Le Regioni e le Province Autonome bocciano il disegno di legge in materia di semplificazione e codificazione

 

POSIZIONE SUL DISEGNO DI LEGGE RECANTE: “DELEGHE AL GOVERNO IN MATERIA DI SEMPLIFICAZIONE E CODIFICAZIONE” (AC N.1812)

Parere, ai sensi dell’articolo 2, comma 5, e dell’articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281

Punto 1) O.d.g. Conferenza Unificata

Il disegno di legge recante deleghe al Governo in materia di semplificazione e codificazione, approvato il 28 febbraio 2019, presenta molteplici profili di criticità di ordine istituzionale, costituzionale e di architettura normativa.

Il disegno di legge viene presentato senza una preventiva analisi di fattibilità organizzativa restando, peraltro, impregiudicata la necessità di effettuare l’analisi d’impatto della regolamentazione sui decreti delegati.

Emerge in proposito una prima criticità che consiste nel non avere previsto un adeguato coinvolgimento dei legislatori regionali già nella fase di definizione dei contenuti e dei criteri della legge delega.

La giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 278 del 2010 e, soprattutto, n. 251 del 2016) ha già sancito il principio in base a cui la leale collaborazione tra Stato e Regioni può incidere perfino il procedimento legislativo, qualora l’intreccio fra materie e competenze in oggetto sia così stretto da impedire un netto riparto tra fonti.

Nel caso di specie, questo principio dovrebbe valere già nella fase di delega in quanto gli oggetti del disegno di legge riguardano un’ampia gamma di materie riconducibili a competenze regionali, concorrenti o residuali.

Deve essere, pertanto, evitato che la produzione legislativa, statale e regionale, prosegua senza tenere conto dei criteri contenuti nella delega stessa.

Questo mancato coordinamento tra sfere di legislazione è acuito dall’utilizzo dello strumento del decreto legislativo come fonte di codificazione: se ammissibile, in via teorica, per interventi limitati a oggetti di potestà esclusiva statale, non si presta a disciplinare materie che nel diritto vivente sono regolate da fonti giuridiche sovrapposte.

Si configura poi – in ragione dei numerosi oggetti della delega, alcuni dei quali non del tutto definiti, e della genericità di alcuni dei principi e criteri direttivi – un ricorso alla legislazione delegata che potrebbe produrre effetti distorsivi del modello teorico di attribuzione della funzione legislativa, in violazione dell’art. 76 della Costituzione.

A titolo meramente esemplificativo si fa riferimento all’art. 6 che al comma 1 individua un’ampia delega che investe tutti i temi della politica energetica, mentre al comma 2 enuncia principi e criteri direttivi specifici che paiono limitati alla sola armonizzazione della disciplina degli incentivi.

Il tema del coordinamento fra Stato e Regioni, nella perdurante mancanza dell’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali, come prevista dall’articolo 11 della Legge costituzionale n. 3/2001, resta attuale: concertazione interistituzionale e leale collaborazione sono strategie da implementare già nella fase che precede le scelte di politica istituzionale e territoriale. Un’apertura in questo senso potrebbe venire dall’applicazione dell’art. 15-bis del decreto-legge n. 91 del 2017 (convertito dalla legge n. 123/2017), ai sensi del quale la Commissione parlamentare per le questioni regionali può svolgere attività conoscitiva e consultare rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e Province autonome, della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e delle associazioni di Enti locali.

Si potrebbe dare corso a tale innovazione proprio nell’ottica di avviare un processo di codificazione, semplificazione e riordino, quale quello perseguito dal Governo con l’approvazione del testo in esame.

Come è noto, ai sensi del terzo comma dell’art. 117 della Costituzione, nelle materie di legislazione concorrente “la potestà legislativa spetta alle Regioni, tranne che nella determinazione dei principi fondamentali, riservata allo Stato” mentre, ai sensi del quarto comma, “spetta alle Regioni la potestà legislativa non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.

Si evidenzia, infine, che per le materie oggetto di codificazione di cui all’art. 3 del disegno di legge è prevista un’intesa nel caso in cui si verta in materie di legislazione concorrente ma solo se siano previsti modelli procedimentali uniformi; diversamente e quindi sia nel caso in cui non siano previsti tali modelli sia nell’ipotesi in cui si verta in materie di competenza residuale (es. art. 5), il comma 6 dell’articolo 3 prevede l’acquisizione di un semplice parere della Conferenza Unificata.

La formulazione sembra, quindi, esautorare le Regioni dal percorso di semplificazione e codificazione su materie per le quali lo Stato non ha competenza.

