La Corte Costituzionale ha sentenziato l’illegittimità della esclusione dall’obbligo del nulla osta di una serie di pratiche di conduzione agricola in tutte le zone dei parchi e delle riserve naturali dal Lazio

 

L’art. 5, comma 1, lettera i), numero 5), della legge regionale del Lazio n. 7 del 22 ottobre 2018 ha introdotto, dopo il comma 1 dell’art. 31 della legge regionale del Lazio n. 29 del 6 ottobre 1997, il comma 1-bis, secondo cui «sono consentiti e non rientrano negli obblighi di cui all’articolo 28 le ricorrenti pratiche di conduzione delle aziende agricole che non comportino modificazioni sostanziali del territorio ed in particolare:

a) la manutenzione ordinaria del sistema idraulico agrario e del sistema infrastrutturale aziendale esistenti;

b) l’impianto o l’espianto delle colture arboree e le relative tecniche utilizzate;

c) l’utilizzo delle serre stagionali non stabilmente infisse al suolo;

d) il transito e la sosta di mezzi motorizzati fuori dalle strade statali, provinciali, comunali, vicinali gravate dai servizi di pubblico passaggio e private per i mezzi collegati all’esercizio delle attività agricole di cui al presente articolo;

e) l’ordinamento produttivo ed i relativi piani colturali promossi e gestiti dall’impresa agricola;

f) la raccolta e il danneggiamento della flora spontanea derivanti dall’esercizio delle attività aziendali di cui all’articolo 2 della L.R. 14/2006».

Con ricorso notificato il 24-28 dicembre 2018 e depositato il 28 dicembre 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale della suddetta disposizione, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 13 della legge n. 394 del 1991, perché escluderebbe dall’obbligo del nulla osta, di cui all’art. 28 della stessa legge regionale n. 29/1997, «interventi e attività che possono arrecare impatti, anche notevoli, sull’ambiente naturale, consentendone la realizzazione/svolgimento in tutte le zone dell’area protetta», compresa la zona A di riserva integrale, senza prevedere alcuna modalità di verifica e di controllo sugli interventi.

Va fatto presente al riguardo che il Governo ha considerato solo il caso di parchi e riserve naturali regionali provviste di piano di assetto con le sue 4 zone ed eventuali sottozone (compresa la zona A di riserva integrale), senza tener conto che nella casistica vanno ricomprese anche le aree naturali protette in regime di “misure di salvaguardia”.

La Regione Lazio si è difesa sostenendo che la censurata esclusione del nulla osta per alcune «pratiche di conduzione delle aziende agricole che non comportino modificazioni sostanziali del territorio» non costituisce una novità introdotta dal legislatore regionale del 2018, essendo già contemplata dal comma 4-ter del testo previgente dell’art. 28 della legge regionale n. 29 del 1997.

Pertanto, la modifica censurata si sarebbe limitata a «esplicitare ulteriormente il contenuto delle previgenti disposizioni regionali, per le quali era già escluso il rilascio del nulla osta».

Per la Corte Costituzionale l’argomento non ha tuttavia alcun rilievo, essendo chiamata ad esaminare la conformità alla Costituzione della norma oggi impugnata, a prescindere dal fatto che fattispecie simili a quelle contestate fossero previste nella normativa preesistente.

Secondo infatti il costante orientamento della Corte Costituzionale non osta all’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale in via principale l’integrale coincidenza della disposizione impugnata con il testo di altra anteriore non impugnata, atteso che l’istituto dell’acquiescenza non è applicabile ai giudizi in via principale e che la norma impugnata ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere dello Stato.

Il secondo argomento utilizzato dalla Regione Lazio a sostegno della non fondatezza della questione di legittimità costituzionale, fa leva sul fatto che le «ricorrenti pratiche di conduzione delle aziende agricole», per le quali la normativa impugnata esclude la necessità di acquisire il nulla osta, sarebbero «in larga parte» coincidenti con le fattispecie enumerate dall’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 (rubricato «Attività edilizia libera») o «comunque teleologicamente ad esse riconducibili», per le quali non è richiesto alcun titolo abilitativo.

Al riguardo la Certe Costituzionale ha rilevato che già dal tenore letterale della motivazione addotta (là dove si parla di interventi «in larga parte» coincidenti) si deduce l’esistenza di un margine di non coincidenza delle due elencazioni.

In altre parole, la generica formulazione della disposizione regionale è tale da consentire di escludere dall’obbligo del nulla osta un insieme, anche piccolo, di pratiche di conduzione delle aziende agricole: la norma impugnata consente infatti la deroga agli obblighi di cui all’art. 28 per le «ricorrenti pratiche di conduzione delle aziende agricole che non comportino modificazioni sostanziali del territorio», senza ulteriori specificazioni, e la successiva elencazione non esaurisce il novero di queste «pratiche», essendo preceduta dall’espressione «in particolare» che esclude il carattere esaustivo degli interventi considerati.

Ne consegue la violazione dell’art. 13 della legge n. 394 del 1991, che, come già rilevato, prescrive che tutti gli interventi, gli impianti e le opere per i quali sia necessario il rilascio di concessioni o autorizzazioni siano sottoposti al preventivo nulla osta dell’ente parco.

