«Così è cambiata la Pianura Padana»

 

«Non ho difficoltà ad ammettere che sono fotografo per caso e che non è stata la passione per la fotografia a indurmi ad acquistare l’attrezzatura fotografica, ma quella per gli animali selvatici ripresi nei loro habitat».

Così risponde Maurizio Bonora a chi gli chiede dove è nato il suo amore per questa forma di arte.

Il fatto è che il fotografo ferrarese, 66 anni, è un guru in materia di scatti che abbiano come tema la natura e lo dimostrano le sette vittorie ottenute con la selezione italiana della Federazione italiana associazioni fotografiche nella Coppa del mondo di fotografia naturalistica tenutesi ad Adelaide (Australia) nel 2003, a Rovigno (Croazia) nel 2006, a Palma di Maiorca (Spagna) nel 2008, a Bodoe (Norvegia) nel 2012, a Bangalore (India) nel 2014, a Novi Sad (Serbia) nel 2016 e in Oman nel 2018.

In quarant’anni di attività ha immortalato, principalmente, le campagne della Pianura Padana con i suoi abitanti salvateci e le zone umide del delta del Po, paradiso di molti specie di uccelli, non disdegnando di tanto in tanto qualche incursione in altri Paesi europei, come Polonia, Scozia, Grecia.

Bonora, com’è cambiato il paesaggio della Pianura Padana dagli inizi degli anni Novanta a oggi?

Sono diminuite le zone umide e cambiate le campagne.

Ho trovato stagni interrati, fossati e canali con le rive cementate per evitare gli sfalci di manutenzione e l’assorbimento d’acqua nel terreno.

Così facendo si sono però impoveriti i corsi d’acqua che non sono più in grado di offrire rifugio agli uccelli acquatici che nidificano nel canneto.

Poi naturalmente sono diminuite le macchie alberate e le siepi che servivano da confine tra un campo e l’altro.

Tutto è stato modificato nel corso degli anni, a volte lentamente senza quasi accorgersene.

Poi con il tempo ti accorgi delle ferite insanabili: frutteti trasformati in campi di barbabietole, stalle moderne senza fienili, fossi che non ospitano più rane e rospi.

Ti viene una grande tristezza, proprio perché hai avuto modo di vedere com’era la campagna prima.

Quali animali hai visto estinguersi o vicino all’esserlo?

Piccoli passeriformi come le capinere e gli usignoli che si sono trovati a mal partito dalla riduzione delle siepi, ma anche i basettini, uccellini delle dimensioni di circa 15 cm, che abitavano i canneti sono in netto declino.

Non parliamo poi dei passeri e delle rondini che stanno addirittura rischiando di scomparire.

E tra le specie vegetali?

Per le specie vegetali non sono in grado di dare un giudizio obiettivo.

Diciamo però che essendo diminuite le siepi si sono perse essenze come biancospino, prugnolo, cappello del prete.

Nei campi di cereali poi non si vedono più i fiordalisi che coabitavano con i papaveri, mentre nelle zone umide sono diminuite bellissime piante come il giunco fiorito.

Di chi è la colpa di questo mutamento?

In larga parte dell’agricoltura intensiva con i grandi appezzamenti a monocoltura che hanno impoverito le campagne della biodiversità.

Ma anche gli sfalci insensati delle rive dei corsi d’acqua, specie nei periodi estivi quando molti uccelli sono intenti alla cova o all’allevamento dei pulcini.

Quale tua foto ha immortalando meglio di altre questo dramma?

Nel luglio del 2016 scattai la foto di uno sfalcio autorizzato dai dirigenti di un consorzio di bonifica in un tratto di canale dove erano in corso nidificazioni di cannaiole, cannareccioni, tarabusini e gallinelle d’acqua.

Una mia denuncia è caduta nel vuoto.

Quindi non sei solo un fotografo professionista, ma anche un attivista che si batte in difesa della natura.

Sì, come ho già detto: prima sono naturalista, poi fotografo naturalista.

Ogni volta che posso cerco di dare il mio contributo denunciando eventuali abusi, come il bracconaggio e le discariche abusive.

Le specie aliene stanno aumentando in maniera vertiginosa in pianura creando non pochi problemi a quelle nostrane: da fotografo come hai registrato questo fatto?

Quale specie aliena ti preoccupa di più e perché?

Sono tantissime le specie aliene che mi preoccupano dal punto di vista ambientale: dalla nutria, al siluro al gambero rosso della Louisiana.

Tutte queste provocano seri danni perché hanno creato uno squilibrio.