Tale approccio, tra l’altro, sembrerebbe in profondo contrasto con i percorsi avviati in materia di attuazione dell’art. 116, comma 3 della Costituzione.

Tra i criteri direttivi della delega si segnalano, in materia di semplificazione amministrativa, quelli che riproducono in larga misura i criteri dell’art. 20 della legge n. 59/1997, modificati ripetutamente nel tempo fino all’ultima legge annuale di semplificazione (legge n. 246/2005) e antecedenti alle innovazioni introdotte nell’ultimo decennio nella disciplina generale del procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241/1990 in materia di SCIA, di conferenza dei servizi, di termini del procedimento, di poteri sostitutivi, di silenzio assenso tra amministrazioni, nonché nel quadro dello sviluppo delle politiche di liberalizzazione, da ultimo, la legge 124/2015.

Si ribadisce che i decreti delegati al riassetto normativo di cui all’art. 3 dovranno individuare i modelli procedimentali uniformi e i livelli minimi di semplificazione cui le regioni “dovranno conformare i propri ordinamenti”.

Questa previsione sembra volere esplicitare e specificare materia per materia i livelli essenziali già contenuti nella legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo, con la conseguenza che le Regioni, se, non adeguatamente coinvolte nell’adozione dei decreti relativi alle materie concorrenti (es. tramite “intesa forte”), vedranno ulteriormente erose le loro prerogative costituzionali, a danno dell’organicità dell’ordinamento e della qualità dell’azione amministrativa.

Dopo oltre un decennio, in cui le Regioni sono state impegnate nella condivisione con lo Stato e le Autonomie Locali di percorsi di semplificazione fondati su una disciplina generale del procedimento, quale livello essenziale delle prestazioni e principio generale da applicare a tutte le amministrazioni statali, regionali e locali, l’assenza di rinvii alla disciplina della Legge n. 241/1990 potrebbe configurare il rischio di un “passo indietro” che rimette alla codificazione di settore l’applicazione di tali istituti.

Tutto ciò rischia di rimettere alle discipline di settore il prezioso lavoro di “omogeneizzazione e standardizzazione delle procedure e della modulistica”, di attuazione del SUAP e di semplificazione in materia edilizia, condiviso tra le Regioni e il Dipartimento della Funzione Pubblica, nell’ambito dei lavori dell’Agenda per la Semplificazione, ancora in corso, tramite gli specifici tavoli a cui partecipano tutti gli stakeholders coinvolti nel percorso di semplificazione.

Il nostro Paese, ad oggi, non si trova all’“anno zero” della semplificazione, poiché molte sono le disposizioni, più o meno attuate, che si sono occupate di alleggerire gli oneri per cittadini ed imprese nei loro rapporti con le diverse Amministrazioni. 

Da più parti si sostiene che non occorrano nuovi interventi regolatori ma, piuttosto, sia necessario attuare e coordinare la normativa esistente.

Il disegno di legge, invece, sembra non tener conto delle coordinate di riferimento che fino ad oggi hanno guidato l’azione di semplificazione del legislatore, con il rischio di operare stratificazioni pericolose per interpreti ed operatori.

Si rileva, altresì, che è paradossale prevedere in un provvedimento che si prefigge di semplificare il panorama amministrativo e normativo, ulteriori organismi che svolgono compiti sovrapponibili o quantomeno simili a quelli di organismi già operativi.

Tutto ciò, oltreché un aggravio burocratico, comporta uno spreco di risorse pubbliche, censurabile dalla Corte dei Conti (tale rilievo era stato, peraltro, già evidenziato in sede di parere sul disegno di legge “c.d. Concretezza nella P.A.”).

Vedi in proposito art. 1 comma 4.

Inoltre, è palese la mancanza di un coinvolgimento delle istituzioni territoriali e, in particolare, delle Regioni all’interno di questa architettura, sul piano sia normativo sia amministrativo, non essendo sufficiente la consultazione della Conferenza unificata – a titolo di parere o d’intesa, secondo i casi – in fase di adozione dei decreti delegati di riassetto normativo. Infatti questo coinvolgimento dovrebbe essere garantito attraverso la partecipazione delle Regioni agli organismi suddetti e, ancora prima, tramite un’elaborazione condivisa tra Stato e Regioni dei contenuti della legge-delega.

Non passa inosservata nemmeno la mancanza di chiare previsioni che considerino seriamente la consultazione degli stakeholder, i quali sembrano coinvolti soltanto nell’ambito delle attività della Cabina di regia laddove è previsto (v. art. 4, comma 4, lettera d)) che debba svolgere l’attività di consultazione ai fini della definizione degli interventi di semplificazione.

