A Roma prima il partito degli immobiliaristi

 

Siamo stati facili profeti (con il Pd alla Regione Lazio, prove di autonomia differenziata, il manifesto dell’1 agosto) ad affermare che la Regione si preparava a fare le prove di autonomia differenziata approvando un Piano senza aver consultato il Mibac riguardo ai vincoli sul paesaggio.

All’alba del 2 agosto è infatti stato approvato il Piano Paesaggistico Territoriale Regionale che, dopo vent’anni, rappresenta uno strumento efficace per la gestione e il territorio della regione Lazio e i suoi centri, ma non per il centro storico di Roma e i quartieri ad esso adiacenti.

Così ha esultato Zingaretti dopo l’approvazione da parte del Consiglio regionale: «Regole chiare su paesaggio e patrimonio».

Me se questo è vero per i comuni del Lazio e il territorio regionale, per Roma la musica è diversa e carica di inquietanti premesse.

ATTIVISTI E ASSOCIAZIONI (tra le quali molto agguerrita la presenza di «Carte in Regola») hanno passato la notte davanti la sede della Regione nella speranza che il Pd introducesse quell’emendamento presentato perché lo scempio dei Villini storici e quello (non ancora scongiurato) del Drive-in di Mc Donald’s alle Terme di Caracalla fosse solo un triste ricordo.

Ma così non è stato.

Il comma introdotto è invece un altro, ovvero che per il centro storico di Roma le valutazioni degli interventi saranno esercitate dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma.

DUNQUE, IN BREVE, per gli interventi nel centro storico della Capitale resta solo il vincolo Unesco, rimandando al parere non vincolante della Soprintendenza ogni valutazione.

Il che significa che d’ora in avanti potranno proliferare interventi, nel centro storico e nei quartieri novecenteschi limitrofi senza essere sottoposti a nessuna autorizzazione vincolante ma solo a «pareri».

Tradotto in un linguaggio non specialistico, significa via libera a interventi speculativi: già L’Eurogarden, alle Terme di Caracalla, ha presentato ricorso contro lo stop ai lavori deciso dal Direttore delle Belle Arti, Archeologia e Paesaggio, Gino Famiglietti (purtroppo in via di pensionamento).

Ora il ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli, si prepara a impugnare il provvedimento perché non concordato con il il Mibac.

In sostanza la Regione Lazio ha fatto tutta da sola ignorando anche le 445 situazioni critiche segnalate.

Stefano Fassina ha commentato la notizia affermando che: «il centro storico della Capitale, sito Unesco, viene escluso dal Ptpr e rimane preda di ulteriore scempio edilizi».

Ha vinto dunque a Roma il Partito degli immobiliaristi, come sempre, che a Roma è quello più forte, quale che sia il colore della giunta regionale (che attualmente nella Regione è rosso… sbiadito).

È COSA DA LASCIARE interdetti: una delle città (ancora per quanto?) più belle del mondo abbandonata agli appetiti immobiliari.

Quello del «parere» e non del vincolo, viene di fatto presentato come un compromesso onorevole; ma compromesso con chi e su cosa?

La risposta è semplice: con il partito degli immobiliaristi, partito invisibile ma sempre pronto a far valere i propri interessi quando la posta in gioco si chiama speculazione immobiliare e rendita fondiaria.

È stato così per il nuovo Stadio della Roma, per il «capannone» del divo Nerone posto sull’Aventino, per tributare un falso modernismo, e ora per l’intero centro storico e quartieri adiacenti.

LA PAROLA «compromesso» quando si tratta di una città dovrebbe essere eliminata: la città non è pubblica, ovvero dei suoi abitanti?

E perché e con chi essi dovrebbero fare un compromesso e, soprattutto compromesso per cosa?

Dovrebbero forse cedere la sua bellezza e la sua vita pubblica a interessi privatistici e per quale vantaggio collettivo?

La mancanza di una normativa di salvaguardia per il centro storico più importante del mondo e dei quartieri pregiati ad esso adiacenti, apre un interrogativo inquietante: a quando il prossimo scempio nella Capitale?

 

(Articolo di Enzo Scandurra, pubblicato con questo titolo il 4 agosto 2019 su “il manifesto”)  

 

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