Clima, la Corte Ue: “Sì al carcere per gli amministratori locali che non adottano misure per combattere lo smog”

 

Una sentenza storica nella lotta all’inquinamento arriva da Lussemburgo.

La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato, per la prima volta, che i giudici nazionali sono autorizzati a disporre il carcere per gli amministratori che si rifiutano ripetutamente di conformarsi agli obblighi ambientali previsti dal diritto europeo.

La Corte si è espressa nell’ambito di una causa tra la Deutsche Umwelthilfe, un’organizzazione ambientalista tedesca, e il Land della Baviera, in merito al ripetuto rifiuto delle autorità bavaresi di adottare, in esecuzione della direttiva Ue sulla qualità dell’aria, le misure necessarie a rispettare il valore limite stabilito per il biossido di azoto a Monaco di Baviera.

Dunque i dirigenti del Land della Baviera possono essere oggetto di una “misura coercitiva detentiva” per obbligarli ad adottare misure di risanamento dell’aria a Monaco, come il divieto di circolazione per alcuni veicoli a gasolio, sempre che il diritto tedesco lo preveda e sempre che la misura coercitiva sia “proporzionata”.

Perciò, per disporre il carcere per gli amministratori che non combattono lo smog devono essere rispettati due requisiti.

Da un lato deve esistere, nel diritto nazionale, un fondamento giuridico sufficientemente preciso e prevedibile nella sua applicazione.

Dall’altro dev’essere rispettato il principio di proporzionalità.

Poiché la pronuncia di una misura detentiva comporta una privazione della libertà, secondo i giudici vi si può fare ricorso, nel rispetto del principio di proporzionalità, solo qualora non esista alcuna misura alternativa meno restrittiva, come multe di importo elevato, ripetute a breve scadenza, e il cui pagamento non vada alla fine a vantaggio del bilancio da cui provengono.

La valutazione dell’opportunità di comminare o meno una pena detentiva spetta comunque al giudice nazionale.

I giudici tedeschi avevano constatato che la multa non aveva alcun effetto sulla condotta del Land e che l’arresto dei ministri era impossibile per ragioni costituzionali.

Pertanto, hanno chiesto alla Corte di Lussemburgo se il diritto a un ricorso effettivo, garantito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, consente o addirittura obbliga i giudici nazionali ad adottare una misura detentiva nei confronti dei politici che si sottraggono ai doveri che hanno ai sensi del diritto europeo.

La Corte ha stabilito che, in queste circostanze, spetta al giudice nazionale pronunciare una misura coercitiva detentiva nei confronti dei responsabili del Land della Baviera purché siano soddisfatte le due condizioni prima riportate.

Condannato una prima volta nel 2012 a modificare il piano d’azione per la qualità dell’aria di Monaco e poi, una seconda volta, nel 2016, ad adempiere ai suoi obblighi, anche vietando la circolazione per alcuni veicoli diesel in diverse aree urbane, il Land della Baviera si è rifiutato di rispettare le ingiunzioni.

Lo Stato federato è stato, quindi, condannato una terza volta nel 2017 al pagamento di una penalità di appena 4mila euro, che ha pagato, per giunta incassando esso stesso la somma.

Poiché la Baviera ha continuato a disobbedire alle ingiunzioni e ha annunciato pubblicamente di non voler adempiere ai suoi obblighi, l’associazione Deutsche Umwelthilfe ha presentato un nuovo ricorso.

Con il ricorso, l’associazione chiedeva sia una nuova pena di 4mila euro, richiesta che è stata accolta, sia “una misura coercitiva detentiva” nei confronti del ministro dell’Ambiente del Land o, in alternativa, del ministro presidente.

Questa seconda richiesta è stata respinta dal Tribunale amministrativo della Baviera, che però si è rivolto alla Corte europea per avere chiarimenti.

(Articolo pubblicato con questo titolo il 19 dicembre 2019 sul sito online “Ambiente & Veleni” del quotidiano “Il Fatto Quotidiano”)

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