Peraltro, non è chiaro dal testo del disegno di legge quale rapporto s’instauri tra i vari organismi da esso istituiti e quelli oggi in essere per il presidio dell’Agenda cioè il Comitato e il Tavolo di cui agli accordi in Conferenza unificata siglati in attuazione del D.L. n. 90/2014.

In particolare, ci si riferisce alla istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri di una Commissione per l’attuazione delle misure di semplificazione (art. 1) e di un di un Comitato interministeriale per il coordinamento delle attività di semplificazione e codificazione il quale si avvale della suddetta cabina di regia istituita presso il DAGL (art. 4): questi organismi si aggiungono all’Unità per la Semplificazione e la qualità della regolazione (riordinata dal ddl in esame) e alle altre strutture pubbliche già attive nel settore della semplificazione normativa e amministrativa.

Preoccupante appare la previsione di una commissione con capacità di intervento diretto nell’attività regolamentare e amministrativa regionale, senza alcuna indicazione procedurale né di tempi né di modalità, con il rischio di rallentare in maniera sostanziale l’azione amministrativa.

Sarebbe dunque utile approfondire quale possa essere il ruolo della cabina di regia proposta, se essa non sia de facto svuotata da quella già prevista nel “Patto per la semplificazione per il triennio 2019-2021” tra Governo, Regioni ed Enti Locali, frutto di una recente iniziativa del Ministro per la pubblica amministrazione, tenendo conto che le previsioni del disegno di legge sembrano ricomprendere gran parte delle priorità indicate per il menzionato Patto per la semplificazione e prevedere un metodo di lavoro che si limita ai pareri della Conferenza.

In ogni caso, si osserva che la compagine della istituenda Commissione (presieduta da un magistrato e composta da non oltre dieci componenti scelti tra i magistrati delle giurisdizioni superiori e avvocati, professori ordinari di materie giuridiche e dirigenti pubblici) appare sproporzionata rispetto al compito che è chiamata a svolgere, cioè esprimersi d’ufficio su “la conformità alla legge e alle altre disposizioni normative degli adempimenti e degli oneri regolatori, inclusi quelli amministrativi e informativi, richiesti da provvedimenti amministrativi, da atti amministrativi generali e da atti normativi di rango secondario”.

Va ricordato che nel febbraio scorso il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome ha chiesto un confronto al Ministro per la Pubblica amministrazione proprio sul percorso di approvazione del disegno di legge in esame, rilevando che per l’adozione del Decreto Legge n. 135/2018, convertito nella Legge n. 12/2019, il Governo ha omesso di acquisire il parere della Conferenza unificata, benché il provvedimento citato contenesse aspetti che intrecciano competenze regionali.

Le Regioni hanno invece accolto con favore la proposta del Ministro Bongiorno del Patto per la semplificazione: l’esperienza insegna che una politica condivisa si costruisce in un processo di ascolto reciproco nell’elaborazione comune e in una forte dimensione operativa, di grande concretezza per la realizzazione di risultati operativi che rispondano alle domande degli stakeholder.

Sulla base delle considerazioni svolte, si ritiene che il disegno di legge, per come attualmente impostato, possa essere contestato per violazione dei principi di leale collaborazione interistituzionale, ragionevolezza, proporzionalità delle misure adottate rispetto al fine perseguito e buon andamento dell’azione amministrativa, nonché per violazione delle competenze legislative regionali.

Nel dettaglio, con l’intento di rispondere in modo coerente ed efficace alle aspettative dei cittadini e delle imprese, si formulano alcune osservazioni.

Art. 1, comma 1

  • La Commissione per l’attuazione delle misure di semplificazione, pur non essendo organo terzo, quale può essere un’autorità indipendente, dispone di poteri eccessivamente invasivi in ordine all’azione delle Amministrazioni, quali: ◦ iniziativa d’ufficio (lett. b));
  • labilità dei criteri di priorità di intervento in caso di eccessivo carico di istanze (lett. d));
  • obbligo di adeguamento dell’Amministrazione entro i termini previsti, senza alcun contraddittorio e con la previsione di conseguenze penali (lett. e));
  • possibilità di riduzione dei trasferimenti previsti, in caso di reiterati interventi nei confronti della medesima amministrazione (lett. i)).
  • In questo quadro desta ancor più perplessità la previsione del comma 1, lett. b), che consente a chiunque di proporre istanza alla Commissione per l’attuazione delle misure di semplificazione, per verificare la “conformità alla legge e alle altre disposizioni normative degli adempimenti e degli oneri regolatori, inclusi quelli amministrativi e informativi, richiesti da provvedimenti amministrativi, da atti amministrativi generali e da atti normativi di rango secondario”.

