Trump pronto bombardare luoghi patrimonio mondiale dell’Unesco, come i talebani e i jihadisti del Mali

 

Dopo l’assassinio del generale Qassem Soleimani, comandante della Forza Quds dell’Irgc (Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, i Pasdaran), i venti di guerra e vendetta e le parole irresponsabili del mandante dichiarato dell’esecuzione, Donald Trump, si susseguono, quasi a provocare una reazione sempre più dura dell’Iran, e il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha rivolto a tutti un appello a fermare l’escalation e a rilanciare un dialogo che, va detto, si era ridotto ai minimi termini anche per il mancato coraggio dell’Onu, della comunità internazionale e dell’Unione europea che avevano lasciato che Trump, spinto da Arabia Saudita e Israele, fracassasse l’accordo sul nucleare tra Iran e G5+1 (Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia, Usa e Germania) raggiunto con la mediazione Ue.

Guterres ha detto: «Seguo con una grande inquietudine l’aumento delle tensioni.

Sono in contatto permanente con gli alti responsabili di tutto il mondo.

Il mio messaggio è semplice e chiaro: fermate l’escalation.

Date prova di massima calma.

Rilanciate il dialogo.

Rinnovate la cooperazione internazionale».

Anche questa volta – come ammette la stessa Onu in una nota, Guterres non ha menzionato specificatamente gli Usa, ma è chiaro che si riferiva a quanto aveva appena detto Trump, minacciando di colpire 52 siti religiosi e culturali se l’Iran darà seguito alla sua minaccia di vendicare la morte di Soleimani.

E, in relazione alle minacce di Trump, ieri a Parigi la direttrice generale dell’UnescoAudrey Azoulay, ha ricevuto l’ambasciatore della Repubblica islamica dell’Iran Ahmad Jalali, e ha ricordato «le disposizioni delle Convenzioni del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitti armati e del 1972 sulla protezione del patrimonio mondiale.

Gli Stati Uniti e l’Iran hanno ratificato questi due strumenti.

In particolare, la Convenzione del 1972 prevede che ciascuno degli Stati parte “si impegni a non prendere deliberatamente nessuna misura suscettibile di danneggiare direttamente o indirettamente il patrimonio culturale e naturale che è situato sul territorio di altri stati parte di questa convenzione”»

La Azoulay ha anche ricordato «i termini della risoluzione del Consiglio di sicurezza 2347 adottato all’unanimità nel 2017, che condanna gli atti di distruzione del patrimonio culturale».

Una risoluzione votata dopo la distruzione delle antiche tombe e delle biblioteche da parte dell’effimero califfato nero jihadista che aveva occupato il nord del Mali e della distruzione dei Buddha della valle di Bamyian da parte dei Talebani in Afghanistan e poi la distruzione di chiese cristiane e luoghi sacri yazidi e zoroastriani da parte dello Stato Islamico/Daesh in Siria e Iraq.

Ora Trump.

Per difendere l’occidente, si appresta a fare la stessa cosa dei fanatici islamisti sunniti per combattere gli islamici sciiti, e, anche in Italia, lo applaudono i sovranisti che quando vennero distrutte tombe, biblioteche, chiese e Buddha dissero che erano la dimostrazione dell’arretratezza culturale e settaria dell’Islam.

La direttrice dell’Unesco ha invece sottolineato «l’universalità del patrimonio culturale e naturale, vettore di pace e di dialogo tra i popoli, che la comunità internazionale ha il dovere proteggere e preservare per le popolazioni future».

Guterres ha dato diplomaticamente un giudizio terribile su quanto fatto da Trump negli ultimi 3 anni: «Le tensioni geopolitiche sono al loro più alto livello del secolo e questa turbolenza si intensifica.

Anche la stessa non proliferazione nucleare non può più essere data per acquisita.

Queste tensioni portano sempre più Paesi a prendere delle decisioni impreviste con delle conseguenze imprevedibile con un fortissimo rischio di errore di calcolo.

Nello stesso tempo, assistiamo a dei conflitti commerciali e tecnologici che fratturano i mercati mondiali, minano la crescita e approfondiscono le ineguaglianze.

E mentre questo accade, il nostro pianeta è in fiamme.

La crisi climatica sta imperversando.

In molte parti del mondo vediamo molte persone frustrate e arrabbiate.

Stiamo assistendo a un aumento dei disordini sociali e ad un aumento dell’estremismo, del nazionalismo e della radicalizzazione, con una pericolosa progressione del terrorismo, specialmente in Africa.

