Nuove speranze per il cacapo, il pappagallo che non vola ora si sta ripopolando

 

Il cacapo porta speranza.

In questo momento storico così difficile, con il mondo in ginocchio a causa del coronavirus, la storia del pappagallo che “non sa volare” è una ventata di ottimismo per la natura.

Il cacapo della Nuova Zelanda, (o kakapo), è una specie endemica dell’isola oceanica ed è da sempre al centro della cultura Maori, dato che questo animale veniva sia cacciato per essere mangiato sia custodito in gabbie come “animale da compagnia”.

Di grandi dimensioni, noto come il “pappagallo notturno” o anche il “pappagallo grasso”, questo meraviglioso uccello terricolo per diverso tempo è stato considerato sull’orlo dell’estinzione.

Ancora oggi lo è: al mondo ne rimangono pochissimi esemplari, ma la popolazione sta aumentando.
L’anno decisivo per la svolta, quella che porta speranza nella conservazione di questo meraviglioso animale, è stato il 2019.

Da tempo il dottor James Chatterton, che guida l’unità veterinaria dello zoo di Auckland ed è specializzato nella salvaguardia dei cacapo, stava cercando di contribuire alla crescita della popolazione: solo che questo pappagallo si accoppia e riproduce solo ogni 5-6 anni, e per farlo ha  bisogno di attendere un determinato momento, quello in cui maturano i frutti dell’albero di Rimu.

Nel 2019 c’è stata una “esplosione” di questi frutti: tanto che i cacapo gestiti dai programmi di recupero neozelandesi hanno reagito in maniera straordinaria, dando vita a oltre 80 pulcini.

Come racconta Chatterton a The Guardian, i veterinari hanno lavorato senza sosta nelle isole del santuario dove vivono i rari uccelli per garantire lo sviluppo dei piccoli.

Poi, finalmente, ad aprile scorso hanno iniziato a rilassarsi felici per l’esito riproduttivo.

Sembrava andare tutto bene” dirà Chatterton, ma proprio allora, a fine aprile 2019, è comparsa una malattia devastante per i cacapo.

Un primo pulcino morì, poi altri fecero la stessa fine.

Si trattava, in questo caso, di una malattia fungina, legata alla presenza di funghi nei polmoni degli uccelli che portano a difficoltà respiratorie e morte.

L’isolamento degli ultimi cacapo

Così tutti gli sforzi per salvare la specie godendo dell’eccezionale stagione riproduttiva, all’improvviso, sono apparsi vani: 19 esemplari si sono ammalati e alcuni sono deceduti a causa del aspergillosi.

Ma Chatterton e il suo team, non hanno mollato: hanno chiesto aiuto a decine di altri esperti e veterinari arrivati da tutto il mondo, messo in isolamento diversi esemplari, fatto esami a decine di uccelli e infine sono riusciti a sperimentare e trovare nuovi trattamenti contro la malattia, basati soprattutto sulla nebulizzazione di farmaci antifungini orali.

Per cinque settimane, senza sosta, gli esperti hanno lavorato per salvare gli ultimi cacapo.

Alla fine, nonostante alcuni decessi e tempi di recupero molto lunghi per i pappagalli malati, la maggior parte dei pulcini è sopravvissuta e ora in Nuova Zelanda ci sono ben 211 esemplari del pappagallo che non vola.

Sette anni fa erano appena 120.

Grazie allo sforzo che Chatterton riassume così: “Quando succedono queste cose l’unica possibilità è lavorare tutti insieme per salvarli“.

(Articolo di Giacomo Talignani, pubblicato con questo titolo il 18 marzo 2020 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

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