Incendi in Australia, è un ecocidio. Genovesi: «Disastro ecologico per la fauna del continente»

 

Greenpeace Italia e il Wwf fanno il punto sull’ecocidio in corso in Australia e che potrebbe riprendere con ancora più forza, visto che le previsioni meteorologiche parlano di temperature ulteriormente in crescita, dopo quelle record toccate nei giorni e nelle settimane scorse.

Gli incendi hanno devastato un’area più grande dell’intera Scozia; le vittime accertate sono salite a 26, e tra loro ci sono anche molti vigili del fuoco; secondo il Wwf sono più di un miliardo gli animali, tra mammiferi, rettili, uccelli e altri animali, potrebbero essere stati uccisi a causa roghi; all’inizio della settimana nella capitale australiana Canberra si sono registrati i peggiori livelli al mondo per la qualità dell’aria; l’Australia è il primo Paese al mondo per esportazione di carbone e gas (e questo ha a che fare anche con gli incendi).

L’immensa perdita di biodiversità è confermata da Piero Genovesi, responsabile del Servizio coordinamento Fauna di Ispra e dello comitato direttivo della Species Survival Commission dell’International Union for Conservation of Nature, della quale presiede il gruppo specialistico sulle specie invasive. 

In un’intervista ad Ambiente Informa, il notiziario del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, Genovesi sottolinea che «i  numeri circolati in questi giorni sono stime calcolate sulla base di uno studio realizzato dieci anni fa dal prof. Dickman.

La ricerca individuava le densità delle specie presenti in un territorio per stimare il numero di animali persi nel caso di distruzione degli habitat.

Considerando che gli incendi hanno distrutto otto milioni di ettari di territorio (pari alla superficie dell’Austria), la stima iniziale era di 480 milioni di esemplari colpiti, aggiornato ieri con 800 milioni.

 Il Wwf australiano ha parlato in questi giorni di un miliardo e 250 milioni.

Si tratta di primi calcoli, purtroppo ragionevoli.

Tra l’altro questi numeri fanno riferimento solo ai mammiferi, agli uccelli e ai rettili.

Se fossero stati considerati anche gli invertebrati e gli anfibi, le stime sarebbero molto superiori.

Quello che è certo è che l’impatto degli incendi è enorme sulla biodiversità dell’Australia, che è la regione al mondo che più ha sofferto la perdita di specie».

Genovesi risponde anche a una domanda sugli effetti diretti e indiretti sulla fauna: «L’impatto immediato è la distruzione diretta degli animali e degli ambienti, ma gli effetti ci saranno anche sugli esemplari che riescono a sopravvivere.

Pensiamo ai rettili: possono salvarsi dalle fiamme, ma poi, spento l’incendio, si ritrovano in un habitat devastato.

Molti marsupiali hanno abitudini arboricole e saranno quindi minacciati dalla distruzione delle foreste, mentre i mammiferi che vivono nel sottobosco saranno vulnerabili alla predazione dei gatti inselvatichiti e delle volpi, specie introdotte dall’uomo in Australia e che hanno già causato l’estinzione di molte specie autoctone. 

La vulnerabilità dell’Australia è legata alla storia particolare di questo continente, isolato da oltre 50 milioni di anni e che per questo ha sviluppato una fauna unica.

Si calcola che delle oltre 300 specie di mammiferi autoctoni, oltre l’80% sia endemico, ovvero vive solo in Australia, spesso in areali molto ridotti.

Oltre ai mammiferi anche l’89% dei rettili, il 90% dei pesci e degli insetti e il 93% degli anfibi australiani siano endemici. 

Tra le specie più colpite ci sono sicuramente i koala.

Abbiamo visto le immagini drammatiche della loro scomparsa: gli incendi hanno sterminato 8000 esemplari, ovvero un terzo della popolazione australiana.

Ma sono molte le specie colpite pesantemente.

Ad esempio il potoroo dai piedi lunghi, Potorus longipes, un marsupiale  con un areale estremamente ridotto completamente distrutto dagli incendi.

O il l topo australiano del fiume Hastings, un roditore endemico strettamente legato al sottobosco oramai scomparso: si calcola sia stato colpito il 40% della popolazione sino ad oggi, che significa un elevato rischio di estinzione.

Già a novembre, prima del picco degli incendi, era stata segnalata una forte moria delle volpi volanti dagli occhiali, un pipistrello frugivoro di grandi dimensioni: a causa dello shock termico legato alle temperature estremamente elevate di quest’anno, si stima che in pochi giorni siano morte oltre 23 mila volpi volanti.

E’ difficile fare una stima scientificamente accurata di quanto sta accadendo, ma l’impatto è sicuramente enorme e serviranno decenni di impegno per recuperare almeno in parte quanto si sta perdendo in pochi mesi».