Deve essere osservato che l’art. 1 introduce una sorta di ricorso amministrativo gerarchico improprio di carattere generalizzato, che può intralciare qualsiasi azione amministrativa.

L’oggetto della valutazione della Commissione, poi, potrebbe impattare su contenuti di merito degli atti esaminati.

Peraltro la Commissione non avrebbe un termine per agire rispetto alla data del provvedimento: potrebbe farlo d’ufficio – e non è specificato con quale criterio – o su istanza dell’Unità per la semplificazione o su istanza di “chiunque” (quindi per adire la Commissione non esisterebbe alcun titolo necessario di legittimazione).

Come accennato, l’oggetto dello scrutinio possono essere provvedimenti amministrativi – potenzialmente migliaia di provvedimenti emanatati ogni giorno da migliaia di pubbliche amministrazioni – o atti amministrativi generali e “atti normativi di rango secondario” (regolamenti).

Quanto alla “sospensione interinale dei termini in corso”, ci si chiede se valga anche per i termini di impugnazione giurisdizionale e si deve al contempo rilevare come per la decisione della Commissione non sia fissato alcun termine.

Se si parte dalla consapevolezza che la Commissione non è un organo giurisdizionale – e infatti non ha il potere di annullamento degli atti amministrativi – si capisce l’anomalia della fattispecie di sospensione prevista ed anche la gravissima responsabilità (anche in termini risarcitori) che la Commissione o il suo singolo membro si assumerebbe, ad esempio di fronte al ricorso giurisdizionale dell’amministrazione o di un controinteressato;

  • Alla lettera d) dell’art. 1 è previsto che in caso “di eccessivo carico di istanze” la Commissione esamini prima nel merito gli atti regolamentari, “ferma l’immediatezza delle decisioni cautelari”: quindi è ribadito in capo a questo organo non giurisdizionale il potere di decisione cautelare sulla sospensione di efficacia di atti amministrativi.

Artt. 1, 2, 4

  • Come anticipato nelle premesse, sono istituiti diversi organismi che agiscono nell’ambito della semplificazione.

Se, come sembrerebbe utile, si tratta di soggetti che svolgono un’azione coordinata, resta da capire la governance del “sistema semplificazione” così delineato.

Andrebbe ancora chiarito se la “cabina di regia” di cui all’art. 4 comma 3, è la stessa già prevista nel “Patto per la semplificazione per il triennio 2019-2021”.

In merito all’art. 2 dello schema di disegno di legge, relativo al riordino dell’Unità per la semplificazione, deve essere osservato che non risultano consultate in alcun modo le Regioni. Tutto ciò contrasta con il loro fondamentale ruolo amministrativo e regolatorio.

Art. 3

  • Comma 3 lett. a), b): il contenuto di tale lettera è già, sostanzialmente, oggetto dell’art. 1, comma 2 del D.Lgs 126/2016 che, anzi, risulta più completo, in quanto, oltre alla comunicazione ed al titolo espresso (autorizzazione), contempla anche la segnalazione certificata di inizio attività.
  • Comma 3 lett. c): occorre coordinare tale previsione con quella, già attuata, di “mappatura” dei tempi dei procedimenti sia a livello statale che regionale. Inoltre andrebbe chiarito che “l’individuazione di discipline … uniformi per tipologie omogenee di procedimenti” sarebbe da coordinare con quanto previsto dal D.Lgs. n. 222/2016.
  • Comma 3 lett. d): la lettera presenta più il tenore di un mero auspicio che non di un criterio concretamente esercitabile ai fini della previsione di specifiche norme.
  • Comma 3 lett. e): si ritiene molto utile questa previsione per la semplificazione dei procedimenti per cui è ancora necessario il rilascio di un’autorizzazione.

Si ritiene che quello previsto sia un meccanismo analogo a quello contenuto nell’art 272 del D.Lgs 152/2006 per le emissioni in atmosfera.

L’amministrazione potrebbe autorizzare in anticipo interventi con determinate caratteristiche perché prevedrebbe di dover ripetere la medesima istruttoria più volte in futuro (ad esempio, per gli spettacoli viaggianti o in caso di intervento pubblico che preveda finanziamenti per determinati specifici interventi che necessiteranno di autorizzazione).

Gli interventi potrebbero essere potenzialmente identici oppure anche includere differenti fattispecie: l’importante è che a monte siano predeterminali le caratteristiche specifiche dei casi “preautorizzati”. Proponiamo nell’articolo l’aggiunta della parola virgolettata.

