Il coronavirus sta già cambiando il mondo: l’Africa in aiuto di Europa e Cina

 

Il Coronavirus COVID-19, che ci costringe a casa ad aspettare che passi la bufera, ci rivela tutti i guasti di una globalizzazione ingiusta, ma è fatta anche di sorprese spiazzanti, come i medici “comunisti” internazionalisti cinesi, cubani e venezuelani o quelli delle già disprezzate ONG pronti ad aiutare la sovranista Lombardia leghista, o le famiglie dei migranti marocchini che ospitano i turisti italiani in difficoltà rimasti intrappolati nel loro Paese.

Oppure ci conferma crudeli verità, come quella che un embargo come quello statunitense (ed europeo) contro l’Iran finisce per sterminare innocenti e probabilmente rafforzare il regime che si vorrebbe colpire e che, nonostante il Coronavirus, le guerre non si fermano e si continua a morire di bombe e di fame in Yemen, Iraq, Siria….

Ma questa epidemia ci rivela anche un mondo impensato, imprevedibile e intoccabile, fuori dalla nostra porta chiusa, lontano dai balconi di chi canta e illumina la notte per rischiarare una speranza e fino a un’Africa impensata, sconosciuta, che a guardarla bene, qui dalla lontananza delle nostre case collegate da una rete globale di informazioni confuse e confondenti, è il continente che più fa paura a chi ha paura del futuro perché è proprio lì che vive, nonostante tutto, la speranza.

E’ la storia semisconosciuta che racconta oggi sul sito internet della Radio Svizzera Italiana (RSI) Lorenzo Simoncelli, titolando ”Il Covid-19 ha cambiato la storia”.

E’ una storia di riscatto, speranza e solidarietà che è diventata business e che inizia alla periferia di Pretoria/Tshawane, la capitale amministrativa del Sudafrica: «Per una volta, non è più l’Europa ad aiutare l’Africa, ma viceversa – scrive Simoncelli – Due giovani imprenditori sudafricani, Jordean Eksteen e David Molosankwe, stanno inviando in tutto il mondo milioni di mascherine filtranti per fronteggiare la pandemia di Coronavirus.

Dalla Cina, all’Italia, dal Nord America all’Australia.

La domanda si è triplicata e nella fabbrica di U-Mask si lavora ormai ininterrottamente 7 giorni su 7.

Per far fronte all’incremento di produzione è stato assunto nuovo personale: tutte donne provenienti da una baraccopoli di Pretoria».

E David Molosankwe, uno dei co-fondatori di U-Mask, ha spiegato a RSI che non si tratta solo di affari: «Realizzeremo 2,5 milioni di mascherine al mese per poter supportare più Paesi possibile.

Abbiamo donato 30.000 unità al Governo cinese per aiutarli a contenere il virus nella regione di Wuhan».

Come ringraziamento il governo cinese ha già chiuso con l’impresa sudafricana una commessa per 20 milioni di mascherine.

Probabilmente molte delle mascherine professionali che indosseranno i nostri medici e infermieri nei prossimi giorni, settimane e, purtroppo, mesi, saranno made in Africa, prodotte dalle mani di donne che vivono in una baraccopoli e che i razzisti e sovranisti sudafricani bianchi avrebbero voluto lasciare in nella condizione subumana dell’apartheid, di “razza inferiore”, senza diritti nella loro stessa terra.

La solidarietà, la dignità e il lavoro delle donne sono di solito la migliore medicina contro il virus del razzismo e che ha infettato l’Italia e l’Europa.

Lo sanno bene le donne che vivono nelle baracche di Pretoria e lo sa bene Jordean Eksteen, co-fondatore di U-Mask, che ha detto a RSI: «Di solito è l’Africa il Continente che ha bisogno di aiuto ma, per la prima volta, siamo noi a poter aiutare e siamo orgogliosi di poterlo fare».

Forse alla fine di questa pandemia, quando il mondo potrà tirare finalmente un sospiro di sollievo, lo troveremo davvero cambiato e, togliendoci le mascherine made in Africa, capiremo che, per affrontare i tempi difficili che ci aspettano, di tutto ha bisogno l’umanità meno che dei pregiudizi e del razzismo.

Perché i problemi che abbiamo di fronte, dal disastro climatico, alle disuguaglianze, dall’ambiente, all’estinzione di massa delle specie, dalla sovra-popolazione al cibo, sono globali e nessuno si salverà rinchiudendosi nella sua piccola patria e ci raggiungeranno anche dietro le nostre porte chiuse ed entreranno dai nostri terrazzi aperti sul mondo, proprio come sta succedendo oggi.

(Articolo pubblicato con questo titolo il 16 marzo 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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