Amianto, 385 mln di euro per rimuoverlo dagli edifici pubblici (e non sapere dove smaltirlo)

 

Dopo oltre un quarto di secolo dalla legge 257/1992, che ha messo al bando l’amianto in Italia, nel nostro Paese ci sono ancora dalle 32 alle 40 milioni di tonnellate di questo materiale (rispettivamente da stime Cnr-Inail e Ona) che attendono di essere rimosse e smaltite, una parte sensibile delle quali si trova in oltre 50mila edifici pubblici: nel frattempo sono 21.463 i casi di mesotelioma maligno registrati in Italia tra il 1993 e il 2012, 6mila i morti ogni anno.

Un’ecatombe che mostra con tragica chiarezza quanto sia urgente portare avanti le bonifiche, anche perché i soldi per realizzarle (almeno in parte) ci sono.

Il ministero dell’Ambiente ha infatti adottato ieri quanto previsto dal “Piano di bonifica da amianto”, previsto nel secondo Addendum al Piano operativo “Ambiente” approvato dal Cipe nel 2016: si tratta di 385 milioni di euro per la bonifica dall’amianto negli edifici pubblici, in particolare per la rimozione e lo smaltimento nelle scuole e negli ospedali.

Nel piano, spiegano dal dicastero, sono individuati i soggetti beneficiari delle risorse (Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, con le risorse previste nella tabella riportata in articolo) e le modalità di trasferimento: i soggetti beneficiari individuano, a loro volta, gli interventi da finanziare e ne curano la gestione, il controllo e il monitoraggio sulla realizzazione.

Adesso occorre muoversi rapidamente: tutti gli interventi dovranno infatti essere realizzati entro il 31 dicembre 2025.

«Con questi fondi per la rimozione dell’amianto dagli edifici pubblici – afferma il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – daremo priorità al risanamento delle scuole e degli ospedali italiani. Confido nella collaborazione con le Regioni e le Province autonome per dare avvio subito ai progetti più urgenti.

È fondamentale accelerare la messa in sicurezza del Paese perché i soldi ci sono e vanno spesi. I cittadini hanno atteso abbastanza».

I soldi da soli però non bastano.

Occorre creare le condizioni affinché le bonifiche possano essere concluse, il che comporta individuare quei siti dove i rifiuti contenenti amianto possano essere gestiti in sicurezza: un tasto assai dolente per l’Italia.

Non a caso Legambiente, nel suo dossier sulle priorità nazionali d’intervento nell’ambito del Green deal europeo, mette in evidenza «la necessità di avere discariche per il corretto smaltimento dell’amianto».

«Una della difficoltà che si registra nello smaltimento corretto dei materiali che contengono tale fibra – sottolineano dal Cigno verde – è proprio l’alto costo legato anche alla mancanza di discariche regionali.

Sono, infatti, solo 8 le Regioni provviste di discariche specifiche.

Secondo i dati Ispra nel 2015 ben 145 mila tonnellate di rifiuti contenenti amianto sono stati esportati nelle miniere dismesse della Germania.

Sono troppe le Regioni che per evitare di assumersi la responsabilità di individuare i siti lasciano che la situazione degeneri.

Se anche riuscissimo a velocizzare la rimozione dell’amianto, come ci auguriamo, non abbiamo gli impianti per poterlo inertizzare e smaltire.

Serve realizzare almeno una discarica per regione per smaltire i rifiuti contenenti amianto, anche alla luce della ripartenza dell’extra bonus per sostituire le onduline in cemento amianto con i pannelli fotovoltaici grazie al decreto incentivi di recente approvazione.

Nel frattempo si sostenga la ricerca per trovare soluzioni tecnologiche alternative alla discarica».

Intanto, ieri al tribunale di Vercelli è iniziato, con l’udienza preliminare, il processo “Eternit bis”, che riguarda 392 casi di morte o malattia.

L’imputato, a cui i pm vercellesi contestano l’omicidio volontario, è Stephan Scmidheiny, l’ultimo padrone in vita dell’Eternit, la multinazionale dell’amianto che a Casale Monferrato aveva il più importante stabilimento italiano, attivo dal 1907 al 1986.

L’accusa mossa è diversa da quella del maxiprocesso, imbastito dal pool di Raffaele Guariniello, dove gli venne contestato il disastro doloso ambientale, reato considerato prescritto dalla Cassazione.

Nonostante le obiezioni della difesa completamente rigettate dal Giudice, Legambiente si è costituita parte civile e Giorgio Prino, presidente di Legambiente Piemonte, ricorda che «nell’area Casalese, così come in altre aree del Piemonte e d’Italia abbiamo assistito ad un caso tragico di inquinamento ambientale con effetti disastrosi sulla salute umana.

Tra il giugno 1976 e il giugno 1986 almeno 392 persone tra lavoratori e terzi, esposti comunque ad inquinamento da amianto, hanno perso la vita.

Un numero puramente indicativo e in continua crescita: di amianto si continua a morire quotidianamente a Casale e nelle zone interessate, vittime di un’azione inquinante di evidente origine antropica, posto che l’asbesto non era presente naturalmente nella configurazione geologica dell’area casalese».

Stefano Ciafani, presidente di Legambiente nazionale, conclude: «Non potevamo non esserci.

Eravamo costituiti parte civile nel precedente processo terminato con la prescrizione, saremo convintamente presenti anche in questo.

Fin dalla sua nascita Legambiente si occupa di perseguire la salvaguardia e il miglioramento delle condizioni dell’ambiente, cioè il primario bene leso dalle gravi e continuate condotte di reato contestate.

Tanto gravi da aver determinato la morte delle centinaia di persone indicate nel capo di imputazione.

Tanto continuate che ancor oggi si muore di amianto: Casale Monferrato si contano oltre 2.500 vittime per malattie correlate all’esposizione da amianto, la maggioranza delle quali non aveva mai lavorato all’Eternit.

Si contano almeno cinquanta casi all’anno di mesotelioma, un tumore con una incubazione di quarant’anni».

(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 15 gennaio 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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