Per i suddetti motivi con sentenza n. 290 del 20 novembre 2019, depositata il 27 dicembre 2019, la Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale promossa dal Governo ed ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera i), numero 5), della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale), che ha introdotto il comma 1-bis nell’art. 31 della legge della Regione Lazio 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali).

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

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N.B. – Si riportano di seguito i passi della sentenza che hanno trattato l’argomento.

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Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 24-28 dicembre 2018 e depositato il 28 dicembre 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale) e, tra queste, degli artt. 5, comma 1, lettere g), numero 2), h) e i), numeri 5) e 7), e comma 6, lettera c), 33, comma 1, lettera a), e 84, comma 1, lettera b), in riferimento agli artt. 97 e 117, commi secondo, lettere l), m) e s), e terzo, della Costituzione. 1

1.3.– L’art. 5, comma 1, lettera i), numero 5), della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 è impugnato per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 13 della legge n. 394 del 1991.

La norma regionale impugnata ha introdotto, dopo il comma 1 dell’art. 31 della legge reg. Lazio n. 29 del 1997, il comma 1-bis, secondo cui «[s]ono consentiti e non rientrano negli obblighi di cui all’articolo 28 le ricorrenti pratiche di conduzione delle aziende agricole che non comportino modificazioni sostanziali del territorio ed in particolare:

a) la manutenzione ordinaria del sistema idraulico agrario e del sistema infrastrutturale aziendale esistenti;

b) l’impianto o l’espianto delle colture arboree e le relative tecniche utilizzate;

c) l’utilizzo delle serre stagionali non stabilmente infisse al suolo;

d) il transito e la sosta di mezzi motorizzati fuori dalle strade statali, provinciali, comunali, vicinali gravate dai servizi di pubblico passaggio e private per i mezzi collegati all’esercizio delle attività agricole di cui al presente articolo;

e) l’ordinamento produttivo ed i relativi piani colturali promossi e gestiti dall’impresa agricola;

f) la raccolta e il danneggiamento della flora spontanea derivanti dall’esercizio delle attività aziendali di cui all’articolo 2 della L.R. 14/2006».

La norma in esame è impugnata perché escluderebbe dall’obbligo del nulla osta, di cui all’art. 28 della stessa legge reg. Lazio n. 7 del 2018, «interventi e attività che possono arrecare impatti, anche notevoli, sull’ambiente naturale, consentendone la realizzazione/svolgimento in tutte le zone dell’area protetta», compresa la zona A di riserva integrale, senza prevedere alcuna modalità di verifica e di controllo sugli interventi.

Siffatta previsione si porrebbe, quindi, in contrasto con l’art. 13 della legge n. 394 del 1991, secondo cui «[i]l rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell’Ente parco. 

Il nulla osta verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento e l’intervento ed è reso entro sessanta giorni dalla richiesta. 

Decorso inutilmente tale termine il nulla osta si intende rilasciato. […]». 

La previsione del detto nulla osta sarebbe quindi volta a verificare la coerenza degli interventi rispetto alla «disciplina di tutela» e agli «strumenti di pianificazione e regolamentari» e la «loro sostenibilità ambientale».

L’asserito contrasto con l’art. 13 della legge n. 394 del 1991 determinerebbe la violazione della competenza statale in materia di «tutela dell’ambiente» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

La difesa statale conclude rilevando come, a differenza della norma qui impugnata, l’art. 28 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 richiami espressamente proprio l’art. 13 della legge n. 394 del 1991.

2.– La Regione Lazio si è costituita in giudizio chiedendo che le questioni promosse siano dichiarate inammissibili e/o infondate.

2.3.– Quanto all’art. 5, comma 1, lettera i), numero 5), della legge reg. Lazio n. 7 del 2018, la resistente sottolinea come la censurata esclusione del nulla osta per alcune «pratiche di conduzione delle aziende agricole che non comportino modificazioni sostanziali del territorio» non costituisca una novità introdotta dal legislatore regionale del 2018, essendo già contemplata dal testo previgente dell’art. 28 della legge reg. Lazio n. 29 del 1997. 

Pertanto, la modifica censurata si sarebbe limitata a «esplicitare ulteriormente il contenuto delle previgenti disposizioni regionali, per le quali era già escluso il rilascio del nulla osta».

Al riguardo la difesa regionale richiama il contenuto dell’art. 13 della legge n. 394 del 1991, in base al quale il preventivo rilascio del nulla osta da parte dell’ente parco sarebbe richiesto «non in assoluto, ma solo qualora sia contemporaneamente prescritto, dalla normativa statale o regionale, “il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco”».

Pertanto, nel caso di specie, il nulla osta non sarebbe richiesto, in ragione del fatto che si tratta di pratiche di conduzione delle aziende agricole «in larga parte» coincidenti con le fattispecie enumerate dall’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 (rubricato «Attività edilizia libera») o «comunque teleologicamente ad esse riconducibili», per le quali non è richiesto alcun titolo abilitativo.

