I cambiamenti climatici potrebbero alterare bruscamente la biodiversità

 

Lo studio “The projected timing of abrupt ecological disruption from climate change” pubblicato su Nature da Christopher Trisos dell’African Climate and Development Initiative dell’università di Cape Town, Cory Merow dell’università del Connecticut e Alex Pigot dell’University College London, evidenzia che «in molti luoghi del mondo, un’alta percentuale di specie sarà esposta allo stesso tempo a condizioni climatiche potenzialmente pericolose, portando potenzialmente a improvvisi e catastrofici decadimenti della biodiversità».

In uno scenario di “elevate emissioni”, dove le temperature globali aumenteranno di 4° C entro il 2100, cosa che i ricercatori ritengono plausibile, almeno il 15% delle comunità in tutto il mondo, e potenzialmente molte altre, subiranno un evento di esposizione improvvisa a temperature intollerabili durante la quale, entro un decennio, più di una specie su cinque supererà la soglia, oltre il limite della sua nicchia ecologica. 

Un simile evento potrebbe causare danni irreversibili al funzionamento di un ecosistema.

I tre ricercatori prevedono che questi bruschi eventi di esposizione inizino già prima del 2030 negli oceani tropicali e si diffondano poi nelle foreste tropicali e in alcune regioni temperate entro il 2050.

Trios spiega che «la scoperta principale che più ci ha sorpreso è stata la quantità di biodiversità a rischio nella prima metà di questo secolo.

Il rischio non si accumula gradualmente, ma entro un decennio può passare da un rischio basso a un rischio elevato. Questa brusca minaccia è stata per noi una scoperta scioccante».

Pigot conferma: «Abbiamo scoperto che i rischi dei cambiamenti climatici per la biodiversità non aumentano gradualmente. 

Invece, mentre il clima si riscalda, all’interno di una certa area la maggior parte delle specie sarà in grado di far fronte per un po’, prima di attraversare una determinata soglia di temperatura, quando una grande parte delle specie dovrà improvvisamente affrontare condizioni che non ha mai sperimentato prima.

Non è un pendio scivoloso, ma una serie di picchi dell’estinzione, che colpiscono luoghi diversi in momenti diversi».

Per realizzare i loro studio, finanziato da Royal Society (UK), National Science Foundation (Usa) e African Academy of Sciences. i tre scienziati hanno utilizzato proiezioni annuali di temperatura e precipitazioni – pioggia, neve, ecc., dal 1850 al 2100, negli areali di oltre 30.000 specie marine e terrestri e poi hanno stimato i tempi della loro esposizione a condizioni climatiche potenzialmente pericolose.

La ricerca dimostra che, se riusciamo a mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2° C, «possiamo aspettarci che un’esposizione improvvisa a meno del 2% delle comunità ecologiche a livello globalez. Ma il rischio accelera con l’aumentare dell’entità del riscaldamento ed è simile per le specie che vivono nelle aree protette che per quelle che vivono al di fuori

Trisos aggiunge: «Fondamentalmente, il messaggio è che più bassa è la temperatura media globale, meno specie sono esposte e minore è il rischio di un improvviso collasso della biodiversità in un dato luogo.

La ricerca ha dimostrato che interi ecosistemi – e non solo le singole specie – potrebbero essere minacciati, mettendo a rischio il sostentamento delle persone.

Molte delle previsioni di rischio per la biodiversità causate dai cambiamenti climatici si sono concentrate sulla fine del XXI secolo, la cosa veramente nuova di questo studio è che ha osservato questo aumento dell’esposizione ai pericolosi cambiamenti climatici nel corso del XXI secolo e non solo un’istantanea finale».

Il team di ricercatori ha esaminato quasi tutta la biodiversità animale in un dato sito: anfibi, mammiferi, uccelli e rettili a terra e coralli, alghe, pesci e mammiferi marini in mare e Trisos spiega ancora che «per prima cosa abbiamo valutato le informazioni sui ranges geografici delle specie» e ci sono riusciti utilizzando oltre un secolo di lavoro di catalogazione della biodiversità realizzato da migliaia di ricercatori e citizen scientists che hanno registrato dove si vivono le diverse specie.

