Il comune di Firenze abolisce gli standard urbanistici

 

Ex Manifattura Tabacchi

Il Comune di Firenze abolisce gli standard urbanistici.

Quello che era sotto traccia nel Regolamento Urbanistico approvato nel 2014, diventa ora palese nel Piano di Recupero della ex Manifattura Tabacchi adottato nel gennaio del 2019.

Si tratta di una vera e propria torsione (o se si vuole “distorsione”) sostanziale e giuridica, ma tant’è: il Comune di Firenze, non contento di avere messo in svendita il patrimonio immobiliare fiorentino fa così un ulteriore passo a favore dei developers.

Già nell’aureo libretto «Florence, city of the opportunities», il Sindaco Nardella, assiduo frequentatore delle fiere immobiliari, aveva promesso facilitazioni ai potenziali acquirenti nella forma di varianti à la carte.

Ma evidentemente le opportunities dovevano diventare ancora più allettanti.

Come?

L’ultima trovata è stata di eliminare anche quei pochi spiccioli che il DM 1444/1968 richiede ai proprietari costruttori in forma di standard.

E’ quanto avviene nel Piano di Recupero della ex Manifattura Tabacchi, un immobile dismesso nel 2001, ora di proprietà della Cassa Depositi e Prestiti e del The Student Hotel, una società olandese che dal 2006 opera nel settore del business immobiliare, a caccia di immobili di prestigio da trasformare in lussuose strutture ricettive.

Il Piano di Recupero prevede che i quasi 10 ettari di superficie utile lorda del complesso diventino per il 32% abitazioni, per il 39 % uffici, per il 18% attività turistiche-ricettive, più qualche pizzico di commerciale e artigianale.

Anche escludendo dal calcolo i circa 300 studenti che saranno ospitati nel nuovo complesso, la legge vuole che siano reperiti standard per 636 abitanti [calcolati con il generoso rapporto di 42mq/abitante e non 25mq/abitante come prescrive la legge].

Come aggirarla?

Basta che le strade e le piazze interne al progetto e a questo strettamente funzionali, che correttamente vengono indicate sia nelle Norme Tecniche di Attuazione sia nella Convenzione, come opere di urbanizzazione primaria, diventino anche opere di urbanizzazione secondaria: e, già che ci siamo, addirittura standard di verde; in pratica, le stesse infrastrutture rivendute due volte.

Come, d’altra parte il Teatro Puccini, la “perla” della Manifattura, conteggiato negli standard, ma ceduto al Comune di Firenze in cambio volumi di nuova edificazione, quindi non gratuitamente.

La veste normativa viene fornita (o così dovrebbe) dall’art 36 del Regolamento Urbanistico che recita: «Si considerano piazze e aree pedonali gli spazi aperti prevalentemente pavimentati, con attraversamento veicolare precluso o regolato, delimitati e comunque chiaramente identificabili rispetto alle strade carrabili che in essi possono eventualmente confluire.

Tali aree, esistenti e di progetto, concorrono, per analogia funzionale agli spazi di verde pubblico-parchi, alla dotazione territoriale specifica (standard DM 1444/1968)».

Poco importa all’estensore della norma che a un atto come il Regolamento Urbanistico non è consentito di modificare la ratio delle leggi sovraordinate con interpretazioni e formulazioni che contraddicono la volontà sostanziale del legislatore; inconsistente a tal fine la torsione, più retorica che logica, di una presunta “analogia funzionale” tra piazze e giardini.

Difficile, infatti, comprendere in cosa consista questa analogia, dal momento che le superfici pavimentate e impermeabili non migliorano la qualità dell’aria, non regolano la temperatura, non offrono freschezza e ombra in estate, non fungono da filtro contro gli inquinanti atmosferici, non immagazzinano CO2 e acqua piovana, non favoriscono la biodiversità vegetale.

Equiparate così, capziosamente, a verde sono la “piazza centrale”, “l’hotel courtyard”, la “student courtyard,” la “strada degli artigiani”, la “piazza dell’orologio”, il “boulevard”, più due spazi denominati giardini, ma anch’essi piazze pavimentate sia pure con qualche albero ornamentale.

In sintesi, il verde viene abolito e i parcheggi in gran parte monetizzati, quindi non usufruibili in loco.
Una nuova Manifattura, privatistica, orientata al lusso, senza gli standard prescritti per legge, dove niente vi è di pubblico se non la possibilità di accedere agli spazi interni del complesso, sedersi al bar dell’albergo o sulle panchine delle piazze, accedere ai negozi o alle botteghe artigiane: ammesso che si facciano, perché per convenzione fino al 20% delle destinazioni può essere cambiato in corso d’opera.

«Attraverso l’iniziativa dei Cento Luoghi, i fiorentini sono stati chiamati a discutere del futuro della loro città, ed è emerso chiaramente quello che vogliono sia il futuro di questo complesso, con la scelta di una netta vocazione culturale e sociale che non aggravi, ma arricchisca la vita del quartiere, senza nette divisioni tra funzioni pubbliche e private…», così scriveva nel 2010 Matteo Renzi nella premessa al volume Settant’anni in fumo. Storia della Manifattura Tabacchi delle Cascine.

Gli abitanti del quartiere, organizzati in un comitato, hanno sempre chiesto che una parte del complesso fosse usufruibile per attività culturali aperte al pubblico, avanzando diverse proposte, tutte realistiche, tutte fattibili.

La risposta è stato un progetto che, nonostante le promesse di conciliare gli interessi dell’investitore con quelli degli abitanti, guarda solo alla convenienza privata.

Come dire che premesse e promesse contano poco in politica, niente nei confronti dei cittadini. 

(Articolo di Paolo Baldeschi, pubblicato con questo titolo il 7 marzo 2019 sul sito online “Eddyburg”)

 

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