Il Piano nazionale energia e clima «va aggiornato nuovamente»

 

Il Piano nazionale energia e clima, ovvero il documento che dovrà guidare il percorso di decarbonizzazione italiano per i prossimi dieci anni, è stato inviato dal Governo alla Commissione europea pochi giorni fa ma è già vecchio.

«È un lavoro serio ma va aggiornato nuovamente perché – dichiara il sottosegretario al ministero dell’Ambiente Roberto Morassut – l’Europa ormai punta al 55% di riduzione delle emissioni entro il 2030. I target sono stati giustamente innalzati».

La nuova Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen ha proposto infatti un taglio delle emissioni continentali tra il 50 e il 55% al 2030 rispetto al 1990, mentre l’Europarlamento ha approvato la richiesta di concentrare gli sforzi sul 55%.

Raggiungendo gli obiettivi previsti dal Pniec invece l’Italia si fermerebbe «a una riduzione complessiva delle emissioni nazionali di gas serra del 37%», come già spiegato tra gli altri dall’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi.

«Entro il 2030 – aggiunge Morassut – occorre puntare a completare la transizione nel trasporto pubblico locale.

Il tempo dell’idrogeno non è lontano ed intanto si possono incentivare fortemente elettrico e biogas, ma ci vuole coraggio.

Ci vuole coraggio su Ilva per uscire dal dominio assoluto del coke, ci vuole coraggio sulla rigenerazione urbana per innovare il processo industriale edilizio favorire la decostruzione ed introdurre materiali a bassa emissione.

Ci vuole coraggio ad affrontare con saggezza il tema carbon tax e sussidi ambientale dannosi.

Non si può sfuggire a questi nodi.

Dobbiamo iniziare.

Siamo consapevoli della sfida.

E nel prossimo collegato ambientale anticiperemo alcune misure».

Tutte tematiche opportune, che non hanno però trovato finora spazio né all’interno del Pniec – la cui prima bozza è stata approntata dal Governo Conte 1 un anno fa, e che non ha visto sostanziali modifiche da parte del Conte 2 – né negli altri provvedimenti varati finora. Tanto che il Coordinamento Free – al quale aderiscono numerose associazioni ambientaliste, istituzioni e imprese di settore –

ritiene che «rispetto alla proposta di Pniec presentata un anno fa i cambiamenti introdotti nella versione definitiva non sono molti, ma in più di un caso peggiorativi».

«La questione più preoccupante è quella legata al carbone – spiega G.B. Zorzoli, presidente di Free –  L’uscita dal carbone viene condizionata a una serie di infrastrutture quali il cavo HVDC Sardegna-Sicilia-Sud che sono difficilmente completabili entro il 2025, mettendo così una seria ipoteca sull’abbandono del combustibile fossile più climalterante.

E non ci si ferma qui.

Per attuare il phase out dal carbone il Pniec stesso vuole che siano implementate nuove centrali termoelettriche a gas che dovrebbero servire, il condizionale è d’obbligo, anche a garantire la stabilità dl sistema elettrico».

«Lacci e lacciuoli» sulla strada delle comunità energetiche, una «mancanza di visione industriale» partire dal capitolo sull’economia circolare e le «assenti misure concrete» per fare degli investimenti nelle fonti rinnovabili il motore di nuove attività industriali o per riconvertire settori colpiti dalla transizione energetica completano il quadro: «Se il Pniec italiano è l’anticamera di un Green new deal per il nostro Paese – concludono da Free – più che Green sarebbe meglio definirlo un Grey new deal, che guarda al futuro dallo specchietto retrovisore di un’auto endotermica».

(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 31 gennaio 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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