Quindi, prima di esaminare le proiezioni dal 2005 alla fine del secolo, i tre ricercatori hanno aggiunto le informazioni dalle simulazioni climatiche dal 1850 al 2005.

«Il passo successivo – spiega ancora Trisos – è stato quello di chiederci: qual è la temperatura più calda all’interno del range geografico di una specie che abbiamo osservato nel clima storico?

Quando si va indietro nel range climatico storicamente vissuto, fino ad arrivare al più caldo che sia mai stato registrato, questo e quello potenzialmente pericoloso.

Quando ciò accade, nella migliore delle ipotesi, abbiamo un enorme aumento dell’incertezza sul fatto che le specie possano sopravvivere e, nel peggiore dei casi, abbiamo un’estinzione locale.

Potrebbe essere una soglia per l’estinzione locale catastrofica e questo è davvero spaventoso.

Da altri studi abbiamo prove del fatto che si tratta di un rischio credibile e lo abbiamo già visto in luoghi come la Barriera Corallina, dove il corallo sta morendo».

In Africa la perdita di biodiversità potrebbe essere estrema e iniziare, potenzialmente già nel 2040 in uno scenario di riscaldamento estremo, dal Sahel, dalle foreste pluviali del Bacino del Congo e negli oceani Indiano e Atlantico tropicali.

Il Sudafricano Trisos. Ricorda che «tante persone sulle coste dell’Africa dipendono dagli ecosistemi per la loro alimentazione vitale. Peschiamo sulle barriere coralline.

Dipendiamo dall’ecoturismo.

Facciamo affidamento su foreste sane per la filtrazione dell’acqua.

Se si verificasse un crollo improvviso di un ecosistema, in un decennio si potrebbero perdere la maggior parte o tutti i servizi.

Il nostro reddito è a rischio.

La nostra sicurezza alimentare è a rischio.

Il nostro benessere mentale e spirituale potrebbe essere a rischio, se quei luoghi sono importanti per noi culturalmente.

Ridurre le emissioni potrebbe farci guadagnare tempo prezioso.

Dimostriamo che ridurre le emissioni in un percorso low-carbon può evitare questa transizione verso climi pericolosi per molte migliaia di specie».

Anche secondo Pigot, «i nostri risultati evidenziano l’urgente necessità di mitigare i cambiamenti climatici, riducendo immediatamente e drasticamente le emissioni, il che potrebbe aiutare a salvare migliaia di specie dall’estinzione.

Mantenendo il riscaldamento globale al di sotto dei 2° C in modo efficace, “appiattisce la curva” di come questi rischi per la biodiversità si accumulano nel corso del secolo, fornendo più tempo alle specie e agli ecosistemi per adattarsi al clima che cambia e questo anche per trovare nuovi habitat, modificando il loro comportamento o con l’aiuto degli sforzi di conservazione guidati dall’uomo».

Trisos spera che lo studio possa essere un preoccupante campanello d’allarme per i politici e altri players chiave: «Spero che mostrare quanto questo potrebbe essere terribilmente diffuso e vicino nel tempo per la biodiversità a livello globale ci porterà verso alcuni punti di svolta nella nostra risposta, alla dismissione dei combustibili fossili e alla transizione verso le energie rinnovabili.

Alcune specie potrebbero essere in grado di adattarsi, ma per altre potrebbe portare a un’estinzione catastrofica della biodiversità locale.

Se continuiamo sul nostro percorso ad alte emissioni, allora improvvisi crolli potrebbero avvenire assolutamente molto prima di quanto pensassimo.

In generale, la gente pensa che andrà male nel 2100, ma questo studio ha dimostrato che potrebbe andare male già nel 2040».

Merow conclude: «Speriamo che le nostre scoperte possano servire da sistema di allarme rapido, prevedendo quali aree saranno maggiormente a rischio e quando, il che potrebbe aiutare a concentrare gli sforzi di conservazione e migliorare le future proiezioni dei modelli. 

Potrebbe essere utile sviluppare un programma di monitoraggio decennale – simile a quello che fanno gli scienziati del clima, ma per la biodiversità – che potrebbe essere aggiornato regolarmente sulla base di ciò che effettivamente accade».

(Articolo pubblicato con  questo titolo il 10 aprile 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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