Le aree wilderness a protezione integrale potrebbero ridurre di oltre la metà i rischi di estinzione

 

Come fa notare Brandon Keim  su Anthropocene, «l’idea di natura selvaggia non ha l’appeal di una volta. 

Gli accademici hanno decostruito le sue basi intellettuali a volte traballanti; gli ambientalisti hanno lamentato, giustamente, che romanticizzare luoghi senza esseri umani può portare a trascurare la natura che ci circonda. 

Eppure, nonostante tutti i suoi problemi filosofici, la wilderness – grandi luoghi contigui con impronte minime dell’Homo sapiens – è ancora estremamente importante».

Ora, lo studio “Wilderness areas halve the extinction risk of terrestrial biodiversity”, pubblicato recentemente su Nature da un team di ricercatori dell’agenzia scientifica australiana CSIRO e dell’università del Queensland guidato da Moreno Moreno Di Marco, del  Dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin (BBCD) dell’Università La Sapienza di Roma, riporta alla sua giusta (e grande) dimensione l’importanza delle aree wilderness (quelle integralmente protette) del mondo, perché «dimezzano il rischio di estinzione della biodiversità rispetto alle aree al di fuori delle aree selvagge».

Lo studio rivela che le aree wilderness «sono importanti perché ospitano comunità biologiche uniche e rappresentano la maggior parte degli habitat naturali rimanenti per le specie che altrove hanno subito alti livelli di perdita di habitat».

In quella che è la prima valutazione in assoluto dell’importanza globale delle aree naturali a protezione integrale per la resilienza della biodiversità terrestre, il team di Di Marco ha scoperto che le aree selvagge sono essenziali nella lotta contro la sesta estinzione di massa e lo scienziato italiano spiega che «le aree wilderness fungono da cuscinetto contro il rischio di estinzione, quindi il rischio di perdita di specie è più del doppio per le comunità biologiche che si trovano al di fuori delle aree selvagge.

Questo è importante perché ridurre il tasso di perdita globale della biodiversità è una grande sfida per l’umanità, ma si sa poco sul ruolo che le rimanenti aree selvagge hanno nel mitigare la crisi globale della biodiversità.

Le ultime mappe mostrano che dagli anni ’90 sono andati persi più di tre milioni di chilometri quadrati di terre selvagge, che è un’area delle dimensioni dell’India, e che meno del 20% del mondo può essere definito wilderness.

Eppure, fino ad ora, si sapeva poco sulle conseguenze di questo sulla prevenzione dell’estinzione delle specie».

Lo studio interdisciplinare si è avvalso del CSIRO’s global biodiversity modelling capability BILBI, che fornisce stime su vasta scala della probabilità di perdita di specie in tutto il mondo e uno degli autori dello Studio, Simon Ferrier del CSIRO spiega a sua volta che «questa capacità è stata integrata con la più recente mappatura delle aree wilderness prodotta dall’università del Queensland, dalla Wilderness Conservation Society e dall’Università della Northern British Columbia, per dimostrare che oggi molte aree wilderness sono fondamentali per prevenire la perdita di specie terrestri in molte aree del mondo».

I ricercatori hanno mappato la composizione delle specie di piante e invertebrati su tutta la superficie terrestre (trattano piante e invertebrati, che rappresentano rispettivamente circa l’80% di tutta la biomassa e il 60% di tutte le specie, come grandi indicatori della biodiversità).

Questo ha consentito di confrontare la proporzione di specie condivise dentro e fuori un’area wilderness e quindi di spiegare il differenze in funzione delle condizioni geografiche e ambientali. 

Partendo da qui hanno potuto costruire un modello globale, molto raffinato, sulla probabile estinzione o sopravvivenza delle specie.

Secondo questo modello, la probabilità media che una specie si estingua al di fuori delle aree wilderness è di circa il 5,6 per cento, mentre all’interno delle aree integralmente protette si scende a circa il 2,5%. 

I ricercatori dicono che «l’effetto buffering che le wilderness hanno sul rischio di estinzione è stato trovato in ogni regno biogeografico» e più grande è un’area wilderness, maggiore è il suo effetto.

Lo studio ha scoperto che gli habitat delle aree a protezione integrale fornisce un contributo maggiore di quanto si pensasse e, dato che alcune specie possono trovarsi sia all’interno che all’esterno delle aree wilderness, questi habitat sono essenziale per garantire la sopravvivenza di molte specie che altrimenti vivono in condizioni ambientali degradate in molte regioni.

Alcune aree wilderness svolgono un ruolo straordinario nella salvaguardia della biodiversità e fra queste il team di Di Marco indica parti dell’Arnhem Land in Australia, dove ci sono diverse Indigenous Protected Areas, le aree che circondano il Parque Nacional y Área Natural de Manejo Integrado Madidi nell’Amazzonia boliviana, le foreste della British Columbia meridionale (protette solo in parte) e le aree di savana dentro e fuori la Réserve de Faune de Zemongo, nella Repubblica Centrafricana.

Ma ci sono anche aree come il deserto del Namib che rappresentano l’ultimo rifugio per specie scomparse altrove.

Questi luoghi sono stati trovati in tutti i continenti e in ogni bioma, ma i ricercatori avvertono che «in modo allarmante, queste aree inestimabili non sono protette meglio della media.

Gli ecosistemi della Terra rimasti intatti sono stati in qualche modo trascurati dalla politica internazionale della conservazione, forse perché è facile pensare che, essendo così grandi e selvaggi, siano relativamente sicuri».

Di Marco conclude: «Queste aree richiedono urgentemente una protezione mirata.

E’ essenziale preservare questi habitat naturali estremamente insostituibili, se vogliamo prevenire, piuttosto che reagire alla futura perdita di biodiversità».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 24 ottobre 2019 sul sito online “greenreport.it”)

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