Questa situazione non può durare».

Uno sguardo globale che smentisce la ricostruzione di Trump e dei suoi – pochi – pappagalli occidentali che dice che tutto nascerebbe dalla necessità di vendicarsi delle milizie sciite irakene della coalizione di Hashd al-Shaabi (Popular Mobilization Forces PMF – Forze di Mobilitazione Popolare), alleate dell’Iran e che sarebbero state il braccio armato di Soleimani.

Una di queste milizie, Kataib Hezbollah (KH), che opera sia in Iraq che in Siria, aveva attaccato basi statunitensi che ospitano le forze della coalizione dell’Operazione Inherent Resolution (OIR), uccidendo un contractor, ma era stata subito punita dalle truppe Usa che avevano bombardato 5 basi del gruppo uccidendo una sessantina di miliziani sciiti. 

La cosa si complica se si pensa che Kataib Hezbollah è uno dei reparti iracheni che hanno combattuto in Iraq contro i terroristi del Daesh insieme ad americani, kurdi ed esercito irakeno e che hanno appoggiato varie operazioni antiterrorismo nella zona di confine fra Siria ed Iraq.

Dopo l’attacco statunitense alle basi KH, c’è stato l’assedio di protesta dell’ambasciata statunitense a Baghdad – un atto poco più che dimostrativo e contenuto dall’esercito irakeno – che ha dato il via alla vendetta Usa che ha portato alla morte di Soleimani e di diversi leader sciiti di Hashd al-Shaabi, compreso il vicecapo Abu Mahdi al-Muhandis.

Il problema è che Il 26 novembre 2016 l’alleanza delle milizie sciite è stata riconosciuta dal Parlamento iracheno come forza ufficiale di sicurezza del Paese.

La guida dell’alleanza già in precedenza era stata legata all’ufficio del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Quindi i miliziani della coalizione PMF sono integrati nelle forze di difesa dell’Iraq e l’attacco statunitense all’aeroporto di Baghdad ha colpito leader che fanno parte dell’élite politico-militare irakena ed è per questo che il Parlamento iracheno, in sessione straordinaria e ha votato per chiedere al governo per porre fine alla presenza delle truppe statunitensi e straniere presentare una denuncia ufficiale contro gli Stati Uniti per l’assassinio di Qassem Suleimani e il vice capo di Hashd al- Sha’abi.

Il Primo ministro iracheno, lo sciita Adel Abdul Mahdi, ha detto che «è nell’interesse dell’Iraq e degli Stati Uniti che le truppe straniere lasciano il Paese».

Tra questi ci sono anche i soldati della cosiddetta coalizione internazionale guidata dagli Usa, presente in Iraq all’indomani della guerra del 2003 che comprendono anche 926 militari italiani: un contingente di carabinieri a Bagdad, il contingente di truppe speciali, la Task Force 44, il gruppi degli addestratori a Erbil, nel Kurdistan.

Hashd al Shaabi ha lanciato sui suoi canali Telegram un appello al reclutamento, per «vendicare il sangue del martire Qasem Soleimani» e per operazioni di martirio contro gli americani, colpevoli di aver interferito nella politica interna irachena.

La fobia per gli sciiti di Trump nasce probabilmente dai cattivi consigli che gli arrivano dal suo nido di vecchi falchi guerrafondai della destra neoliberista usa, dai sauditi e dal premier israeliano Benjamin Netanyahu eppure, come scrive Ersin Çaksu dell’agenzia kurda ANF, «fino a pochi mesi fa non sarebbe stato inverosimile definire gli Usa e le milizie di Hashd al-Shaabi partner di un’alleanza.

Perché entrambi con la lotta contro il cosiddetto Stato Islamico perseguivano lo stesso obiettivo in Iraq.

Ma nel frattempo le cose sono cambiate e le due parti si confrontano con accanita ostilità».

Ma se si guarda a chi compone l’alleanza di milizie sciite di Hashd al-Shaabi, la cosa diventa più complessa.

Il 3 giugno 2014 il grande Ayatollah Ali as-Sistani ha chiamato gli sciiti irakeni alla Jihad contro lo Stato Islamico/Daesh, è da quell’appello che nasce Hashd al-Shaabi.

«Ma la milizia logicamente dominata da sciiti, non è affatto così omogenea come potrebbe apparire a un primo sguardo – dice Çaksu – Perché da un lato raggruppamenti sciiti che presentano una chiara vicinanza all’Iran hanno seguito l’appello del grande Ayatollahs, dall’altro però anche il religioso sciita Muqtada as-Sadr ha seguito l’appello alla Jihad e quest’ultimo è noto per la sua distanza critica nei confronti dell’Iran.