Di fronte a questa tragedia che non sembra finire mai e dalle conseguenze non prevedibili, il Wwf denuncia che «una vera e propria campagna di disinformazione è stata orchestrata e condotta in rete con profili falsi e messaggi fuorvianti in questi giorni in Australia, con il chiaro intento mettere in secondo piano il ruolo dei cambiamenti climatici e drammatizzare il ruolo di incendiari e piromani nella drammatica escalation australiana.

Una campagna di disinformazione che ha amplificato il ruolo degli incendi dolosi per minimizzare quello delle condizioni anomale in cui gli incendi si sono sviluppati, con un’ondata di calore prolungata e temperature record.

Un copione già visto in casi simili, teso ad alimentare la confusione e il falso “dibattito” in modo da procrastinare misure e cambi di rotta decisi».

Mariagrazia Midulla, responsabile clima ed energia del Wwf Italia, aggiunge che «anche in Italia queste notizie hanno trovato spazio.

Il fine di queste campagne di disinformazione è quello di sopire la preoccupazione per il ripetersi e l’esacerbarsi dei fenomeni estremi e coprire le responsabilità.

Così non si va da nessuna parte.

Eppure, l’evidenza dei fenomeni dovrebbe indurre i Paesi e le forze economiche e sociali di ciascun Paese a coalizzarsi per attuare al più presto politiche incisive di decarbonizzazione.  

L’unico vero estremismo, autolesionista, è quello di chi cerca di difendere i combustibili fossili invece di difendere la sicurezza e la vita delle persone e la sopravvivenza delle specie animali e vegetali come le conosciamo».

Federico Spadini, di Greenpeace Italia ricorda che «gli incendi boschivi in Australia non sono una novità, sono anzi un fenomeno che si ripete ciclicamente.

Negli ultimi anni però le stagioni degli incendi iniziano prima, durano molto più a lungo e sono più estreme e difficili da prevedere.

I cambiamenti climatici influenzano sostanzialmente tutti gli eventi meteorologici estremi, siccità compresa, e dunque indirettamente anche gli incendi.

La parte meridionale dell’Australia è stata colpita da una forte siccità da gennaio ad agosto del 2019, con gran parte del Nuovo Galles del Sud che ha subito una delle peggiori siccità mai registrate.

Il tutto si è combinato con un inverno dalle temperature elevate, e con incuria, disattenzione o dolo. Il risultato sono gli incendi di cui oggi tutti sentiamo parlare».

Ma cosa c’entra tutto questo con il carbone e il gas?

«Semplice – risponde Spadini – i combustibili fossili (appunto carbone, gas e petrolio) sono la prima causa dei cambiamenti climatici, e continuare a estrarli e bruciarli come l’Australia sta facendo può solamente aggravare l’emergenza climatica in corso. 

Mentre parte dell’Australia brucia, un po’ più a nord, in Indonesia, la capitale Giacarta è sommersa di acqua, colpita da violente piogge che hanno già causato 60 vittime.

L’anno che abbiamo da poco concluso ha visto un susseguirsi di eventi meteorologici estremi sia in Italia – con l’acqua alta che ha sommerso Venezia, ultima emergenza solo in ordine di tempo – che in continenti come l’Africa, stretta per mesi nella morsa tra alluvioni e siccità. 

È chiaro purtroppo che eventi del genere potranno solo aumentare di frequenza e di intensità se non fermiamo la crisi climatica, con effetti devastanti sulla vita di intere comunità e sulla biodiversità del Pianeta.

Allo stesso modo è chiaro chi sono i primi responsabili di questa situazione: le aziende che continuano a far soldi con l’estrazione di combustibili fossili, con la deforestazione e con gli allevamenti intensivi, e quei governi che continuano a non prendere provvedimenti concreti e ambiziosi per fermare queste follie e tutelarci dalle incombenti minacce di un clima che cambia».

E Greenpeace indica quello che è probabilmente il mandante politico delle fake news e della campagna di minimizzazione: il premier liberaldemocratico australiano Scott Morrison  che «ha deliberatamente ignorato gli allarmi degli esperti e delle comunità internazionali circa gli impatti dei cambiamenti climatici sugli incendi australiani.

E al contempo si è eretto paladino del carbone e delle fonti fossili, senza prendere impegni significativi per ridurre le emissioni di gas serra australiane, che hanno visto un continuo incremento negli ultimi quattro anni.

E nel resto del mondo i governi non fanno molto meglio: l’Italia si appresta a presentare all’Unione europea un “Piano Integrato per l’Energia e il Clima” molto poco ambizioso e sostanzialmente basato sul gas fossile.

Quante altre immagini di incendi devastanti dovremo ancora vedere prima che i nostri governi decidano di cambiare davvero la rotta per salvare “la nostra casa in fiamme”?»

(Articolo pubblicato con questo titolo il 10 gennaio 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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