A mani nude. Al massimo, proprio quando è necessario, con l’impiego di un bastone o di qualche altro arnese rudimentale. Certamente senza nessun equipaggiamento protettivo come guanti, elmetti o mascherine. Così, per almeno 14 ore al giorno, tutti i giorni, centinaia di schiavi bambini sono costretti a lavorare nelle miniere della Repubblica Democratica del Congo. A mani nude, estraggono il coltan, il cobalto e gli altri preziosi minerali indispensabili ad alimentare le batterie «ad alte prestazioni» dei nostri cellulari e dei nostri tablet. Una giornata di lavoro viene pagata un dollaro, al massimo due se il bambino è efficiente e un po’ più grandicello. Ma nelle miniere illegali, la paga scende a mezzo dollaro e le ore di lavoro aumentano. Teniamo presente che questa “paga” va decurtata dalle tangenti che i bambini sono costretti a versare ai militari che sorvegliano la miniera e che dovrebbero garantire il rispetto della legalità. Per lo più, questi minori sono impiegati in attività che si svolgono in superficie, come la raccolta, la selezione e il lavaggio del minerale, ma non è infrequente che vengano anche utilizzati nelle estrazioni sotto terra, in tunnel stretti e angusti, privi di areazione e soggetti a crolli frequenti, dove riescono ad infilarsi grazie alla loro ridotta corporatura. LO SFRUTTAMENTO INUMANO DELLE MINIERE della Repubblica Democratica del Congo cominciò nei primi anni ’90, come conseguenza del fallimento dell’industria mineraria che allora era gestita dal governo. La dinastia dei presidenti congolesi – ma potremmo tranquillamente scrivere dittatori – Laurent Désiré Kabila che si autoproclamò Capo di Stato nel 1997 e il figlio Joseph, che gli succedette dopo il suo assassinio, nel gennaio del 2001, incoraggiarono una politica di estrazione artigianale delle miniere, con l’intento, a loro dire di ispirazione marxista, di concedere a tutti i congolesi il diritto di poter usufruire […]