Quel filare di alberi che divide la vita e la paura

 

Stavo prendendo un caffè, guardando dalla finestra verso Porto Marghera – veduta che vale sempre la pena, assicuro – quando una nera nube si è alzata d’improvviso, inseguita da lampi e lingue di fuoco alte decine di metri, impossessandosi del cielo sopra Venezia.

Veniva da un punto nevralgico della grande zona industriale e portuale, dove sono presenti diverse aziende chimiche, in parte residuali e in parte nuove creature derivanti dal vecchio, enorme complesso del petrolchimico.

Un incendio, un’esplosione, da quelle parti significa sempre qualcosa di grave.

Mi scuso della nota personale in avvio d’articolo, ma forse può illustrare bene la contiguità tra i luoghi del rischio industriale e quelli della vita quotidiana, qui separati solo da un viale e un filare di alberi.

Per questo, sprigionatasi la nube, avvertito l’odore di bruciato, un denso, acido e insieme aromatico odore che non somiglia a niente che puoi sentire in natura, si è diffusa la paura.

Le sirene hanno suonato, indicando di stare in casa, chi già non vi era costretto dal Covid.

Nel frattempo, è stata identificata l’origine dell’incendio: la 3V Sigma, una sessantina di dipendenti diretti più altri di imprese d’appalto (i due feriti, molto gravi, sono operai d’impresa di origine asiatica).

Situata poco oltre il leggendario Capannone delle assemblee operaie, vicino alla vecchia portineria del petrolchimico che fu, non è un’azienda decotta.

Produce intermedi per diverse filiere, dalla cosmesi al tessile, dall’edilizia all’arredo e fino all’alimentare.

Lavora sostanze come acetone, acido nitrico, ammoniaca, alcool metilico, idrogeno e altre ancora.

Attualmente la sede centrale è a Bergamo, ma ha impianti anche altrove.

E’ subentrata da qualche tempo alla vecchia proprietà (la 3V CPM) e ha annunciato investimenti per cui ha chiesto contributi in base alla collocazione nell’area di “crisi industriale complessa” e al connesso “regime di aiuto di cui alla legge n.181/1989”, presentando un piano per oltre 6 milioni di euro a fronte di oltre 2 milioni di agevolazioni ricevute.

Per questo stupisce l’atteggiamento che ha distinto l’azienda in questi anni, duramente contrappostasi al sindacato, sorda alle denunce che hanno anche provocato uno sciopero la scorsa estate al cui centro c’era proprio la richiesta di maggiore sicurezza interna (compresa quella antiincendio), sciopero seguito da altre denunce e proposte che non hanno portato tuttavia l’azienda a un maggiore ascolto, anzi l’hanno ulteriormente indurita, giungendo a denunciare per diffamazione i sindacalisti.

La vicenda è piuttosto tipica di un’area in cui il vuoto di strategia industriale aperto dalla politica (soprattutto a livello nazionale) lascia in abbandono, in una transizione infinita e stanca, comparti produttivi che dovrebbero essere chiusi (troncando lo stillicidio di incidenti piccoli o grandi come questo) o rigenerati, insieme ai terreni bonificati, in impianti di nuova generazione (come potrebbe essere appunto il caso della 3V Sigma).

A Porto Marghera questo stato dura da decenni, e così in altri poli industriali.

La mancanza di una politica industriale, in questi siti, diventa spesso rischio, a volte tragico, ma sempre si fa degrado, occasione perduta, spreco di conoscenza, di storici patrimoni professionali e tecnologici. Potrebbe essere parte preziosa del rilancio del paese.

È, per ora, solo un pezzo della crisi, del rischio italiano.

(Articolo di Gianfranco Bettin, pubblicato con questo titolo il 16 maggio 2020 sul sito online del quotidiano “il manifesto”)

 

 

 

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