Energia, in Francia la prima centrale nucleare pulita e senza scorie che aiuterà a salvare il clima. Con 1,2 miliardi di tecnologia italiana

 

Ci sono 1,2 miliardi di euro di tecnologia italiana nella centrale nucleare del futuro.

Un impianto per generare energia basato sulla fusione termonucleare.

Cioè la reazione naturale che alimenta il sole e tutte le stelle: un processo pulito che non genera scorie.

Si tratta di una frontiera tecnologica su cui molti paesi – tra cui l’Italia con Enea e i suoi partner – concentrano la loro ricerca da anni e che si è concretizzata nel 2007 in un progetto internazionale da 20 miliardi di dollari battezzato Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor).

La settimana scorsa è stato inaugurato in Francia l’edificio destinato ad accogliere il reattore sperimentale.

E nel 2025 i partecipanti – CinaGiappone, India, Corea del Sud, RussiaUsaUe e Svizzera – attiveranno a Cadarache la prima centrale a fusione termonucleare al mondo, con dimensioni paragonabili a quelle di una centrale elettrica convenzionale.

Affiancata alle fonti rinnovabili, la fusione termonucleare potrebbe significativamente contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici.

Anche se bisognerà attendere il 2035, quando dopo 10 anni di test il progetto si chiuderà e potranno partire le centrali commerciali.

La fusione nucleare è considerata altamente efficiente e pulita perché la sua fonte di partenza è l’acqua e non genera scorie.

Ma rappresenta una vera sfida scientifica e ingegneristica, coinvolgendo campi come la superconduttività, la criogenia e il vuoto spinto.

L’Italia sta dando un contributo fondamentale: abbiamo superato la soglia degli 1,2 miliardi di euro di contratti acquisiti per la realizzazione del progetto, sottolinea la rivista Enea Energia Ambiente e Innovazione.

Considerando solo le componenti ad alto contenuto tecnologico, le imprese italiane – da Angelantoni Test Technologies ad Ansaldo Nucleare e Walter Tosto – hanno fornito materiali per il 60% del valore dei bandi di Fusion for Energy (F4E), l’Agenzia dell’Unione europea che gestisce il contributo Ue alla costruzione di Iter, sottolinea Aldo Pizzuto, responsabile dipartimento Fusione e Tecnologie per la sicurezza nucleare di Enea e coordinatore del Progetto DTT.

Il dipartimento e i Centri di Ricerca di Frascati e del Brasimone fanno di Enea il punto di riferimento italiano nel progetto.

Iter è in pratica un reattore deuterio-trizio (due isotopi dell’idrogeno) dove la reazione nucleare avviene grazie a un plasma (gas ionizzato che fa da combustibile) confinato in una macchina chiamata Tokamak dove si crea un potentissimo campo magnetico.

Lo scopo principale di Iter è dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica della fusione come fonte di energia, raggiungendo una reazione di fusione stabile.

La prima reazione (ignizione del primo plasma) è prevista nel 2025 e la durata di Iter sarà di dieci anni.

Gli scienziati di Enea sono stati tra i primi a realizzare impianti per lo studio dei plasmi a confinamento magnetico e macchine per la fusione come il Frascati Tokamak e il Frascati Tokamak Upgrade.

Nell’ambito del progetto Iter, il centro di ricerca di Enea a Frascati è stato scelto per ospitare il DTT o Divertor Tokamak Test facility finanziato con circa 500 milioni di euro di fondi privati e pubblici, tra cui 250 milioni di euro dalla Bei. 

Si tratta di un cilindro ipertecnologico alto 10 metri con raggio di 5 metri basato su tecnologie made in Italy e ideato da Enea in collaborazione con Cnr, Istituto nazionale di fisica nucleare, Consorzio Rfx, Consorzio di Ricerca per l’Energia, l’Automazione e le Tecnologie dell’Elettromagnetismo e diverse università.

DTT dovrà testare il funzionamento di Iter: vi sarà confinato plasma portato a 100 milioni di gradi centigradi con un’intensità di corrente di 6 milioni di Ampere e campo magnetico di 60mila Gauss circondato da una rete di oltre 40 km di cavi superconduttori che si troverà a -269 gradi.

La fusione nucleare è la reazione naturale che alimenta il sole e tutte le stelle, ma non è banale da ottenere sul pianeta Terra.

Occorre portare gli ioni a temperature gigantesche e far prevalere le forze di attrazione nucleare rispetto a quelle di repulsione elettrica.

Per questo si usano campi magnetici giganteschi o, spiega Pizzuto, la tecnica del “confinamento magnetico”: un contenitore con magneti superconduttori più temperature elevatissime che permettono di rompere la barriera elettrica, oltrepassata la quale le particelle si attraggono e si uniscono producendo energia.

DTT (mettendo a frutto anche brevetti Enea) testerà questa tecnica mentre cercherà una soluzione alle questioni fondamentali che restano aperte: incanalare l’energia prodotta in modo efficiente (oggi sono necessari enormi spazi), mantenere la stabilità del sistema, abbassare i costi dell’intero processo di generazione per renderlo competitivo con le altre fonti e ottenere la stessa enorme efficienza in centrali di taglio piccolo. Per questo l’Italia continua a lavorare sui superconduttori più performanti che creano campi magnetici maggiori in volumi più piccoli.

Ma sulla percorribilità pratica del sistema i partner di Iter sono “molto fiduciosi”, afferma Pizzuto: l’elettricità da fusione termonucleare si farà.

Le promesse sono entusiasmanti: la reazione è pulita perché non brucia combustibili fossili ed è sicura, non solo perché priva di scorie ma perché nel Tokamak, se i parametri vanno fuori range, il processo si spegne.

Affiancata alle fonti rinnovabili, la fusione termonucleare potrebbe significativamente contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici.

Dopo il 2035.

(Articolo di Patrizia Licata, pubblicato con questo titolo il 10 novembre 2019 sul sito “Ambiente & Veleni” del quotidiano “Il Fatto Quotidiano”)

 

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