  • Comma 3 lett. g): andrebbe ancorato a criteri oggettivi l’obbligo per le amministrazioni di rendere “facilmente conoscibili e accessibili” le informazioni i dati da fornire.

Diversamente si rischierebbe di non raggiungere l’obiettivo e di addossare alle amministrazioni l’obbligo di adempimenti troppo incerti nella loro previsione.

Non si comprende, poi, il riferimento alla modulistica, dal momento che l’adozione dei modelli unificati e standardizzati, già previsto dall’art. 2, comma 1, del D.Lgs 126/2016 (Attuazione della delega in materia di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), a norma dell’articolo 5 della Legge n. 7 agosto 2015, n. 124), costituisce attività di cui all’Agenda per la semplificazione ed ha portato all’adozione di numerosi moduli per l’avvio delle attività produttive, concertati con il Dipartimento per la Funzione pubblica, adottati in sede di Conferenza Unificata e recepiti a livello regionale.

  • Comma 3 lett. h): andrebbe chiarito a quali profili specifici si fa riferimento, considerando che, ad esempio, rispetto alle “modalità di presentazione” è già prevista specifica disciplina nell’art. 65 del D.Lgs n. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale).

Inoltre si tratta di profili da coordinare con la Legge n. 241/1990 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) e con il D.P.R. n. 160/2010, (Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo Sportello Unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), nonché con eventuali discipline speciali.

  • Comma 3, lett. n): considerato che lo sportello unico per le attività produttive è un istituto complesso che è stato ri-disciplinato con D.P.R. n. 160/2010 e attuato a livello regionale, anche in modo differenziato, in collaborazione con i Comuni e gli altri Enti coinvolti, ogni proposta di modifica è opportuno sia coordinata con tali soggetti e sia effettuata sul testo del D.P.R. n. 160/2010, per evitare problemi di applicazione.

Si segnala l’opportunità che il disegno di legge prenda in considerazione l’unificazione dei procedimenti tra il D.P.R. n. 380/2001 e quelli previsti per i SUAP, nonché disponga in merito alla costituzione di una banca dati relativa agli immobili e alle connesse attività produttive: a fronte della costituzione di banche dati, laddove contenenti dati personali, sarà necessario valutarne la compatibilità con la disciplina della privacy.

Si segnala in particolare che la previsione di attivazione presso ciascun Sportello Unico di un servizio di assistenza, a supporto dei richiedenti, dall’avvio alla conclusione dei procedimenti, pare sovrapporsi a quanto già previsto dall’art. 1, comma 3, del D.lgs n. 222/2016 in tema di necessaria attività di consulenza funzionale all’istruttoria. Inoltre, è importante sottolineare, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, che il ruolo della Regione non può che essere quello di garantire l’adeguato funzionamento del servizio, già inquadrato come livello essenziale delle prestazioni.

Relativamente ai titoli edilizi, che risultano in corso di definizione anche su altri Tavoli, rileva l’opportunità del raccordo tra i testi di delega.

  • Comma 3 lett. p) n. 2: la lettera deve essere coordinata con l’articolo 43 DPR 445/2000 che sostanzialmente sta già attuando quanto previsto dalla presente disposizione.
  • Comma 3 lett. q) n. 3: la norma deve essere coordinata con quanto già previsto dall’art. 2, commi 9 e ss. della Legge n. 241/1990, modificato dal D.L. n. 5/2012 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo), convertito con modificazione dalla Legge n. 35/2012, in base al quale “l mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente”.

La previsione va inoltre coordinata con due previsioni dell’art. 1 della Legge n. 190 del 2012 sull’anticorruzione, ossia con la lettera d) del comma 9, che incarica ogni Pubblica Amministrazione di definire, nel Piano di prevenzione della corruzione, le “modalità di monitoraggio del rispetto dei termini, previsti dalla legge o dai regolamenti, per la conclusione dei procedimenti”, e con il comma 28, che impone alle Pubbliche Amministrazioni di svolgere il “monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali attraverso la tempestiva eliminazione delle anomalie”.

Le Regioni e le Province autonome, considerata la complessità delle criticità emerse dall’esame del provvedimento, esprimono forte contrarietà nei confronti dell’articolo 1, comma 1, che chiedono di espungere per gli evidenti profili di illegittimità evidenziati in premessa. Per i restanti articoli, le Regioni chiedono di sospendere l’iter procedurale, al fine di avviare un confronto per la revisione profonda del provvedimento.

 

Roma, 16 maggio 2019

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