Le compagnie petrolifere complici delle atrocità in Sud Sudan

 

Mente in Sud Sudan migliaia di persone sono nuovamente costrette a fuggire dalle loro case a causa delle continue violenze, la Commission on Human Rights in South Sudan «esorta il governo del Sud Sudan e tutte le parti in conflitto a rispettare la cessazione delle ostilità e l’attuazione del nuovo accordo di pace firmato cinque mesi fa».

Nella sua terza relazione al Consiglio per i diritti umani a Ginevra, la Commissione constata che «continuano la violenza e le violazioni dei diritti umani, compresi stupri e violenze sessuali, che possono configurarsi come crimini di guerra».

Per quanto riguarda stupri e violenze sessuali, la situazione sembra notevolmente peggiorata rispetto al dicembre 2018, in particolare nello Stato del Northern Liech.

La presidente della Commissione, Yasmin Sooka, ha detto che «c’è un modello confermato di come i combattenti attaccano i villaggi, saccheggiano le case, prendono le donne come schiave sessuali e poi incendiano spesso le case con le persone dentro.

Gli stupri, gli stupri di gruppo, le mutilazioni sessuali, i rapimenti e la schiavitù sessuale, così come gli omicidi, sono diventati comuni in Sud Sudan. 

Non c’è dubbio che questi crimini sono persistenti perché l’impunità è così radicata che ogni tipo di norma viene infranta».

Secondo l’Unicef, il 25% delle vittime di violenze sessuali sono bambini e sono state stuprate anche bambine di 7 anni, ma le milizie non risparmiano le violenze nemmeno a donne anziane e alle donne incinte.

La Commissione ha anche ricevuto segnalazioni di uomini vittime di violenza sessuale e sottolinea che «la violenza sessuale e di genere nei confronti di uomini e ragazzi è ancora più sottovalutata di quella nei confronti di donne e ragazze in quanto vi è un maggiore livello di stima. 

Ci sono anche resoconti di stupri e uccisioni di giovani e anziani».

La Commissione ha documentato un caso di studio a Leer, nello stato meridionale dell’Unity,  dove più di 8.000 giovani sono stati reclutati per combattere dicendo loro: «Andate a prendere il bestiame dei Mayendit, rapite e stuprate le belle donne che trovate lì, rubate i loro averi».

Le milizie governative e ribelli sollecitano la vendetta tribale soprattutto da parte di chi ha perso parenti nel conflitto, dicendo loro che non avrebbero mai più avuto un’altra opportunità del genere.

La Commission on Human Rights in South Sudan ricorda che questa inferno ha origine nei  «decenni di violenze durante la lotta per l’indipendenza che  hanno contribuito ad alimentare l’attuale conflitto nel Sud Sudan» e il rapporto sottolinea che «una pace sostenibile richiede una ricerca concreta e credibile di responsabilità e giustizia che soddisfi i bisogni delle molte migliaia di vittime».

Uno dei commissari, Andrew Clapham, ha detto: «Riconosciamo gli sforzi del governo per ritenere responsabili alcuni responsabili di gravi violazioni dei diritti umani e di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, come il processo e la condanna dei soldati dell’Spla (Sudan People’s Liberation  Army, ndr) nel caso del Terrain Hotel.

Tuttavia, dobbiamo anche notare che l’impunità pervasiva rimane la norma».

La Commissione è da tempo preoccupata per la mancanza di progressi nell’istituzione dei meccanismi di giustizia per la transizione, in particolare dell’Hybrid Court for South Sudan, della Commission for Truth Reconciliation and Healing e della Compensation and Reparation Authority, che sono state istituite con l’accordo di pace del 2015 e rileva che in rinnovato accordo di pace «ha riaffermato l’importanza di queste istituzioni per costruire una pace sostenibile». 

Per questo viene chiesto al governo sudsudanese, all’Unione Africana e ai governi della regione che garantiscano la reale istituzione di questi organismi e che contribuiscano al consolidamento della pace nel Sud Sudan.

La Commissione ha anche esaminato le accuse di sfruttamento sessuale e abusi da parte delle forze di pace della United Nations Mission in South Sudan (Unmiss) e rivela che dal gennaio 2018 al gennaio 2019 sono stati registrati 7 di questi casi che hanno coinvolto 18 presunti colpevoli dell’Ummiss e dell’Onu e che «questi casi sono stati rapidamente indagati dalla missione delle Nazioni Unite, con il conseguente rimpatrio delle forze di pace implicate nell’attività sessuale con donne in uno dei siti di Protezione dei Civili. 

La Commissione ha inoltre raccomandato che l’attuale banca dati, che riflette solo gli incidenti che coinvolgono le forze di pace delle Nazioni Unite, dovrebbe essere ampliata per includere il personale dei partner attuatori».

Ma, in questo mare di infinita sofferenza, la cosa più preoccupante che emerge dal rapporto è il legame tra il conflitto e l’economia del Sud Sudan, dove, anche prima dell’indipendenza dal Sudan, «c’erano preoccupazioni per l’appropriazione indebita delle risorse naturali, in particolare del petrolio».

La Commissione evidenzia che «le aree petrolifere del Paese sono diventate sempre più militarizzate dalle forze governative, compresi i servizi di intelligence, che hanno ampliato il loro coinvolgimento nel settore petrolifero. 

Le operazioni della compagnia petrolifera di proprietà statale Nilepet sono state caratterizzate da una totale mancanza di trasparenza e supervisione indipendente, dirottando presumibilmente le entrate petrolifere nelle casse dell’élite del governo. 

