Arrivano nuove risorse per la gestione degli alberi in città. In Campidoglio è stato sottoscritto un protocollo che prevede una stretta collaborazione tra la Capitale, la Protezione Civile e la Regione Lazio. A beneficiarne saranno soprattutto gli alberi di seconda grandezza presenti nelle scuole, sulle strade e nei giardini pubblici. In tutto si tratta di controllare 40mila essenze arboree presenti in città. Dall’emergenza alla prevenzione “Stiamo assistendo da sette anni ad eventi meteorici estemamente violenti che impongono un cambio di paradigma – ha sottolineato la Sindaca – per questo abbiamo deciso di passare ad un nuovo modello di gestione delle alberature, abbandoniamola logica dell’emergenza per favorire quella della prevenzione”. L’accordo, appena sottoscritto in Campidoglio, prevede che sia l’amministrazione capitolina ad effettuare una mappatura sulle condizioni in cui versano gli alberi. Le situazioni di criticità evidenziate, vengono sottoposte alla Protezione civile che provvede a predisporre l’assegnazione di risorse specifiche. Il piano straordinario Dal 30 ottobre, a seguito dei danni causati dal maltempo che hanno comportato solo a Roma oltre 500 interventi, il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza in molte regioni italiane, Lazio incluso. Per questo l’amministrazione governata da Nicola Zingaretti, con il supporto della protezione civile ed ora anche del Campidoglio, ha deciso di predisporre un piano straordinario. “La nostra attività– ha dichiarato Angelo Borrelli, a capo del dipartimento di Protezione civile–supporterà il Comune nell’attività di monitoraggio degli alberi a rischio caduta a partire dalle scuole e dai giardini pubblici”. Le risorse in campo Le attività di monitoraggio, è stato ribadito nel corso della conferenza stampa svoltasi in Campidoglio, vanno ad affiancarsi a quelle già messe in campo per manutenere gli alberi. La Sindaca ha ricordato più volte quali sono le iniziative che l’amministrazione cittadina ha già predisposto per prendersi cura del patrimonio forestale della Capitale. Oltre ai 5 milioni del fondo giubilare che dopo numerosi annunci il Campidoglio è riuscito ad utilizzare solo […]
Archivi Giornalieri: 8 Gennaio 2020
Il primo ministro australiano Scott Morrison nelle ultime ore ha “messo in guardia” sulla possibilità che gli incendi che stanno devastando il suo Paese possano durare per mesi. Previsioni che, a dire il vero, il liberaldemocratico Morrison aveva già condiviso nel suo discorso di fine anno, suscitando polemiche e indignazione. Perché quando a “metterlo in guardia” sono stati gli esperti, gli appelli sono stati ripetutamente inascoltati dal leader. Negazionista climatico da sempre, con la complicità dei media. In particolare di Rupert Murdoch, che nel suo Paese controlla il 58% della stampa. Appelli inascoltati ben prima degli ultimi mesi e settimane. Quando, mentre l’Australia bruciava, Morrison ha deciso di non rinunciare alle sue vacanze alle Hawaii. Salvo, poi, essere costretto a un precipitoso rientro prima di Natale. Persino nel suo discorso di Capodanno alla nazione, il premier si è guardato bene dal collegare gli incendi alle emissioni di carbonio e ai cambiamenti climatici, sostenendo che gli australiani sono abituati ad affrontare “catastrofi naturali, inondazioni, guerre mondiali, malattie e siccità”. Una miopia che ha portato nel diciottesimo Paese più ricco al mondo, con quasi 50mila dollari di Pil pro capite, a danni economici stimati in circa 165 milioni di dollari solo di richieste di risarcimento alle assicurazioni. GLI APPELLI INASCOLTATI – A questo ha condotto la nota posizione negazionista di Morrison. Citando il dipartimento degli Affari interni, il quotidiano britannico The Guardian ha di recente rivelato che il governo australiano era stato avvertito, già dopo le elezioni di fine maggio, che il Paese doveva prepararsi a più frequenti ondate di caldo e incendi boschivi e che i cittadini avrebbero corso dei rischi senza un’azione efficace sul cambiamento climatico. In un rapporto consegnato al governo dallo stesso ministro degli Affari Interni, Peter Dutton, si parlava di “catastrofi” esacerbate dai cambiamenti climatici. D’altro canto, già a ottobre 2018, il governo australiano non ne aveva voluto sapere di ascoltare quello che […]
