Giorgio Vincenzi

Ambiente. Il 30% del territorio italiano è a rischio desertificazione.

Il top in Sicilia, ai primi posti in Europa con il 70%.

Parla l’esperto Marco Di Leginio.

Il degrado dei suoli è un problema grave che tocca tutti i continenti.

Stando all’ultima edizione dellAtlante mondiale della desertificazione pubblicato nel giugno scorso dal Centro comune di ricerca della Commissione europea, più del 70% della superficie terrestre è già degradata e oltre il 90% lo sarà entro il 2050.

 Ogni anno un’area pari a circa la metà dell’Europa lo subisce, con Africa e Asia tra i continenti dove maggiormente si fanno sentire gli effetti con un danno irreparabile che porterà a una riduzione delle produzioni agricole del 10% entro il 2050 e che colpirà maggiormente India, Cina e Africa sub-sahariana dove le produzioni si potranno addirittura dimezzare.

Il problema riguarda da vicino anche l’Europa, e quindi anche il nostro paese, in quei territori particolarmente sfruttati per fini agricoli dove spesso sono evidenti anche problemi di contaminazione dei suoli e delle falde.

Quando il degrado del suolo arriva a pregiudicare in modo irreversibile la capacità produttiva degli

ecosistemi si parla di desertificazione, intendendo con questo termine la somma di tante minacce che riguardano il suolo come per esempio l’erosione, la diminuzione della sostanza organica, la compattazione, la salinizzazione, ecc.

«Tra le cause che favoriscono queste minacce per il suolo vi sono il cambiamento climatico con siccità prolungate alternate a intense precipitazioni e l’aumento delle temperature», afferma Marco Di Leginio, del Dipartimento per il Servizio Geologico d’Italia Area per il monitoraggio e l’analisi integrata dell’uso del suolo e delle trasformazioni territoriali e i processi di desertificazione dell’Ispra, «ma anche quelle generate dall’uomo come l’urbanizzazione, gli incendi, l’agricoltura intensiva e altre ancora. Il tutto s’innesca su territori già fragili che ne amplificano gli effetti».

«L’Italia, secondo i risultati delle ultime mappature», racconta Di Leginio, «non è esente dal problema visto che più del 30% del territorio è soggetto a un grado medio-alto di vulnerabilità ambientale. Stando a questi dati nel decennio 1990-2000 la crescita è stata dell’ordine dello 0,7-0,8% nelle classi con grado medio-alto di vulnerabilità ambientale.

Stiamo parlando di circa tre milioni di ettari.

Se poi prendiamo in considerazione le singole regioni vediamo che il 70 per cento della superficie della Sicilia ha un grado medio-alto di vulnerabilità ambientale, seguono il Molise (58%), la Puglia (57%), la Basilicata (55%). Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania che presentano una percentuale di territorio compresa fra il 30% e il 50%; Calabria, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Veneto e Piemonte fra il 10 e il 25%. In Liguria, Valle dAosta e Trentino Alto Adige le percentuali sono abbastanza contenute: fra il 2% e il 6%.

In Pianura Padana, in particolare, i problemi relativi al suolo», ricorda Di Leginio, «sono maggiormente evidenti per quanto riguarda il consumo di questa risorsa.

La Lombardia e il Veneto sono ai primi posti come percentuale di suolo impermeabilizzato, rispettivamente con il 12,9% e 12,3% contro una media nazionale che è del 7,6».

Il resto d’Europa non è che se la passi meglio.

«È stata fatta una mappatura delle aree sensibili circa una decina di anni fa», ricorda Di Leginio, «per Spagna, Grecia, Italia, sud della Francia, Romania, Bulgaria più i paesi dell’ex Jugoslavia.

Da questa analisi è emerso che le aree maggiormente esposte al pericolo desertificazione le troviamo in larga parte della Spagna, in Sicilia, come ho ricordato poc’anzi, nel sud della Grecia e lungo le coste del Mar Nero, in Bulgaria e Romania».

Tra i settori produttivi che maggiormente risentono del problema della desertificazione dei suoli vi è sicuramente l’agricoltura limitandone notevolmente le potenzialità.

«A questo proposito possiamo prendere come esempio Maccarese (area vicino Roma, ndr)», ci racconta Di Leginio dell’Ispra, «caso studiato ampiamente dai colleghi del Crea.

Lì da decenni alcuni ecosistemi agrari sono gestiti con pratiche di fertilizzazione e fumigazioni ripetute, per combattere i parassiti delle piante che con il tempo hanno portato a un impoverimento della fertilità e della biodiversità microbica del suolo, che di fatto ha reso questi terreni completamenti sterili, desertificati per l’appunto.

In generale, come si può vedere dell’esempio fatto, la desertificazione», ci tiene a precisare il ricercatore dell’Ispra, «ha effetti negativi anche sulla biodiversità, sulla salute pubblica e sul benessere in generale.

Negli ultimi anni si parla infatti di servizi ecosistemici e cioè dei benefici che le persone ricevono dagli ecosistemi.

Per esempio al suolo, tramite le sue funzioni, sono riconosciuti una serie di servizi di fondamentale importanza quali il supporto alla vita ospitando piante, animali e attività umane l’approvvigionamento producendo biomassa e materie prime -, la regolazione dei cicli idrologici e un valore culturale in quanto archivio storico-archeologico e parte fondamentale del paesaggio.

Anche grazie a questi concetti, si sta tentando di tradurre in costi monetizzabili quello che deriva da un crescente degrado del suolo, inteso come perdita irreversibile di questa risorsa».

Cosa si può fare per limitare la desertificazione?

Sicuramente favorendo un’agricoltura più sostenibile e limitando il consumo di suolo.

In genere, all’urbanizzazione di nuove aree corrisponde l’abbandono di quelle agricole con il conseguente venir meno di una corretta gestione del territorio.

«In Italia non c’è una normativa che tuteli il suolo», fa presente Marco Di Leginio, «e manca un’efficiente rete di monitoraggio nazionale.

La proposta di Direttiva quadro sui suoli del 2006 è stata definitivamente ritirata nel 2014 e questo ha chiaramente danneggiato un paese come l’Italia dove l’eccessiva frammentazione delle competenze rimane un ostacolo per qualsiasi intervento di tutela».

Cosa aspettarci dal futuro?

«Domanda molto difficile a cui rispondere», afferma sconsolato Di Leginio, «perché le proiezioni future sulla desertificazione in senso stretto non sono mai state fatte.

Gli scenari climatici ci dicono che nei prossimi decenni i problemi come per esempio quello dell’erosione dei suoli sono destinati ad aumentare così come quelli legati al consumo di suolo, se si

continuerà con i trend attuali».

 

(Articolo di Giorgio Vincenzi, pubblicato con questo titolo il 21 marzo 2019 su “il manifesto”)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vas