L’impronta dell’umanità sta schiacciando la fauna selvatica del mondo

 

Secondo il nuovo studio  “Intense human pressure is widespread across terrestrial vertebrate ranges” – pubblicato su Global Ecology and Conservation da un team internazionale di ricercatori e della Wildlife Conservation Society (Wcs) al quale ha partecipato anche Moreno Di Marco del Dipartimento di biologia e biotecnologie dell’università La Sapienza di Roma – la fauna selvatica del pianeta sta subendo sempre di più il peso dell’umanità.

L’impronta umana esamina l’impatto della popolazione umana (densità di popolazione, densità di abitazioni), accessi umani (strade, ferrovie), utilizzo antropico del suolo (aree urbane, agricoltura, silvicoltura, miniere, grandi dighe) e infrastrutture elettriche (corridoi delle utility), pressioni umane note come volani dell’attuale crisi di estinzione delle specie.

Utilizzando il data-set più completo sull’“human footprint”, i ricercatori hanno riscontrato fortissime pressioni umane in tutti gli areali di 20.529 specie di vertebrati terrestri.

Ben 17.517 specie, l’85% di quelle valutate, hanno la metà dei loro reali esposti a un’intensa pressione umana, con 3.328 specie, il 16%, che vedono il loro areale interamente invaso dagli esseri umani.

Lo studio evidenzia che «i vertebrati terrestri minacciati di estinzione e le specie con piccoli areali sono esposti in modo sproporzionato all’intensa pressione umana».

Altre 2.478 specie ritenute “meno preoccupanti” presentano considerevoli estensioni dei loro areali che si sovrappongono a aree interessate da forti pressioni antropiche, «il che può indicare un rischio di un loro declino», dicono alla Wcs

Gli autori dello studio sono convinti che questi risultati possano migliorare il modo in cui viene valutata la vulnerabilità delle specie, con ricadute positive per molte altre aree della conservazione: «Ad esempio – sottolinea la Wcs – i dati possono aiutare le attuali valutazioni dei progressi rispetto agli obiettivi di Aichi del 2020, in particolare l’obiettivo 12, che si occupa di prevenire le estinzioni, e l’obiettivo 5, che si occupa di prevenire la perdita di habitat naturali».

Il principale autore dello studio, Christopher O’Bryan della School of Earth and Environmental Sciences dell’Università del Queensland, ha sottolineato che «il nostro lavoro dimostra che una grande percentuale di vertebrati terrestri non ha dove nascondersi dalle pressioni umane che vanno dai pascoli e dall’agricoltura fino ai conglomerati urbani estremi».

E l’autore senior, James Watson del Global Conservation Program della Wcs e della School of Biological Sciences dell’Università del Queensland, conclude: «Data la crescente influenza umana sul pianeta, per la biodiversità si stanno esaurendo il tempo e lo spazio e dobbiamo dare priorità alle azioni contro queste intense pressioni umane. 

Utilizzando i dati cumulativi sulla pressione umana, siamo in grado di identificare le aree a rischio più elevato e dove è immediatamente necessaria un’azione di conservazione per garantire che la fauna selvatica abbia un areale sufficiente per poter persistere».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 14 gennaio 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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