Gli indigeni maya del Guatemala autoproducono energia e accusano Enel Green Power

 

Il villaggio 31 de Mayo, abitato da indigeni Ixil e Quiche, si trova nell’eco-regione di Zona Reina del municipio di Uspantán del l dipartimento di Quiché, nel  nord-ovest del Guatemala, a circa 300 Km a nord di Città del Guatemala ed è stato il primo dei 4 dell’area a costruirsi una propria centrale idroelettrica.

Gli indios Ixil sono stati spinti a prendere questa decisione dall’assenza dei servizi pubblici statali in questa remota regione  dove non esiste una fornitura di acqua potabile tramite condotte e i servizi medici ed educativi sono molto scarsi, come accade in molte zone rurali dove vivono ancora gran parte dei 17,3 milioni di abitanti del Guatemala.

Nelle comunità di Zona Reina, dove la popolazione della Zona Reina è prevalentemente indigena, composta principalmente dai Q’eqch’is che coesistono con altri popoli come gli Ixil, appartenenti come loro alla cultura Maya, l’acqua potabile proviene da sorgenti montane e viene stoccata in serbatoi  per poi essere distribuita attraverso tubazioni.

La centrale di 31 de Mayo, chiamata Héroes y Mártires de la Resistencia, consiste in una turbina che sfrutta le acque del fiume Putul, incanalate in un canale di cemento lungo 2 Km e che raggiungono uno di questi serbatoi da 40 m3, per produrre 75 kilowatt.

Il nome del villaggio,  31 de Mayo, ricorda la data in cui, nel 1998, circa 400 famiglie Ixil e Quiche furono reinsediate dal governo dopo la fine della guerra civile (1960-1996) tra indios e dittatura militare fascista.

Come spiega l’agenzia Inter Press Service (IPS), «queste famiglie facevano parte delle cosiddette Comunidades de Población en Resistencia, che durante il conflitto interno dovettero fuggire sulle montagne a causa della repressione dell’esercito, che le considerava basi della guerriglia.

Una volta reinsediata, ogni famiglia ha ricevuto un piccolo appezzamento di terreno, coltivato a mais e, soprattutto, a cardamomo (Elettaria cardamomo), di cui il Guatemala è il maggior produttore mondiale e uno dei maggiori esportatori».

Ma queste comunità  ribelli e sconfitte sono state abbandonate a sé stesse e anche gli altri tre insediamenti della  Zona Reina si sono dotati di energia elettrica autoprodotta come ha fatto 31 de Mayo: El Lirio nel maggio 2015, La Taña nel settembre 2016 e La Gloria nel novembre 2017.

IPS fa notare che «a differenza delle dighe di grandi dimensioni, che in genere utilizzano il 100% delle portate fluviali, le dighe di proprietà della comunità utilizzano solo il 10%, il che mantiene il flusso normale e impedisce alle comunità a valle di rimanere senza acqua.

Le 4 mini-centrali idroelettriche riforniscono i 4 villaggi in cui si trovano e altri 5 vicini con cui condividono la loro autoproduzione, andando a beneficio di un totale di 1.000 famiglie. 

Ma c’è ancora molto da fare per promuovere l’accesso all’energia in tutta la Zona Reina, dove sono state stabilite 86 comunità».

Però l’esempio si sta diffondendo e c’è un altro progetto approvato per altri 8  villaggi, nella vicina eco-regione di Los Copones, che condivideranno l’energia prodotta con altri 11 insediamenti vicini. 

Un progetto da 1,25 milioni di dollari finanziato in parte dalla cooperazione internazionale tedesca.

Come ha detto Zaida Gamarro di La Taña  all’IPS, «con questa luce possiamo fare tutto ciò che vogliamo, ai bambini che tornano da scuola basta collegare i loro computer e fare i compiti».

Prima che la vita era più difficile perché di notte le case erano illuminate con candele o lampade a cherosene (per chi poteva permetterselo).

Dopo l’arrivo dell’elettricità nei villaggi sono spuntate nuove attività come panetterie, officine meccaniche, falegnamerie, negozi che ora possono vendere elettrodomestici come i frigoriferi, un sogno in una zona caldissima.

