Le trappole del clima

 

In queste giornate in cui è bene restare a casa, una lettura da consigliare è il nuovo libro di Gianni Silvestrini e G.B. Zorzoli, Le trappole del clima. E come evitarle (ED. Ambiente pagg. 200) da oggi in libreria.

Questa ampia, documentatissima e aggiornatissima mappa della questione climatica in 11 capitoli, affronta le diverse tendenze e sviluppi del dibattito sulle politiche del clima e insiste su alcune «trappole» che rappresentano rischi, alcuni cruciali, per la civiltà umana.

La prima di queste trappole, e per certi versi la più importante, è la trappola «cognitiva»: la percezione della gravità del problema è totalmente inadeguata a motivare le azioni necessarie a combattere il fenomeno.

Citando un editoriale dell’Economist che affermava come per le sue caratteristiche, il riscaldamento globale sia «un problema diabolico per l’umanità, urgente ma affrontato con il rallentatore, immediato ma distante, reale ma nello stesso tempo astratto».

In questo senso siamo all’opposto dell’emergenza Covid-19, per il quale l’adeguamento tra misure necessarie e la percezione pubblica dei rischi nel giro di poche settimane ha avuto un effetto che speriamo utile.

Per la crisi climatica, invece, non è così e questo tema è già emerso nel dibattito da alcuni anni.

Secondo il filosofo Timothy Morton, i cambiamenti climatici sono infatti un «iper-oggetto» per la sua entità vasta sia sul piano dello spazio che del tempo.

E, va aggiunto, l’entità «biblica» delle conseguenze catastrofiche della crisi climatica può indurre i singoli a comportamenti oscillanti dal rifiuto cognitivo e la rimozione del messaggio a una rassegnazione che impedirebbe ogni azione.

Silvestrini e Zorzoli indicano in «messaggi tranquillizzanti» come vie di fuga dalla trappola: dunque l’indicazione di azioni positive e obiettivi di sviluppo – come il Green Deal – possono aiutare a evitare un’empasse che potrebbe essere esiziale, pur con tutte le contraddizioni.

Per altri versi, è la stessa conclusione di Paul Krugman che, commentando i devastanti incendi australiani (Il rogo della ragione, la Repubblica 14 gennaio 2020), osserva come da parte delle élite conservatrici repubblicane statunitensi, diversamente dal grande pubblico, la posizione anti-climatica è motivata essenzialmente dalla protezione degli interessi economici di riferimento.

E che dunque solo proponendo piani che abbiano benefici economici e industriali come il Green Deal sia possibile, forse, sbloccare la situazione.

Nel corso dei diversi capitoli è continuamente presente quello che rappresenta il fattore limitante di ogni strategia per combattere la crisi climatica: il tempo.

E, citando Alex Langer – «la conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile» – gli autori identificano una trappola comunicativa – strettamente collegata a quella cognitiva – cercando una comunicazione (o, come si dice oggi, uno storytelling) appropriato:
«I messaggi che si trasmettono devono avere la giusta incisività, evitando però di scivolare nel catastrofismo, con il rischio di creare incredulità (costui le spara troppo grosse) oppure demotivazione (non ce la faremo mai); un equilibrio difficile da conservare, tanto che pochi nel mondo ambientalista sarebbero autorizzati a gettare la prima pietra.

Ancora più gravi, ma evitabili se si è consapevoli di tutte le implicazioni della posta in gioco, sono gli errori di omissione».

Ampiamente citata è l’Enciclica di Papa Francesco Laudato sì – certamente un riferimento che sottende a buona parte dell’elaborazione presentata nel volume – la cui profondità e radicalità è ripresa (giustamente) con insistenza: «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale da risolvere (come ha scritto Papa Francesco), è possibile costruire proposte politiche accettate dalla maggioranza di chi vive in nazioni sviluppate.

A maggior ragione ciò vale per la parte ben più numerosa degli abitanti del pianeta Terra, per i quali povertà, fame, scarsità di acqua potabile, condizioni igienico-sanitarie disumane rappresentano una realtà con un’unica apparente via d’uscita: la migrazione

Che è un’altra delle trappole incorporate nella crisi climatica: la rivista Lancet prevede fino a un miliardo di rifugiati ambientali, e un allargamento di malattie come la febbre gialla o la dengue fino alle nostre latitudini con conseguenze sociali e politiche potenzialmente devastanti.

Un altro tema cruciale – e un’altra «trappola del clima» – è legato alle trasformazioni di uno dei settori dominanti dell’economia, quello petrolifero, tra i principali responsabili della crisi climatica.

Se da una parte alcune grandi aziende – come Shell e Total – hanno iniziato a investire in modo strategico in direzione giusta (dalle rinnovabili alla mobilità elettrica), si tratta al momento di investimenti del tutto marginali rispetto a quelli ancora impegnati a estrarre gas e petrolio.

Anche l’italiana Eni sembra muovere i primi passi – nell’eolico in USA o nella generazione distribuita in Italia – anche se con impegni ancora marginali.

Il nuovo piano promette di «azzerare» le proprie emissioni con progetti forestali – la cui efficacia come offset rimane dubbia – ed escludendo (era ora) monoculture come l’olio di palma per il biodiesel.

L’azzeramento delle emissioni è però basato su un equivoco di fondo evidenziato dagli autori: «Eni infatti ha dichiarato di emettere 34 milioni di tonnellate di gas climalteranti nel 2018, ma la produzione di anidride carbonica dalla combustione del petrolio e dei gas estratti dalla società nello stesso anno è sei volte più elevata».

Peraltro, la «salvezza» climatica di Eni a lungo termine rimane appesa a una tecnologia ancora non affidabile e dalla dubbia sicurezza ambientale come il CCS (Carbon Capture and Sequestration) con cui le emissioni di CO2 dovrebbero essere iniettate nel sottosuolo (a Ravenna si prevede un primo progetto).
Con una campagna di comunicazione ossessiva l’azienda utilizza uno storytelling corretto – il cambiamento deve coinvolgere ed essere condiviso dalle persone – per veicolare però un piano industriale che mantiene in minima parte ciò che promette.

E, così facendo, illude anche gli investitori: che la sfida climatica sia anche una opportunità è (per fortuna) vero.

Ma non nei termini presentati da De Scalzi: anche il piano Eni è una trappola.<EN>

(Articolo di Giuseppe Onofrio, direttore di Greenpeace Italia, pubblicato il 12 marzo 2020 con questo titolo su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano  “il manifesto” di pari data)

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