Dopo l’assassinio del generale Qassem Soleimani, comandante della Forza Quds dell’Irgc (Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, i Pasdaran), i venti di guerra e vendetta e le parole irresponsabili del mandante dichiarato dell’esecuzione, Donald Trump, si susseguono, quasi a provocare una reazione sempre più dura dell’Iran, e il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha rivolto a tutti un appello a fermare l’escalation e a rilanciare un dialogo che, va detto, si era ridotto ai minimi termini anche per il mancato coraggio dell’Onu, della comunità internazionale e dell’Unione europea che avevano lasciato che Trump, spinto da Arabia Saudita e Israele, fracassasse l’accordo sul nucleare tra Iran e G5+1 (Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia, Usa e Germania) raggiunto con la mediazione Ue. Guterres ha detto: «Seguo con una grande inquietudine l’aumento delle tensioni. Sono in contatto permanente con gli alti responsabili di tutto il mondo. Il mio messaggio è semplice e chiaro: fermate l’escalation. Date prova di massima calma. Rilanciate il dialogo. Rinnovate la cooperazione internazionale». Anche questa volta – come ammette la stessa Onu in una nota, Guterres non ha menzionato specificatamente gli Usa, ma è chiaro che si riferiva a quanto aveva appena detto Trump, minacciando di colpire 52 siti religiosi e culturali se l’Iran darà seguito alla sua minaccia di vendicare la morte di Soleimani. E, in relazione alle minacce di Trump, ieri a Parigi la direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, ha ricevuto l’ambasciatore della Repubblica islamica dell’Iran Ahmad Jalali, e ha ricordato «le disposizioni delle Convenzioni del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitti armati e del 1972 sulla protezione del patrimonio mondiale. Gli Stati Uniti e l’Iran hanno ratificato questi due strumenti. In particolare, la Convenzione del 1972 prevede che ciascuno degli Stati parte “si impegni a non prendere deliberatamente nessuna misura suscettibile di danneggiare […]
All’Assessore Cavaliere, in un incontro televisivo a cui partecipammo qualche settimana fa, avevamo chiesto coraggio nell’elaborazione della perimetrazione del Parco Nazionale del Matese che avesse come faro la conservazione e la tutela del massiccio matesino. Dalla proposta di perimetrazione elaborata dalla Giunta Regionale e trasmessa all’I.S.P.R.A., ente che dovrà poi validarla, notiamo solamente la realizzazione di un compitino, che in alcune sue parti contiene degli errori da sottolineare con la matita rossa. Gli allegati alla delibera di Giunta contengono delle forti contraddizioni. La prima cosa che balza agli occhi è la contrapposizione tra quanto contenuto nella proposta di perimetrazione della Giunta Regionale e quanto ipotizzato dal Servizio regionale competente (allegato 3), completamente in contrasto tra loro. Se quest’ultima risulta molto simile a quella formulata dall’I.S.P.R.A., e tiene in considerazione anche alcune imperfezioni che erano presenti nella prima ipotesi, la proposta formulata dalla Giunta Regionale ci lascia con molti dubbi. Essendo un Parco nazionale un ente che ha il compito in primis di proteggere paesaggi ed ecosistemi delicati e ricchi di biodiversità, non riusciamo a comprendere come possano essere lasciate fuori dalla perimetrazione importanti aree, inserite nell’ipotesi presentata dall’I.S.P.R.A. addirittura in Zona 1, ossia l’area del parco in cui le azioni di conservazione dovrebbero essere spinte ai massimi livelli. Ci riferiamo in particolare ad alcune aree presenti nei territori di Guardiaregia, Longano e San Massimo (Campitello Matese). Per quest’ultimo ci sarebbe da aprire un capitolo a parte, per discutere di come si continui ad insistere su Campitello Matese quale stazione sciistica, nonostante l’assenza di precipitazioni nevose ci dimostri l’insostenibilità economica e ambientale di quegli impianti. Un’attenta analisi necessita poi la situazione di Bojano. La delibera di Giunta in questione afferma che “Per il comune di Bojano, si procede con l’adozione della ipotesi di perimetrazione di cui all’allegato 2 (indicazioni dei […]
480 milioni di animali sarebbero stati vittime degli incendi che in questi giorni stanno devastando l’Australia. Un numero enorme, che ha scosso le coscienze ed è rimbalzato sui media di tutto il mondo. Ma come è stato ottenuto questo dato? È lo stesso autore del calcolo ad aver fatto chiarezza in una nota ufficiale, ridimensionando in piccola parte la dimensione della tragedia. Si tratta di Chris Dickman, professore dell’Università di Sydney e esperto di biodiversità del continente australiano. Dickman ha spiegato questo dato, precisando che non si tratta necessariamente del numero di animali morti, quanto a quelli che potrebbero essere stati vittime dei roghi. Il professore infatti ha detto di aver ripreso i risultati di un suo studio prodotto nel 2007 per il World Wide Fund for Nature, dove raccontava effetti dei disboscamenti nel Nuovo Galles del Sud. In quel report aveva calcolato che nelle aree colpite dagli incendi c’è una media di 17,5 mammiferi, 20,7 volatili e 129,5 rettili per ettaro (10.000 metri quadri). Con l’allargarsi a macchia d’olio degli incendi, il professore ha quindi moltiplicato questi numeri per il numero