Infine i gruppi filo-iraniani e i seguaci di as-Sadr fino a oggi rappresentano l’ala principale di Hashd al-Shaabi.

Che l’Iran si sia fatto carico di una gran parte degli armamenti, della logistica e del finanziamento delle milizie Hashd al-Shaabi Milizen, per molto tempo non ha interessato gli USA.

Questo è stato valido almeno fino a quando il nemico comune era il cosiddetto Stato Islamico.

Anche quando l’alleanza di milizie Hashd al-Shaabi ha ottenuto un riconoscimento ufficiale dell’Iraq o quando dopo il referendum kurdo sull’indipendenza ha fatto ingresso a Kerkûk (Kirkuk), gli Usa hanno chiuso gli occhi.

La stessa indifferenza Washington l’ha mostrata quando il generale iraniano Qassem Soleimani ucciso poco fa, guidava ai vertici di Hashd al-Shaabi le operazioni contro lo stato Islamico nella provincia di al-Anbar».

Dopo il riconoscimento parlamentare come forza di sicurezza statale, il numero di miliziani delle PMF è cresciuto in modo fino ad arrivare a oltre 200.000 uomini armati divisi in più di 70 gruppi di miliziani.

«La linea di divisione principale – spiega ancora Çaksu – passa tra i gruppi filo-iraniani e le unità di miliziani che hanno giurato fedeltà a as-Sadr.

Quest’ultimo dopo la vittoria sullo Stato Islamico aveva dichiarato che l’alleanza ha assolto la sua funzione e che per questo doveva essere sciolta.

Ma questo non si è verificato.

Perché in particolare per l’Iran, Hashd al-Shaabi si dimostra un veicolo utile per gli interessi politici in Iran».

E dopo l’uccisione di Soleimani, Moqtada al-Sadr ha espresso le sue condoglianze per il martirio del maggior generale iraniano e, secondo Alsumaria News «Al-Sadr ha ordinato al suo Esercito del Mahdi di riprendere le attività per proteggere l’Iraq» e ha scritto su Twitter: «Ho ordinato ai mujahideen di essere pronti a difendere l’Iraq.

Consiglio a tutti di agire con saggezza e astuzia», ha quindi aggiunto di aver chiesto ad «altri gruppi armati nazionali e disciplinati di prepararsi alla lotta».

Ma ormai Hashd al-Shaabi è quasi del tutto sotto il controllo della fazione filo-iraniana e quindi non sorprende che Trump la abbia scelta come bersaglio e si trovi ora al centro del conflitto iraniano-statunitense attualmente è in corso in Iraq e che rischia di tracimare in tutto il Medio Oriente.

Amnesty Iternational Human Rights Watch avevano già denunciato che, nonostante il loro ruolo nella lotta al  Daesh, le milizie PMF si sono macchiate di diversi crimini di guerra a danno della popolazione sunnita nelle aree liberate dall’offensiva statunitense-irakena-kurda, compresa Musul dove sono presenti truppe italiane, ma allora a Trump la cosa non interessava.

Dopo la sconfitta del Daesh, l’ayatollah Al-Sistani, il 15 dicembre 2017, aveva chiesto alle PMF di sciogliersi e ai suoi miliziani di unirsi alle forze di sicurezza irachene.

Da allora diversi capi milizia si sono dimessi dal loro ruolo militare per potersi candidare alle elezioni e molti sono stati eletti nella coalizione Alleanza di Fatah, in maggioranza leali all’ayatollah iraniano Khamenei e filo-iraniani, in parte leali all’ayatollah iracheno radicale Muqtada al-Sadr.

E’ in questo groviglio inestricabile che Trump ha scatenato il suo attacco, colpendo i vertici di due Stati, l’orgoglio sciita e suoi (ormai ex) alleati sul campo di battaglia e senza i quali non sarebbe riuscito a sconfiggere lo Stato Islamico/Daesh.

Trump sa bene che la vendetta – purtroppo arriverà – e probabilmente lo ha fatto, se c’è un senso in tutto questo, proprio per questo.

E non è un caso se in molte vignette dei cartoonist pubblicate sui giornali statunitensi il tema ricorrente è un Trump un po’ intronato che percuote con un bastone un nido di vespe mediorientali.

(Articolo di Umberto Mazzantini, pubblicato con questo titolo il 7 gennaio 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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