Brasile, gli indios rispondono a Bolsonaro: non siamo poveri, lascia l’oro sottoterra

 

Qualche giorno fa, il Presidente neofascista del Brasile,  Jair Bolsonaro, aveva nuovamente auspicato l’apertura dei territori indigeni ad attività minerarie alle monocolture estensive, sostenendo che gli indios sono poveri in un territorio ricco.

I leader degli indios Yanomami e Yek’wana hanno risposto con un video e le principali associazioni dei  popoli indigeni hanno inviato   lettere a Bolsonaro nelle quali  ribadiscono la loro contrarietà all’estrazione petrolifera e mineraria nel loro territori.

Nella loro lettera i leader indigeni  di Hutukara Associação Yanomami- HAY, Associação Wanasseduume Ye’kwana – SEDUUME, Associação Yanomami do Rio Cauaburis e Afluentes- AYRCA, Associação das Mulheres Yanomami Kumirãyõma- AMYK, Associação Kurikama Yanomami- KURIKAMA, Texoli Associação Ninam do Estado de Roraima- TANER rispondono a un video pubblicato sul sito ufficiale del presidente della Repubblica del Brasile e dicono che «gli Yanomami che sembrano parlare al presidente non rappresentano il popolo yanomami.

Siamo riuniti in 6 associazioni della Terra Indígena Yanomami, pajés, sciamani e leadership  Yanomami e Ye’kwana.

Noi rappresentiamo il popolo Yanomami e Ye’kwana, scelti dalle nostre comunità per parlare in loro nome.

Siamo più di 26 mila Yanomami e Ye’kwana, che vivono nella Terra Indígena Yanomami.

Conosciamo i nostri diritti.

Non siamo bambini.

Non siamo bambini, siamo leader e rappresentanti del popolo e non siamo manipolati dalle ONG, come è stato detto. 

Sappiamo chi sono i nostri partner. 

Da prima che la terra fosse demarcata, erano dalla nostra parte e continuavano a difendere i nostri diritti».

Dopo aver chiarito chi rappresenta i loro popoli, gli indios ricordano che «il governo federale deve rispettare i suoi obblighi costituzionali e garantire i diritti degli indigeni scritti nell’articolo 231 della presente Costituzione: è compito dello Stato prendersi cura della salute, dell’istruzione e proteggere il nostro territorio. 

Il governo deve rafforzare la Funai (Fundação Nacional do Índiondr) in modo che possa lavorare per i diritti delle popolazioni indigene».

Poi gli indios rispondono direttamente a Bolsonaro: «Gli Yanomami e gli Ye’kwana non vivono in povertà, come è stato anche detto. 

La nostra ricchezza non è poter vendere la terra, prendere l’oro. 

La nostra ricchezza è di vivere bene nella nostra terra, nella foresta, avere i fiumi puliti, la salute della gente. 

Siamo contrari alla legalizzazione del settore minerario nel nostro territorio. 

L’oro per noi deve restare sotto terra. Vogliamo un reddito che provenga dai nostri progetti che rispettano la nostra foresta, come stiamo facendo nelle nostre comunità. 

Siamo i brasiliani legittimi, provenienti dalla terra, dove siamo nati e dove moriremo. 

Non vogliamo essere uguali ai non indios. 

Parlando portoghese, possiamo diventare un dentista, un avvocato, ma il nostro sangue continua ad essere Yanomami e Ye’kwana».

Gli Yanomami  mandano a dire a Bolsonaro che non si sentono poveri ma che hanno una vita ricca nel mezzo della foresta.

Davi Yanomami, lo storico leader di questo popolo,  ribatte: «Tu dici che gli Yanomami stanno morendo di fame e sofferenza. 

Tra noi,  Yanomami, nessuno sta soffrendo. Nessuno sta soffrendo la fame».

La lettera dei leader indigeni nasce dalla necessità di smentire le dichiarazioni di Timóteo Yanomami, un indigeno  Yanomami che ha partecipato all’incontro con Bolsonaro senza avere la legittimità di parlare a nome della sua gente.

Eliseu, leader della Texoli Associação Ninam ha detto che «Timóteo non rappresenta alcuna organizzazione che esiste nello Stato di Roraima».

Inoltre, Bolsonaro dice di voler avere  una relazione con gli indios  senza intermediari. 

Ma chi ha organizzato la riunione a Brasilia è il senatore Chico Rodrigues dei Dem (destra) che ed è stato denunciato dagli indios in quanto proprietario di un aereo che rifornisce  le imprese minerarie illegali nel territorio di una riserva Yanomami.