di ettari colpiti (3 milioni), e sommato i risultati di mammiferi, volatili e rettili, ottenendo 480 milioni. “Abbiamo calcolato che nei tre milioni di ettari del Nuovo Galles del Sud andati in fiamme […] circa 480 milioni tra rettili, volatili e mammiferi potevano essere stati vittime dei roghi”, scrive Dickman. Ma al tempo stesso è probabile che “i grandi animali, come i canguri e gli emu – e ovviamente molti uccelli – siano stati in grado di scappare dal fuoco appena questo li ha minacciati. Immagino che le specie più lente e più piccole, strettamente legate all’ecosistema della foresta, siano state colpite sulla linea di fuoco”. Ma, ha aggiunto poi alla BBC, molti animali che sono riusciti a sopravvivere al fuoco potrebbero morire nelle prossime settimane a […]
Riceviamo e volentieri pubblichiamo Finalmente la Regione Marche ha reso noti i dati relativi agli abbattimenti nelle stagioni venatorie 2016/17 e 2017/18. I numeri sono veramente impressionanti e danno il quadro dell’impatto dell’attività venatoria sulla fauna selvatica marchigiana e dei danni irreversibili alla biodiversità. Ogni anno, secondo i dati della Regione Marche, vengono uccisi per divertimento dagli oltre 24.000 cacciatori marchigiani circa 500.000 esemplari di fauna selvatica, in maggioranza uccelli migratori. Ma il numero è sicuramente e ampiamente sottostimato, se si considerano i criteri con cui vengono elaborati e forniti i dati. Innanzitutto quello rilevato dai tesserini di caccia è relativo al numero di abbattimenti effettuati dai cacciatori con residenza venatoria nell’ATC indicato, quindi non tiene conto degli abbattimenti effettuati in altri ATC. Di questo abbiamo una prova empirica, per lo meno per la specie storno: la Regione, nelle tabelle pubblicate sul nuovo Piano Faunistico Venatorio, dichiara 93.282 esemplari abbattuti nel 2016 e 78.033 nel 2017. Ma da documenti della stessa Regione Marche trasmessi nel 2018 all’ISPRA (Istituto Superiore Protezione e Ricerca Ambientale) sappiamo che nel 2016 vennero abbattuti 114.108 esemplari di Storno, mentre nel 2017 gli abbattimenti furono 87.621, numeri quindi di gran lunga superiori di almeno il 15%! Inoltre, esso non tiene conto di tutti gli abbattimenti non annotati e quindi che di fatto spariscono dal conteggio, come i capi abbattuti o mortalmente feriti e mai ritrovati, ad esempio nella caccia ai colombacci, dove i capi non recuperati sono moltissimi. Se consideriamo che la mancata annotazione sul tesserino regionale è la violazione più comune accertata dagli organi di vigilanza, possiamo solo immaginare quanti animali uccisi scompaiano dalle statistiche! Infine, non sono conteggiati tutti gli animali vittime di bracconaggio, di catture illegali e delle catture legali dei corvidi, di cui non si hanno dati disponibili per la maggior […]
Dal Wwf Australia arriva un nuovo terribile aggiornamento dalla situazione incendi: secondo le ultime stime «oltre un miliardo di animali potrebbero essere stati uccisi direttamente o indirettamente dagli incendi che hanno bruciato 8,4 milioni di ettari in tutta l’Australia, una superficie equivalente all’intera Austria. Un bilancio che può essere descritto con una sola parola: apocalisse. Queste cifre sono state calcolate utilizzando una metodologia che stima l’impatto del disboscamento sulla fauna australiana ed estrapolate dagli studi del Prof. Chris Dickman dell’Università di Sydney. Si tratta di una perdita straziante, che comprende migliaia di preziosi koala della costa centro-nord del New South Wales, insieme ad altre specie iconiche come canguri, wallaby, petauri, cacatua, potoroo e uccelli melifagi». Il CEO del Wwf Australia, Dermot O’Gorman, ha dichiarato: «Il Wwf Australia è molto addolorato per la perdita di vite umane nella tragedia degli incendi che sta attanagliando il Paese, Il nostro affetto e sostegno va alle famiglie che hanno perso i loro cari e alle comunità che hanno perso la casa e i loro averi. Gli incendi sono stati devastanti anche per la fauna e tanti luoghi selvaggi e incontaminati del Paese, dato che sono state bruciate enormi aree di foreste e parchi. Molte aree forestali impiegheranno decenni per riprendersi e alcune specie potrebbero essere sull’orlo dell’estinzione». Isabella Pratesi, direttrice del programma di Conservazione del Wwf Italia, che in questi giorni si trova in Tasmania, spiega chi sono i colpevoli degli incendi: «Primi tra tutti la siccità e le temperature bollenti, causate dal riscaldamento globale, che hanno trasformato le foreste in prede facilmente divorabili dalle fiamme. Gran parte della Tasmania è stata avvolta dal fumo degli incendi della costa orientale dell’Australia. La portata della devastazione è enorme e il vento ne porta la testimonianza fino in Nuova Zelanda. In Australia stanno bruciando le […]