Il gambero rosso della Louisiana, per esempio, lo trovo particolarmente pericoloso perché preda un’enorme quantità di uova e girini di anfibi.

In certi canali la scomparsa degli anfibi è da attribuire più a questo gambero che all’uso massiccio di diserbanti.

Dalla Pianura Padana alla foce del delta del Po.

Qui le cose come vanno?

La situazione non è certo delle più rosee, ma non voglio essere disfattista.

Ci sono ancora campagne con boschetti, frutteti, qualche siepe e maceri che si sono naturalizzati e che formano delle vere piccole oasi sparse nei campi.

Ovviamente dovrebbero essere di più, ma è importante che queste campagne non siano sparite del tutto.

Per quanto riguarda il delta del Po devo dire che la presenza dell’uomo e dei suoi interventi è massiccia, ma è talmente un’area estesa che comunque rimane un mondo per una moltitudine di uccelli acquatici.

Credo che il delta del Po, dopo il Danubio, sia la zona umida più ricca di uccelli in Europa.

Hai nella tua raccolta fotografica un animale di quella zona che ora è estinto o in pericolo di estinzione?

Non si tratta di un uccello, ma di un piccolo mammifero: il topolino delle risaie.

Un roditore che non crea problemi alle coltivazioni e vive principalmente nei canneti delle zone umide.

Un tempo era abbastanza frequente, adesso è quasi scomparso.

Io ho avuto la fortuna di trovarlo e fotografarlo in un nido di cannareccione che aveva modificato e adattato alle sue esigenze, facendo nascere una simpatica nidiata.

E un animale che di recente si è presentato in questo habitat e che invece prima era sconosciuto?

L’ibis sacro.

È una specie africana che da alcuni anni si è insediata stabilmente in Italia.

È giudicato dannoso perché si nutre di uova e nidiacei di altri uccelli, soprattutto aironi.

Alcuni anni fa scattare una foto dell’ibis sacro era un fatto occasionale, adesso è abbastanza facile riprenderlo nelle zone umide di quasi tutta la pianura padana.

Io lo trovo spesso nelle valli di Comacchio e nelle zone umide limitrofe.

Per la fotografia naturalistica basta avere una buona strumentazione e tanta pazienza o occorre altro?

La strumentazione e la pazienza sono utili e a volte indispensabili, ma la vera dote che occorre per essere un fotografo naturalista degno di questo nome è la conoscenza delle abitudini degli animali per capire fin dove ci si può spingere per ottenere uno scatto.

Ci sono quelli particolarmente sensibili al disturbo che andrebbero sempre lasciati in pace.

La comune tortora selvatica, per esempio, è capace di abbandonare la cova solo se si sposta un rametto dal nido o se si toccano le uova.

L’incolumità dell’animale deve essere la prioritaria, sempre.

Hai vinto sette volte il campionato di fotografia naturalistica.

Come nasce una foto per il concorso?

Devo dire che non esco mai con in testa l’idea di fare una foto da concorso.

Cerco sempre di ottenere gli scatti che mi piacciono per una soddisfazione personale.

Poi ovviamente, quando ottieni la foto che ti fa sobbalzare la presenti a qualche concorso.

Delle sette foto che ti hanno fatto vincere qual è quella che più incarna il tuo amore per la Natura e perché?

È sicuramente la fotografia con la quale ho vinto anche la medaglia d’oro individuale al mondiale in Norvegia.

Si tratta di cinque gruccioni sul posatoio dove ognuno di essi reca nel becco una specie d’insetto diversa.

Ebbene, il posatoio capiente da ospitare tutti cinque i gruccioni è stato preparato in precedenza da me, proprio perché conosco bene le loro abitudini di caccia.

Nei tuoi vari soggiorni all’estero per reportage fotografici, qual è l’animale e il luogo che più porti nel cuore?

Il luogo è sicuramente il lago di Kerkini, in Grecia, dove mi sono recato parecchie volte a febbraio per fotografare il pellicano riccio nel pieno del suo abito riproduttivo, con il becco rosso vermiglio.

Il pellicano è un animale possente che con i suoi circa dieci chilogrammi è l’uccello volatore più pesante.

Sentirselo sibilare sulla testa è assolutamente fantastico.

Poi mi hanno colpito gli abitanti di Kerkini, gente semplice, austera, ma con una cordialità e una disponibilità straordinaria, oserei dire commovente.

(Articolo di Giorgio Vincenzi, pubblicato con questo titolo il 30 aprile 2020 su “l’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data”)

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