europee concludono: «Quello che invece è possibile e doveroso fare è potenziare la linea ferroviaria già esistente (attraverso interventi mirati che migliorino capacità ed efficienza di carico), che ha un potenziale pari a 20/21 milioni di tonnellate l’anno.

Non c’è alcuna giustificazione economica (né tantomeno ambientale) per la costruzione di un ulteriore valico, quando si può puntare sulla linea attuale. 

Riaprire seriamente la discussione sulla necessità di quest’opera, non solo in Italia ma anche in Francia e in Europa sarebbe un segno tangibile del fatto che i governi prendono sul serio la lotta ai cambiamenti climatici, investendo invece in posti di lavoro verdi, energie e infrastrutture sostenibili e innovative».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 5 febbraio 2019 sul sito online “greenreport.it”)

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