Una svolta che si è concretizzata grazie al finanziamento dei cooperatori europei e al lavoro fatto a livello locale dall’associazione ambientalista Colectivo MadreSelva, responsabile della progettazione e della realizzazione dei progetti micro.idroelettrici.

Per l’energia che consumano le famiglie pagano in media 30 quetzales (circa 4 dollari), al mese, un costo inferiore a quello pagato dalle famiglie dei municipi dove l’elettricità è fornita da compagnie concessionarie.

L’idea che delle comunità indigene poverissime autoproducano l’energia si scontra con i forti interessi delle multinazionali energetiche che operano in Guatemala e con l’apatia e il rifiuto dei sindaci alleati con queste compagnie.

In particolare gli indigeni Ixil e Quiche  ce l’hanno con l’italiana Enel Green Power, che gestisce nell’area,il progetto idroelettrico Palo Viejo e che accusano di aver avviato «una campagna diffamatoria contro le dighe della comunità».

Gli attivisti maya hanno detto a IPS che «una centrale idroelettrica comunitaria va contro la logica commerciale di guadagnare sulle concessioni concesse dallo Stato e di essere fornitori esclusivi di tali servizi.

La compagnia ha manovrato per dividere la comunità di 31 de Mayo e circa 100 famiglie ha abbandonato, e quindi indebolito, il progetto, convinte da un evangelista pentecostale sudafricano, Gregory Walton, che ha offerto pannelli solari a coloro che lasciano l’iniziativa comunitaria».

Regina Ramos, della comunità 31 de Mayo, accusa: «C’è molta manipolazione da parte di Enel, vuole che crediamo che il progetto comunitario non funzioni, che solo la compagnia possa fornire una buona elettricità».

L’IPS scrive di aver cercato rappresentanti di Enel Green Power per avere la loro versione dei fatti, ma non ha ricevuto nessuna risposta.

Max Chaman Simac, presidente dell’Asociación Amaluna Nuevo Amanecer di La Taña attacca le multinazionali: «Non vogliamo compagnie come Enel, vengono solo per distruggere i nostri fiumi e non lasciano nulla nella comunità».

La centrale Enel di Palo Viejo  è entrata in funzione nel marzo 2012 con una capacità di 85 megawatt (MW)  e ora Enel ha in Guatemala 5 centrali idroelettriche sul totale di 640 impianti operativi in Europa e in America.

Gli abitanti dei villaggi di Zona Reina dicono che Enel è riuscita ad entrare nella eco-regione  grazie alla licenza concessa dall’allora sindaco di Uspantán, Víctor Hugo Figueroa.

Uno degli attivisti di MadreSelva, José Cruz, ha detto all’IPS che «faceva parte di una strategia di dominio territoriale a favore di progetti estrattivi».

Intanto, MadreSelva ha cercato di sviluppare progetti agroecologici che aiutino a conservare gli ecosistemi, in particolare nei bacini idrografici, e allo stesso tempo a generare reddito per le famiglie.

Sfruttando la mobilitazione per i progetti energetici, gli ambientalisti sono riusciti a mettere insieme un gruppo di donne che lavorano nella produzione di shampoo e saponi biologici, a base di piante, ceneri, sale e altri prodotti fatti in casa. In questo modo, le famiglie risparmiano denaro e ora alcune donne hanno iniziato a commercializzare questi prodotti naturali.

Mercedes Monzon, responsabile di questi progetti comunitari di Madre Selva ha detto all’IPS: «Stiamo incoraggiando orti casalinghi, nei quali coltivare piante come limoni, rosmarino, camomilla, ecc., oltre alle verdure coltivate da sempre».

Infatti, un’altra iniziativa per dare una qualche indipendenza economica alle donne è la produzione di brodi naturali, sulla base di rosmarino, basilico, aneto, prezzemolo e altre erbe per evitare l’acquisto di quei prodotti i cui imballaggi portano un notevole inquinamento nella zona.

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 19 aprile 2019 sul sito online “greenreport.it”)

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