Come i microrganismi possono rendere l’agricoltura resiliente ai cambiamenti climatici

 

I microrganismi presenti nella canna da zucchero potrebbero essere una delle chiavi per aumentare la produttività agricola e mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, anche in occasione di gravi siccità, che colpiscono diverse colture agricole utilizzate per la produzione di alimenti e bioenergia.

Sono i risultati di un progetto condotto in Brasile dai ricercatori del Centro de Pesquisa em Genômica Aplicada às Mudanças Climáticas (GCCRC) – un centro di ricerca ingegneristica costituito nell’Universidade Estadual de Campinas (Unicamp), dalla Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de S. Paulo (Agência FAPESP) e dalla Empresa Brasileira de Pesquisa Agropecuária (Embrapa) – che hanno identificato funghi e batteri che favoriscono la crescita della canna da zucchero e successivamente hanno inoculato questi microrganismi nel mais e ora dicono che «il test ha prodotto piante con una maggiore tolleranza alla penuria d’acqua e un aumento della biomassa fino a tre volte».

Intervenendo al seminario “Biotechnologies for efficient and improved production of food crops and bioenergy” tenutosi alla  FAPESP, il genetista Paulo Arruda, coordinatore del GCCRC, ha sottolineato che «nel settore agricolo, c’è una grande sfida, che è come produrre di più, perché l’aspettativa è che la popolazione continuerà a crescere, e come farlo in modo sostenibile, quindi usando meno prodotti chimici, meno pesticidi e meno acqua.

E’ una sfida colossale. 

E come possiamo farlo? 

Ricercando tecnologie come queste, che usano cose come i microrganismi, che si trovano e esistono già in natura».

Lo scienziato brasiliano ha spiegato che «il mais coltivato con i microrganismi che vivono nella canna da zucchero ha impiegato un po’ di tempo per iniziare a patire la siccità e si è ripreso più rapidamente dopo aver subito lo stress idrico.

Gli esperimenti indicano che funghi e batteri sono infatti in grado di cambiare la fisiologia delle piante. 

Ad esempio, possono ridurre la temperatura delle foglie fino a 4° C, aiutando le coltivazioni a controllare il consumo di acqua».

In un test condotto a Bahia, in una regione nota per i lunghi periodi che passano senza che piova, i ricercatori hanno osservato che i microrganismi agivano anche contro l’enfezamento do milho una malattia provocata dalle cicaline del maïs Dalbulus maidis  che riduce la produzione di spighe.

Per Arruda, la scoperta di questa tecnologia pulita potrebbe aiutare gli agricoltori, in particolare quelli con operazioni di piccole e medie dimensioni, a produrre colture migliori in modo più coerente, che poi, a catena, creeranno una maggiore sicurezza alimentare per tutta la società: «Queste piante sono la base dell’alimentazione animale.

Quindi quando mangiamo manzo, stiamo mangiando qualcosa che è stato allevato con mangime che include mais e soia. 

Lo stesso vale per latte, uova e pollo, nonché per il consumo diretto di queste piante».

E’ qualcosa di simile alla cosiddetta terra preta antropogênica, un terreno arricchito prodotto dagli indios amazzonici e le cui tracce più antiche sono state rilevate nella regione dell’alto alto rio Madeira. 

Al seminario del FAPESP ha partecipato anche l’agronomoTsai Siu Mui, del Centro de Energia Nuclear na Agricultura (Cena) dell’Universidade de São Paulo (USP), che ha studiato il microbioma della terra preta antropogênica e ha spiegato che «questo terreno più scuro era formato da detriti organici accumulati dove c’erano prolungate occupazioni umane. 

E’ estremamente fertile, ricco di fosforo e può essere ricreato allo scopo di ripristinare aree degradate».

Attualmente, il team GCCRC sta lavorando al sequenziamento del genoma di questo gruppo di circa 25.000 batteri e 10.000 funghi per capire come agiscono sulle piante. 

Arruda sottolinea che «l’enorme quantità di dati viene analizzata con l’aiuto dell’intelligenza artificiale.

Gli algoritmi svolgono il compito di mappare i modelli genetici relativi alle funzioni metaboliche dei microrganismi.

Le banche di microrganismi sono molto importanti per la ricerca genetica e lo sviluppo di inoculanti che fungono da alternativa ai fertilizzanti chimici».

Se questo tipo di agricoltura rafforzata dai microrganismi si affermasse, potrebbe essere molto vantaggiosa per i contadini che coltivano in aree con un clima sempre più mutevole per l’aumentare delle temperature globali.

Ne è convinto anche Eduardo Trevisan Gonçalves, agronomo e project manager dell’ONG Instituto de Manejo e Certificação Florestal e Agrícola (Imaflora): «Riduce il rischio per il produttore, che è il principale vantaggio, e aiuta anche ad aumentare la sicurezza alimentare.

Queste tecnologie pulite rispondono alle richieste sia dei produttori che dei consumatori rurali. 

Questo contribuisce alla sicurezza alimentare e alla catena alimentare in senso lato, nel suo insieme. 

Penso che questo sia il tipo di tecnologia che tutti cercano».

I test non sono ancora terminati, ma finora i microrganismi della canna da zucchero utilizzati per inoculare le colture di mais hanno avuto solo effetti positivi. 

Arruda spera che questo significhi che le biotecnologie scoperte dal suo team attirino l’attenzione delle grandi imprese che si occupano di agricoltura de che adottino questo metodo nei loro prodotti e rendendo più facile a tutti gli agricoltori beneficiare del microbioma della canna da zucchero.