Roberval, del direttivo di  Ayrca, Maturacá Terra Yanomami ribadisce: «Tra noi Yanomami e Ye’kawna, nessuno è povero. 

Siamo un popolo che non ha bisogno di vendere la propria terra, la propria ricchezza. 

Vogliamo tenerla viva e vegeta, è molto importante.

Per mantenere viva la terra, l’oro deve restare sottoterra. 

L’oro deve restare laggiù. 

Vogliamo del reddito, ma secondo progetti già pianificati. 

Non vogliamo vendere la nostra terra per danneggiare la nostra vita, la nostra cultura e il nostro popolo. 

Devi guardare al futuro degli Yanomami, devi vivere come hai sempre vissuto».

Bolsonaro difende le miniere d’oro e dice di essere stato lui stesso un cercatore d’oro. 

Parole che sono musica per gli orecchi degli oltre 7.000 cercatori che attualmente invadono la terra indigena degli Yanomami, contaminando il suolo, i pesci e l’acqua con il mercurio. 

Si tratta della più grande  grande invasione dei territori indigeni  Yanomami dopo la grande corsa all’oro degli anni ‘80 e ‘90, quando più di 40.000 minatori invasero la foresta Yanomami e il 20% degli Yanomami morirono per epidemie e attacchi armati dei minatori illegali spalleggiati dalle forze dell’ordine.

Le ONG brasiliane che difendono i diritti degli indios denunciano che oggi la situazione dei fiumi Uraricoera e Mucajaí è preoccupante. 

Nel primo trimestre del 2019 la torbidità delle loro acque è aumentata rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti.

David si rivolge di nuovo direttamente a Bolsonaro: «Noi Yanomami vogliamo parlare di come hai attaccato la nostra gente, il nostro nome. 

Non posso usare il nome di popolo Yanomami perché ci manchi di rispetto.

Noi ti stiamo rispettando. 

Tu sei il presidente del Paese. 

Non stai mostrando la buona strada, il lavoro di qualità. 

Stai mostrando lavori sporchi, l’attività minerarie, le attività minerarie nella terra degli indigeni. 

Scarichi il bestiame nella nostra terra. 

Non dobbiamo allevare i manzi. 

Abbiamo già il nostro cibo. 

L’usufrutto della nostra madre Terra.

L’usufrutto della foresta, dove siamo nati e viviamo.

Nel mio gruppo, siamo guerrieri per difendere il nostro diritto, per proteggere le nostre buone terre. 

Non vogliamo che le autorità rovinino la nostra foresta. 

Pensaci prima di distruggere e maltrattare il mio popolo yanomami. 

Non è così che un uomo dice di no. 

Questo è quello che volevo dirti».

Floriza da Cruz, la leader dei Maturaca aveva già risposto alle dichiarazioni di Bolsonaro sulla Funai: «Sarò diretta. 

Presidente, oggi la nostra Funai non ci aiuta perché il governo brasiliano non fornisce aiuti alla Funai e non le dà risorse. 

E’ un obbligo del governo brasiliano aiutare la Funai affinché non si estingua.

Parlo per gli Yanomami».

Julio Yek’wana, leader del popolo Yek’wana, conclude: «Vogliamo che il governo federale adempia ai suoi doveri in materia di salute, territorio e istruzione, secondo la Costituzione federale del 1988».

La costituzione democratica del Brasile uscito dalla dittatura militare fascista, un regime illiberale e sterminatore di indios e oppositori di sinistra al quale Bolsonare si ispira dichiaratamente.

Stephen Corry, direttore di Survival International, conclude: «Il presidente Jair Bolsonaro ha “dichiarato guerra” ai popoli tribali del Brasile: ha separato la Funai, il dipartimento governativo degli affari indigeni, dal ministero della giustizia e lo ha messo sotto il controllo del ministro Damares Alves, un predicatore evangelico la cui ONG è sotto inchiesta per incitamento all’odio razziale contro le popolazioni indigene; ha tolto alla Funai la responsabilità di mappare i territori indigeni e l’ha assegnata al ministero dell’agricoltura, che è gestito da politici anti-indigeni della lobby dell’agrobusiness: ha redatto decreti redatti per rendere più difficile la protezione dei territori indigeni e per “monitorare” gli alleati delle popolazioni indigene e altro ancora …

Queste mosse provocano un disastro per i popoli tribali a livello nazionale e potrebbero spazzare via dozzine di tribù in contattate. 

Ma in tutto il Paese, i popoli indigeni stanno combattendo. 

Non lasceranno che nessuno rubi la loro terra, perché senza di essa non possono sopravvivere».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 3 maggio 2019 sul sito online “greenreport.it”)

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