L’emergenza non riguarda solo la CO2

 

Questo giornale è in prima fila a sostegno dei movimenti per i cambiamenti indilazionabili che esige la gravità della crisi ambientale e del cambio climatico.

Di fronte all’iniziativa mondiale dei Fridays for Future e di Extinction Rebellion si impongono alcune precisazioni.

Al centro delle rivendicazioni vi è giustamente quella della decarbonizzazione dell’economia mondiale capitalistica.

Tema da non disconoscere e invece contestato dai negazionisti.

Ma ora la concentrazione dell’attenzione sul nodo della CO2 rischia di oscurare altri problemi cruciali per salvare il Pianeta dalla catastrofe, ambientale, sociale e umana.

La manomissione sempre più sfrenata della natura e dell’ambiente concerne moltissimi aspetti strettamente correlati, e ciascuno a sé di gravità epocale, per cui è assolutamente illusorio poterne risolvere uno senza affrontare gli altri.

Collegandoli tutti fra loro rende apparentemente il problema più complesso, ma questo punto di vista può essere rovesciato perché può unificare tanti movimenti e obiettivi che sembrano muoversi in modo separato: l’unione fa la forza! Comincio dalle cose più «immediate».

La perdita di biodiversità è ben presente ai movimenti ambientalisti: ma il problema non si riduce certo al riscaldamento globale o alla CO2.

Sono responsabili fattori molteplici di inquinamento, sfruttamento e contaminazione che sconvolgono e riducono gli habitat naturali: la drastica riduzione degli insetti è evidente (20 anni fa il parabrezza dell’auto si oscurava per gli insetti spiaccicati, oggi non più), gli allarmi per la riduzione degli insetti impollinatori si susseguono (Einstein diceva che se scompariranno le api, l’umanità non sopravvivrà), le specie in pericolo di estinzione si moltiplicano.

Un autorevole lavoro dell’Accademia delle Scienze Usa denuncia il rischio di una sesta estinzione di massa.

La pesca indiscriminata impoverisce i mari, compromettendo l’alimentazione di intere popolazioni a vantaggio della grande industria alimentare.

L’abuso sconsiderato di pesticidi dell’agrobusiness è ben presente ai movimenti, e non è direttamente legato alle emissioni di CO2: ed è un fattore fondamentale dei processi di desertificazione, come la contaminazione delle acque, che diventerà sempre più un’emergenza umanitaria (colpisce in primo luogo le popolazioni povere).

Lo stesso dicasi per le plastiche, certo un prodotto della civiltà del petrolio, ma che continuerebbero a avvelenare la catena alimentare anche se azzerassimo subito le emissioni di CO2.

Più in generale il problema dell’accumulo insostenibile di rifiuti ha certo legami con le emissioni di CO2, ma richiede misure specifiche.

Un’ altra questione di gravità epocale è l’aumento scandaloso delle disuguaglianze, senza dubbio legato agli sviluppi del capitalismo insaziabile, ma non direttamente riconducibile al riscaldamento globale.

L’insieme di tutti i fattori e le loro sinergie stanno provocando danni alla salute a livello globale, che non sono riducibili al riscaldamento globale.

Da una ventina d’anni si è imposto il concetto di «rivoluzione epidemiologica del 20° secolo», un cambiamento radicale dello stato di salute della popolazione mondiale, principalmente nei paesi sviluppati: un secolo fa il 50% dei decessi era dovuto a patologie infettive (tubercolosi, diarrea e patologie gastrointestinali e respiratorie, ecc.), poi sono prevalsi i decessi per patologie cardiovascolari e tumori (circa 30% ciascuna), e si abbassa l’età della loro insorgenza (anche se nascono nuove emergenze infettive). La minaccia di pandemie era stata più volte agitata anni fa e da tempo non viene richiamata, ma non è affatto scomparsa, rista latente a causa delle manipolazioni sempre più profonde della materia vivente, con la creazione di particelle virali mai esistite nei 4 miliardi dell’evoluzione biologica e in grado di saltare da un ospite a un altro.

Qui l’imputato è Big Pharma.

Il deterioramento selettivo delle strutture sanitarie, con le privatizzazioni e speculazioni galoppanti, e l’aggravamento delle disuguaglianze potrebbero rendere sempre più devastante una prossima pandemia.

C’è poi un problema di fondo, spesso ignorato dagli ambientalisti: le attività militari sono un fattore primario degli sconvolgimenti ambientali, e quando esplicano i loro effetti nella guerre provocano sconvolgimenti drammatici, oltre a mietere vite umane (agente Orange, uranio depleto, ecc.).

Collegare temi e vertenze ambientali con gli obiettivi dei pacifisti è necessità sempre più pressante e che moltiplicherebbe le forze.

Last but not least non vanno dimenticate le manipolazioni artificiali dell’ambiente che i militari attuano da decenni per fini bellici – la «geoingegneria» – trascurata sia da ambientalisti che da pacifisti, su cui tanto ha insistito la rimpianta grande scienziata Rosalie Bertell (nel suo Pianeta Terra, l’Ultima Risorsa di Guerra).

Dunque, superare tra gli ambientalisti i settorialismi e le contrapposizioni è oggi una necessità irrinunciabile in una sfida in cui è in gioco il destino del genere umano.

 

(Articolo di Angelo Baracca, pubblicato con questo titolo il 7 giugno 2019 sul sito online del quotidiano “il manifesto”)

 

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