Il ricercatore brasiliano sottolinea: «Questo è quello che vogliamo fare: avere partnership all’interno del settore in modo che questa tecnologia abbia una vasta portata. 

Perché non ha senso offrire questa tecnologia a un piccolo numero di produttori rurali. 

Se i nostri test dimostrano che funziona in modo più ampio, potrebbe avere un impatto importante sull’aiutare quei produttori a restare in affari e a portare il cibo sulla tavola di davvero tante persone».

E una delle occasioni per cominciare a farlo è stato proprio il seminario sulle biotecnologie organizzato da FAPESP insieme alla Japan science and technology agency (JST) e Arruda, che collabora anche con team di ricerca europei e statunitensi, evidenzia che «abbiamo avviato un dialogo con ricercatori giapponesi interessati a inoculare microrganismi nella coltivazione del riso».

Tsukasa Nagamine, supervisore del programma internazionale della JST, ha presentato progetti finanziati dall’agenzia giapponese che hanno portato al miglioramento delle colture, in particolare riso, grano e soia, in paesi come Afghanistan, Madagascar, Kenya e Sudan, e ha anche parlato dell’importanza delle banche del germoplasma, come la National Organization for Research in Agriculture and Food (Naro), legata al governo giapponese. 

Nagamine ha ricordato che «uno degli studi di ricerca che hanno beneficiato della collezione Naro è stato in grado di sviluppare varietà di piante resistenti allo striga, un’erba estremamente devastante».

Secondo la biologa Anete Pereira de Souza, del Centro de Biologia Molecular e Engenharia Genetica dell’Unicamp, «l’esperienza brasiliana nella ricerca genomica applicata all’agricoltura e il potenziale tecnologico sviluppato dai giapponesi può produrre collaborazioni più mature, in grado di generare conoscenze e innovazioni all’avanguardia.

In Giappone sono state sviluppate nuove tecniche per il sequenziamento genetico e questo sicuramente ci interessa.

Siamo in grado di stringere collaborazioni di alto livello con laboratori giapponesi competitivi, come l’Istituto Riken.

Non si tratta più di vedere il Brasile come un semplice fornitore di germoplasma [semi, cellule e altri materiali genetici] per gli altri Paesi, ma come partner scientifico strategico».

Negli ultimi anni, la Pereira de Souza si è dedicata al sequenziamento del genoma di diverse culture, come il cacao e la gomma, per testare una tecnica nota come selezione genomica, ampiamente utilizzata per l’allevamento di razze bovine e che ora sta iniziando ad espandersi in agricoltura.

«E’ un’alternativa al miglioramento genetico convenzionale – ha detto la ricercatrice – al metodo stabilito di creare combinazioni di piante parentali al fine di ottenere, dopo diverse generazioni, una pianta con caratteristiche superiori a quelle che l’hanno originata. 

Il problema è che questo processo è costoso e lungo.

Mentre la coltivazione tradizionale tiene conto solo delle caratteristiche fenotipiche (osservabili) della pianta, la selezione genomica fa un’associazione del fenotipo con le sequenze del genoma. 

Questo ci consente di prevedere fenotipi complessi analizzando marcatori molecolari, che sono tratti di DNA. 

Con questa tecnica, è possibile ottenere nuove varietà di piante con meno tempo e denaro».

Attualmente, il team della Pereira de Souza sta esaminando le informazioni genetiche sull’albero della gomma, per applicare la selezione genomica nello sviluppo di varietà più produttive e resistenti dell’albero, da cui viene estratto il lattice utilizzato nella produzione di gomma naturale. La biologa brasiliana spiega ancora: «E’ urgente ottenere alberi della gomma adattati ai climi più freddi e asciutti come soluzione per prevenire l’azione del fungo che causa la malattia nota come malattia delle foglie, che colpisce gli alberi nei luoghi più caldi e umidi.

I paesi asiatici, come la Cina e la Thailandia, sono i più interessati, poiché ora stanno affrontando l’infestazione di questo fungo nelle loro piantagioni di gomma».

Dopo la recente pubblicazione (dicembre 2019) del genoma quasi completo – 99,1% – della canna da zucchero nello studio “Assembly of the 373k gene space of the polyploid sugarcane genome reveals reservoirs of functional diversity in the world’s leading biomass crop” da parte di un team internazionale di ricercatori, la principale autrice dello studio, la biochimica Glaucia Mendes Souza dell’USP, è convinta che «dovrebbe dare impulso alla tecnica di selezione genomica nel paese. Questo significa che i programmi di coltivazione della canna da zucchero non funzioneranno più al buio». 

Il progetto brasiliano che ha sequenziato il genoma della canna da zucchero ha decodificato 373.000 geni e messo in evidenza la complessità della pianta: il genoma umano, ad esempio, ha 22.000 geni.

Recentemente, la Mendes Souza ha partecipato a un’audizione alla Commissione scientifica e tecnologica del Senato brasiliano dove ha parlato dei possibili contributi della scienza a RenovaBio, una nuova politica nazionale sui biocarburanti che entrerà in vigore nel 2020: «L’etanolo brasiliano può, entro il 2045, sostituire il 13% del consumo di petrolio in tutto il mondo, oltre a contribuire a un calo del 5,6% delle emissioni globali di carbonio nello stesso periodo. 

Ma il Paese doveva ancora mettere insieme un sistema di governance per la bioenergia. 

RenovaBio è arrivato a colmare questa lacuna».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 19 febbraio 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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