Chernobyl e i boschi che bruciano: l’incubo radiazioni al tempo del Covid-19

 

Mentre i pompieri combattevano per contenere due incendi boschivi nella zona di esclusione intorno alla centrale nucleare di Chernobyl, chiusa dopo il disastro nucleare del 1986, i livelli di radiazione sono aumentati.

Il 4 aprile i vigili del fuoco ucraini hanno dichiarato di essere riusciti a fermare uno degli incendi in un’area di circa 5 ettari, ma il secondo ha continuato a bruciare, estendendosi su circa 20 ettari per poi bruciare in totale un’area di 100 ettari il 5 aprile.

Dopo che Egor Firsov, capo del servizio di ispezione ecologica dell’Ucraina, aveva lanciato l’allarme sulla sua pagina Facebook non ci sono più state notizie ufficiali, ma il suo contatore mostrava livelli di radioattività di 2.3 microsievert, quando la norma sarebbe 0.14 e la quantità massima consentita di radiazione di fondo naturale nell’area di Chernobyl è 0,5 microsievert all’ora.

Il 6 aprile, Charles Digges dell’ONG norvegese/russa Bellona scriveva che «un totale di 124 vigili del fuoco, due aerei e un elicottero stanno combattendo contro l’incendi più grande e hanno effettuato 42 lanci d’’acqua aerei. 

Altri 14 vigili del fuoco stavano combattendo l’incendio più piccolo».

E riferiva che il giorno prima i servizi di emergenza dell’Ucraina avevano detto che «l’aumento delle radiazioni in alcune aree ha portato a “difficoltà” nella lotta contro l’incendio, sottolineando che le persone che vivono nelle vicinanze non erano in pericolo».

Secondo Legambiente, «in piena emergenza sanitaria, Chernobyl piomba nuovamente nell’incubo radiazioni» e il livello delle radiazioni che risulta essere 16 volte superiore alla norma «è assolutamente allarmante e deve vedere una task force attivarsi immediatamente allo scopo di evitare nuove vittime innocenti».

Quando il quarto reattore di Chernobyl esplose nell’aprile del 1986, causando l’evacuazione di circa 116.000 persone nelle immediate vicinanze dell’area, quello che resta il più grande disastro nucleare civile del mondo provocò un gigantesco fallout radioattivo in tutta Europa.

Ancora oggi, le persone non sono autorizzate a vivere entro un raggio di 30 chilometri dalla centrale nucleare. 

Da allora la natura ha riconquistato l’area in gran parte abbandonata dagli esseri umani e gli incendi boschivi – spesso appiccati da contadini che vivono abusivamente nell’area di esclusione – non sono rari. 

Gli esperti affermano che la zona di esclusione non potrà essere abitata in modo sicuro per altri 24.000 anni, ma tutti sanno che centinaia, forse migliaia di disperati ci vivono.

Legambiente, che ha una lunga storia di solidarietà con le popolazioni ucraine, bielorusse e russe più colpite dal fallout radioattivo di Chernobyl, sottolinea che «i primi focolai sono scoppiati lo scorso sabato e sembrano essere di origine dolosa.

Al momento, le autorità ucraine tendono a rassicurare la popolazione, nonostante nella primissima fase avessero reso note le difficoltà nel gestire la situazione.

Com’è noto, il non aver reso pubbliche le reali condizioni del Paese e di conseguenza il non aver fornito informazioni utili in merito alle strategie da mettere in campo per limitare l’esposizione alle radiazioni al tempo dell’esplosione ha rappresentato un errore grave e oggi non più sanabile.

Per non ripetere gli errori del passato, dunque, oltre a sollecitare le istituzioni locali ad attivarsi per rendere pubblici tutti i dati, Legambiente chiede che vengano immediatamente messi in sicurezza i cittadini che abitano nei pressi della zona ancora oggi fortemente contaminata».

Nel 2016 sui resti del quarto reattore è stata collocata un’enorme cupola che gli esperti sperano possa mettere in sicurezza il sito per permettere di poter avviare un eventuale smantellamento delle rovine nucleari.

Negli ultimi anni la zona del disastro e la città fantasma di Pripyat, dove vivevano i lavoratori della centrale nucleare e le loro famiglie dei lavoratori nucleari sono diventate una popolare destinazione del turismo della catastrofe e l’interesse è ancora aumentato solo dopo la trasmissione della miniserie Chernobyl della HBO, dopo la quale i tour operator hanno registrato più di 70.000 visitatori all’anno. 

Ma la pandemia di coronavirus ha portato alla cancellazione di quei discutibili tour.

Nel 2018, una joint venture ucraina-tedesca ha avviato nella zona di esclusione la costruzione e gestione di una centrale fotovoltaica ma i servizi di emergenza ucraini non hanno fornito alcuna informazione sul fatto che la struttura, che funziona automaticamente, sia stata danneggiata dagli incendi.

Angelo Gentili della segreteria nazionale di Legambiente, ricorda che «la nostra associazione in questi anni non ha mai fermato la macchina della solidarietà: grazie alla realizzazione del Centro Speranza ha consentito a centinaia di bambini di poter soggiornare in una struttura decontaminata in cui sottoporsi ad esami clinici e alimentarsi in maniera sana.

Il centro offre inoltre sia un supporto di tipo medico che pedagogico, essenziale in aree dove questi tipi di servizi restano tutt’oggi concentrati nei grandi centri urbani, a scapito di chi vive nelle campagne.

Un progetto, questo, che va oltre il mese di accoglienza e che mira alla creazione rapporti continuativi non solo con la struttura ma anche con le autorità locali, le scuole e le strutture sanitarie.

Oggi, la solidarietà di Legambiente si trasforma in un nuovo grido di allarme che l’associazione si augura venga il più possibile amplificato e riesca a raggiungere l’opinione pubblica e a mobilitarla.

L’emergenza Covid-19 purtroppo non è la sola che mette a rischio vite in ogni angolo del globo.

Per questo motivo, è cruciale non abbassare la guardia e continuare a combattere le battaglie giuste che in questi anni hanno visto associazioni e cittadini in prima linea come quella a favore delle popolazioni che ancora oggi vivono nelle zone contaminate a seguito dell’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl».

(Articolo pubblicato con questo titolo l’8 aprile 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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