Amazzonia, allarme deforestazione. Governatori contro Bolsonaro

 

La guerra scatenata dal governo Bolsonaro contro l’Amazzonia e gli altri ecosistemi del paese sta già producendo le prime pesanti conseguenze a livello internazionale.

Grande scalpore ha suscitato infatti la decisione della Germania prima e della Norvegia poi di congelare i finanziamenti al Fondo Amazzonia con cui i due paesi hanno sostenuto negli ultimi 10 anni progetti mirati a promuovere la conservazione e l’uso sostenibile della più grande foresta pluviale del mondo.

Una misura in polemica con la politica di Bolsonaro sul fronte della deforestazione, cresciuta a luglio del 278% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Il presidente ha reagito a modo suo: «Possono usare i loro soldi come meglio credono, il Brasile non ne ha bisogno».

E ancora: «La Norvegia non è quella che ammazza le balene lassù al Polo Nord? E che sempre lì sfrutta il petrolio?», ha commentato postando peraltro immagini della caccia alle balene nelle isole Faroe appartenenti alla Danimarca.

«Prendano quei soldi e diano una mano ad Angela Merkel a riforestare la Germania».

Ma i governatori degli stati brasiliani che ospitano parte della foresta amazzonica (Acre, Amapá, Amazonas, Maranhão, Mato Grosso, Pará, Rondônia, Roraima e Tocantins) sono di tutt’altro avviso.

Tant’è che, in una nota divulgata dal governatore di Amapá Waldez Goes, affermano di voler dialogare «direttamente con i paesi finanziatori», definendosi «difensori incondizionati del Fondo Amazzonia».

La sospensione dei contributi della Germania e della Norvegia (rispettivamente di 31 e di 27 milioni di euro) potrebbe però essere solo l’inizio.

Benché in realtà sul fronte ambientale i governi virtuosi siano rarissime eccezioni – e anche i pochi che lo sono entro i confini nazionali non si preoccupano poi di devastare ecosistemi altrui – il Brasile di Bolsonaro sta infatti diventando decisamente, come denuncia la stampa di opposizione, «un paria internazionale».

Non a caso, due dei principali giornali tedeschi, Der Spiegel e Die Zeit, invocano apertamente sanzioni contro il paese: «L’Europa – scrive Der Spiegel – non può restarsene a braccia conserte mentre un negazionista climatico, mosso dall’odio, sacrifica vaste aree di foresta a favore di pascoli per l’allevamento e piantagioni di soia».

E Die Zeit va oltre, sollecitando un intervento «là dove fa più male»: «Che senso ha tagliare i fondi per la conservazione delle foreste a un governo che non ha alcun interesse a preservarle?».

Molto meglio colpire «gli interessi economici dei suoi esportatori, a cominciare dai fazendeiros che vendono carne e soia a larga scala a metà del mondo».

Proprio ciò che non ha voluto fare la Commissione Ue riguardo all’accordo raggiunto il 28 giugno con il Mercosur, ignorando completamente la richiesta, da parte di 340 organizzazioni europee e latinoamericane, di «inviare un segnale inequivocabile» al governo Bolsonaro, sospendendo «immediatamente» i negoziati in attesa di un deciso cambio di passo rispetto, tra l’altro, alla lotta contro la deforestazione.

(Articolo di Claudia Fanti, pubblicato con questo titolo il 20 agosto 2019 sul quotidiano “il manifesto”)

 

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