Inoltre, le entrate petrolifere e le entrate provenienti da altre risorse naturali come il disboscamento illegale di teak hanno continuato a finanziare la guerra, consentendo la sua continuazione e le conseguenti violazioni dei diritti umani».

Il rapporto sottolinea il ruolo dell’industria petrolifera del Sud Sudan come «un importante motore per la continua violenza, le sofferenze umane che ne derivano e le violazioni del diritto internazionale all’assistenza umanitaria», avvertendo  che «Le compagnie straniere  potrebbero essere implicate negli abusi».

Il controllo delle risorse petrolifere è il premio in palio nella guerra civile e la Commissione denuncia che «un’offensiva governativa condotta nella prima metà del 2018 utilizzando  metodi estremamente violenti era finalizzata principalmente a garantire il controllo di aree vicine ai giacimenti petroliferi, pacificando o allontanando la popolazione civile».

I servizi segreti del regime del Sudan del Sud hanno ormai il controllo della Nile Petroleum Corporation (Nilepet), usata come forziere per finanziare la guerra civile e per arricchire le élite politiche ed etniche fedeli al governo.

Le compagnie petrolifere occidentali hanno ritirato le attività di produzione di petrolio nell’area prima che il Sud Sudan ottenesse l’indipendenza nel 2011, in parte a causa delle violazioni dei diritti umani, aprendo la strada alle compagnie asiatiche. 

La produzione di petrolio del Sud Sudan è ora dominata da tre joint venture tra Nilepet e Chinese National Petroleum Company, la Petronas della Malaysia e l’Indian Oil and Natural Gas Corporation.

Nel 2018, il Dipartimento del commercio Usa ha aggiunto queste  tre joint nella lista di società che violano la politica americana o gli interessi di sicurezza nazionale e ha detto che le compagnie petrolifere stavano «contribuendo alla crisi in corso nel Sud Sudan perché sono una fonte di entrate sostanziose che, attraverso la corruzione pubblica, vengono utilizzate per finanziare l’acquisto di armi e altro materiale che minano la pace, la sicurezza e la stabilità di Sud Sudan piuttosto che sostenere il benessere del popolo sud sud-sudanese».

La Commission on Human Rights in South Sudan ha affermato che le compagnie petrolifere internazionali «dovrebbero essere ben consapevoli del retaggio delle violazioni indiscriminate dei diritti umani associate alle esplorazioni petrolifere» e ha evidenziato che le compagnie petrolifere sono potenziale penalmente responsabili «per aver causato o contribuito al protrarsi del conflitto armato e alle violazioni nei confronti dei civili nelle loro aree operative. 

La comunità internazionale e il Consiglio per i diritti umani dovrebbero prestare maggiore attenzione al problema».

Per esempio, nell’ottobre 2018 la Svezia ha avviato un procedimento, per crimini contro i civili contro il presidente e l’amministratore delegato della compagnia petrolifera Lundin.

Una vicenda che risale alle operazioni militari della Spla della fine degli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000 per liberare dalle truppe sudanesi l’area per la produzione di petrolio, durante le quali si verificarono abusi diffusi.

Secondo la Commissione sono le principali vittime di questa ennesima guerra per il petrolio: le comunità vulnerabili, in particolare le donne e gli sfollati interni e i rifugiati, devono essere incluse nella progettazione della nuova giustizia del Sud Sudan. 

La Commissione «accoglie con favore la disposizione contenuta nell’Accordo di pace rivitalizzato secondo cui le donne devono costituire il 35%  dei partecipanti a tutti i livelli nelle istituzioni del governo di transizione, compresi i meccanismi di giustizia transitoria, ed esorta tutte le parti a rispettare e attuare questa importante disposizione».

La Commissione invita inoltre i Paesi della regione e la comunità internazionale a «investire, politicamente e materialmente, in questi meccanismi della giustizia di transizione, essenziali per costruire una pace sostenibile, nonché a sostenere il popolo del Sud Sudan nella ricostruzione di tutti gli aspetti della vita nazionale, in particolare delle regole del diritto. »

La Commissione sta continuando a documentare le violazioni e a conservarne le prove per i futuri processi quando anche per il martoriato Sud Sudan arriverò la pace e dice che «gli atti descritti come crimini di guerra nel nostro rapporto sono anche crimini dei diritti umani ai sensi della Convenzione sulla tortura e la Convenzione sulle sparizioni forzate, entrambi monitorati a Ginevra».  

Un altro commissario, Barney Afako, aggiunge che «le prove che abbiamo raccolto e conservato saranno a disposizione del pubblico ministero della futura Hybrid  Court e di altri meccanismi della giustizia transitoria.

Queste prove potranno essere utilizzate anche da organismi non sud-sudanesi: potrebbero essere disponibili su richiesta delle parti regionali e statali per futuri procedimenti giudiziari».

La Commissione non si nasconde che «considerato il protrarsi del conflitto, le sfide del Sud Sudan sono immense: le sue dimensioni etniche e le profonde divisioni, l’incapacità della popolazione di accedere all’economia, la mancanza di capacità finanziaria e di capacità organizzative e di risorse umane, sono ciò che viene percepito come un sistema di governo elitario disfunzionale e predatore».

La Sooka conclude: «Con una volontà politica sostenuta e una leadership efficace, il quadro e i meccanismi di giustizia transitoria possono contribuire a rendere responsabili, favorire la riconciliazione e la guarigione, mentre i sud-sudanesi affrontano il passato e assicurano la loro futura stabilità e prosperità».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 22 febbraio 2019 sul sito online “greenreport.it”)

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