Gran Sasso, l’Osservatorio in Senato: «Insicuro l’acquifero che rifornisce 700mila cittadini»

 

La Strada dei Parchi spa, che ha in concessione la costruzione e l’esercizio dell’autostrada A24 (Roma-Teramo) e della A25 (Torano-Pescara) e i servizi a loro connessi, ha annunciato l’intenzione di chiudere il traforo del Gran Sasso di A24 per «evitare di incorrere in ulteriori contestazioni correlate a presunti pericoli di inquinamento delle acque di superficie», pur ribadendo «la propria totale estraneità rispetto alle ipotesi di reato contestate».

Si tratta di un’ipotesi che rischia di tagliare in due la viabilità dell’Abruzzo, e per valutare il da farsi il ministero delle Infrastrutture – cui Strada dei Parchi avrebbe comunicato la decisione già il 5 aprile scorso, ricevendo risposta il 10 aprile – ha convocato un incontro per domani.

Che cosa c’è in ballo?

A fare il punto della situazione è stato oggi l’Osservatorio indipendente sull’acqua del Gran Sasso (promosso da Wwf, Legambiente, Mountain wilderness, Arci, ProNatura, Cittadinanzattiva, Guardie ambientali d’Italia, Fiab, Cai e Italia Nostra), che ha tenuto una conferenza stampa in Senato per illustrare «la situazione di grave pericolo per l’acquifero del Gran Sasso in Abruzzo che rifornisce d’acqua circa 700.000 cittadini delle province di L’Aquila, Teramo e Pescara».

«L’acquifero – riporta l’Osservatorio – è reso insicuro dalle due gallerie autostradali dell’A24 Roma-Teramo (oltre 10 km ciascuna), attualmente gestita dalla Strada dei Parchi spa, e dai Laboratori sotterranei dell’Istituto nazionale di fisica nucleare che sono stati realizzati sotto il Gran Sasso dal 1969 al 1987, a diretto contatto con la falda».

Nello specifico, la «mancata impermeabilizzazione delle gallerie e dei Laboratori ha determinato negli anni molteplici problemi, i più gravi dei quali si sono verificati il 16 agosto del 2002 quando una fuoriuscita di trimetilbenzene durante un esperimento condotto nei Laboratori determinò la perdita della sostanza nell’acquifero e da questa nella rete di distribuzione, e l’8/9 maggio del 2017 quando per due giorni fu vietato il consumo di acqua in gran parte della provincia di Teramo a seguito dell’intervento della Asl che aveva evidenziato problemi nell’acqua proveniente dalle captazioni del Gran Sasso.

A seguito di quest’ultimo incidente il 13 settembre prossimo inizierà un processo presso il Tribunale di Teramo che vede imputati i vertici della Strada dei Parchi spa, dell’Infn e della Ruzzo Reti.

I reati contestati sono l’inquinamento ambientale (art. 452 bis CP) e il getto pericoloso di cose (art. 674 CP)».

È in questo contesto che si inserisce l’annunciata chiusura del traforo del Gran Sasso, per evitare l’accusa di reiterare i reati ipotizzati, ma come sottolinea anche l’Osservatorio la chiusura «isolerebbe l’Abruzzo rispetto Roma, e renderebbe molto più difficile il collegamento tra i due versanti».

Che fare dunque?

Parallelamente al percorso giudiziario, la Regione Abruzzo (con delibera del 29 aprile) ha avanzato la richiesta di dichiarazione di emergenza e nomina di un commissario straordinario governativo per la messa in sicurezza del sistema Gran Sasso.

E il Governo, attraverso il ministero delle Infrastrutture ha confermato la volontà di accogliere tale richiesta annunciando la predisposizione di un apposito emendamento nella conversione in legge del decreto Sbloccacantieri.

«In realtà – sottolineano dall’Osservatorio – non è la prima volta che si arriva alla nomina di un commissario da parte del Governo.

Già a giugno 2003 fu dichiarato lo stato di emergenza socio-ambientale nel territorio interessato dagli interventi di messa in sicurezza del sistema Gran Sasso a cui seguì nel luglio del 2003 la nomina di Angelo Balducci come Commissario straordinario, poi prorogata per anni e chiusa solo nel 2009.

Come ha recentemente attestato anche la richiamata perizia dei consulenti nominati dalla Procura di Teramo, nonostante gli oltre 80 milioni di euro spesi, gli interventi effettuati durante il commissariamento non hanno, se non in minima parte, risolto la mancanza di impermeabilizzazione nelle gallerie e nei laboratori, tanto è vero che, a distanza di anni, il problema è rimasto sostanzialmente invariato e si torna a chiedere un commissario».

Visti i fatti pregressi, l’Osservatorio ribadisce che qualsiasi ipotesi di commissariamento dovrà muoversi lungo cinque pilastri, che riportiamo di seguito integralmente:

  • l’accelerazione delle procedure non può essere a scapito del rispetto della normativa posta a difesa dell’ambiente e della salute umana: l’acquifero del Gran Sasso fornisce acqua ad oltre la metà degli abruzzesi e si trova all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga;
  • la messa in sicurezza questa volta deve essere completa e definitiva. Non si tratta di superare una situazione d’emergenza per la paventata chiusura delle gallerie autostradali, ma di rendere finalmente impermeabili gallerie e Laboratori rispetto all’acquifero;
  • per rendere veramente sicuro l’approvvigionamento d’acqua dal Gran Sasso è necessario  che lo Stato individui ingenti fonti finanziarie. Trattandosi di opere nazionali deve essere tutto il Paese a farsi carico di questa esigenza. Si tratta di almeno 170 milioni di euro, secondo quanto riportato nella delibera n. 33 del 25 gennaio 2019 “Gestione del rischio nel sistema idrico del Gran Sasso – DGR n. 643 del 7.11.2017. Definizione attività urgenti ed indifferibili”: una cifra considerevole che dovrà essere amministrata bene e in maniera trasparente;
  • partecipazione e trasparenza sono due aspetti fondamentali che mal si conciliano con una gestione commissariale. Ma proprio per evitare di ritrovarsi tra 15 anni nella stessa situazione di oggi, va evitato il modello del commissariamento del 2003 quando calò su tutta la vicenda il più assoluto silenzio. L’acqua, bene fondamentale per la vita e l’economia di un territorio, deve essere gestita in trasparenza, assicurando informazione e partecipazione;
  • va garantito l’abbassamento del rischio per l’acqua avviando da subito le azioni necessarie per rimuovere dai Laboratori le sostanze pericolose che peraltro già oggi non potrebbero essere stoccate all’interno di un acquifero. La loro presenza nei Laboratori (ad es. circa di 1.000 tonnellate di acqua ragia e 1.292 tonnellate di trimetilbenzene) contrasta con la normativa “Seveso” (Decreto legislativo n. 105/2015) sulle strutture a rischio di incidente rilevante, come sono classificati i Laboratori dell’INFN fin dal 2002, e della normativa a protezione degli acquiferi.

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 13 maggio 2019 sul sito online “greenreport.it”)

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