Non sarebbe, quindi, compromesso né limitato l’esercizio della competenza legislativa statale in materia di tutela dell’ambiente, anche in ragione del fatto che la norma regionale impugnata si limita a introdurre meccanismi di semplificazione procedimentale e amministrativa.

3.– In prossimità della data fissata per l’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nella quale, dopo aver ribadito le argomentazioni sviluppate nell’atto introduttivo del giudizio e aver replicato alle eccezioni formulate da controparte, insiste nelle conclusioni già rassegnate nel ricorso.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale) e, tra queste, degli artt. 5, comma 1, lettere g), numero 2), h) e i), numeri 5) e 7), e comma 6, lettera c), 33, comma 1, lettera a), e 84, comma 1, lettera b), in riferimento agli artt. 97 e 117, commi secondo, lettere l), m) e s), e terzo, della Costituzione.

2.– Resta riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe.

5.1.– Secondo il ricorrente la norma in esame escluderebbe dall’obbligo del nulla osta di cui all’art. 28 della stessa legge reg. Lazio n. 7 del 2018 una serie di interventi potenzialmente idonei a incidere, in maniera significativa, sull’ambiente naturale, consentendone la realizzazione in tutte le zone dell’area protetta, compresa la zona A di riserva integrale, senza prevedere alcuna modalità di verifica e di controllo sugli interventi stessi.

La previsione si porrebbe, quindi, in contrasto con l’art. 13 della legge n. 394 del 1991, che subordina al preventivo nulla osta dell’ente parco il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco.

Il contrasto con l’art. 13 della legge n. 394 del 1991 determinerebbe la violazione della competenza statale in materia di «tutela dell’ambiente» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

La resistente si difende con due argomenti: il primo volto a dimostrare l’inammissibilità della censura e il secondo a sostegno della infondatezza.

5.2.– La questione promossa è ammissibile e fondata.

5.2.1.– Il primo argomento della difesa regionale riguarda la sua ammissibilità e muove dalla considerazione che la norma impugnata non costituirebbe una novità introdotta dal legislatore regionale del 2018, essendo già contemplata dal testo previgente dell’art. 28 della legge reg. Lazio n. 29 del 1997. 

Pertanto, la modifica censurata si sarebbe limitata a «esplicitare ulteriormente il contenuto delle previgenti disposizioni regionali, per le quali era già escluso il rilascio del nulla osta».

L’argomento non ha tuttavia alcun rilievo, essendo questa Corte chiamata ad esaminare la conformità a Costituzione delle norme oggi impugnate, a prescindere dal fatto che fattispecie simili a quelle contestate fossero previste nella normativa preesistente. 

Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, non osta all’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale in via principale l’integrale coincidenza della disposizione impugnata con il testo di altra anteriore non impugnata, atteso che l’istituto dell’acquiescenza non è applicabile ai giudizi in via principale e che la norma impugnata ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere dello Stato (tra le più recenti, sentenze n. 178 del 2019 e n. 171 del 2018). 

Peraltro nel caso di specie non si è in presenza di un’ipotesi di questo tipo, giacché non è dato di rinvenire nell’ordinamento regionale alcuna normativa del tutto sovrapponibile a quella oggi all’esame di questa Corte.

5.2.2.– Il secondo argomento, utilizzato dalla Regione a sostegno della non fondatezza della questione, fa leva sul fatto che le «ricorrenti pratiche di conduzione delle aziende agricole», per le quali la normativa impugnata esclude la necessità di acquisire il nulla osta, sarebbero «in larga parte» coincidenti con le fattispecie enumerate dall’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 (rubricato «Attività edilizia libera») o «comunque teleologicamente ad esse riconducibili», per le quali non è richiesto alcun titolo abilitativo. 

Già dal tenore letterale della motivazione addotta (là dove si parla di interventi «in larga parte» coincidenti) si deduce l’esistenza di un margine di non coincidenza delle due elencazioni. 

In altre parole, la generica formulazione della disposizione regionale è tale da consentire di escludere dall’obbligo del nulla osta un insieme, anche piccolo, di pratiche di conduzione delle aziende agricole: la norma impugnata consente infatti la deroga agli obblighi di cui all’art. 28 per le «ricorrenti pratiche di conduzione delle aziende agricole che non comportino modificazioni sostanziali del territorio», senza ulteriori specificazioni, e la successiva elencazione non esaurisce il novero di queste «pratiche», essendo preceduta dall’espressione «in particolare» che esclude il carattere esaustivo degli interventi considerati.

Ne consegue la violazione dell’art. 13 della legge n. 394 del 1991, che, come già rilevato, prescrive che tutti gli interventi, gli impianti e le opere per i quali sia necessario il rilascio di concessioni o autorizzazioni siano sottoposti al preventivo nulla osta dell’ente parco.

Il contrasto con l’art. 13 determina, di riflesso, la violazione della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente, ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e quindi l’illegittimità costituzionale della norma impugnata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri indicato in epigrafe;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera i), numero 5), della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale), che ha introdotto il comma 1-bis nell’art. 31 della legge della Regione Lazio 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali);

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