Archivi Giornalieri: 18 Maggio 2020
Il maxi-salvataggio delle compagnie aeree europee aiuterà a salvare anche il clima, cioè ad avviare l’aviazione verso qualche forma di transizione meno inquinante? Visto che in ballo ci sono decine di miliardi di euro di denaro pubblico, ci si aspetta che qualche condizione ambientale venga posta ad uno dei settori più nocivi per il clima, responsabile del 3,6% delle emissioni di CO2 in Europa (Eea, 2019) ma anche meno soggetti a tassazione (nessuna accisa né IVA sui carburanti). Nei negoziati in corso sulla concessione di prestiti pubblici agevolati, garanzie di stato sui prestiti pubblici o sovvenzioni dirette, le parole clima, emissioni, inquinamento sono state pronunciate di rado. Del resto è stata la Commissaria europea ai Trasporti, Adina Valean, a mettere le mani avanti: in questo momento così difficile non è il caso di porre condizionalità ambientali, ha dichiarato in più di un’occasione. Del clima le compagnie aeree si curavano poco anche quando, come è successo negli ultimi cinque anni, macinavano utili miliardari. Quando sarà il momento giusto? Il conto presentato ai governi dai maggiori vettori europei atterrati dalla pandemia è di almeno 30 miliardi di euro. Il calcolo, elaborato da Greenpeace, Transport & Environment e Carbon Market Watch è ancora parziale e la cifra non potrà che lievitare. DEL SALVATAGGIO DI LUFTHANSA, che ha totalizzato 8,1 miliardi di profitti negli ultimi 5 anni, si sta discutendo a Berlino e costerebbe allo stato tedesco circa 10 miliardi. I Verdi, maggiore partito all’opposizione, ma al governo in 11 Lander su 16, premono per una nazionalizzazione, almeno come soluzione provvisoria, perché sia lo stato a determinare le politiche della compagnia, mentre la coalizione di governo ha chiesto di entrare nell’azionariato con il 25,1% delle quote. All’altro colosso tedesco del turismo, il gruppo TUI, che comprende un vettore aereo ma anche alberghi, navi da […]
E’ stato lanciato il Comitato Referendario per l’Abrogazione del TUFF (già Testo Unico Forestale), Decreto legislativo, 03/04/2018 n° 34 che secondo autorevoli esperti non dovrebbe sussistere come Legge dello Stato italiano perché differisce da disposizioni legislative, sia di diritto Costituzionale interno sia a livello di Convenzioni Internazionali in materia ambientale a cui il nostro Paese ha aderito. Invece di stimolare la piantumazione massiccia e la riforestazione come unico mezzo di riduzione della C02 e quindi dell’effetto serra il TUFF dà il via libera al taglio dei boschi spontanei (definiti:incolti) su tutto il territorio nazionale ma poiché gli alberi assorbono la CO2 proteggendoci dalle conseguenze devastanti del global warming (riscaldamento globale), tagliare questi “assorbitori” di CO2 (che ci rimetterebbero 80 anni a ricrescere con la stessa estensione fogliare) equivale condannare a morte le future generazioni, che verranno travolte dagli effetti devastanti (scioglimento dei poli) provocati dall’effetto serra. Tutto ciò in violazione dei Principi per lo sviluppo Sostenibile N. 13, Riduzione del Riscaldamento Globale e dei suoi impatti e del Principio 15 -Tutela della Vita sulla Terra, promossi il 25 Settembre 2015 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e in palese violazione della la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) che sancisce l’impegno a stabilizzare la concentrazione atmosferica di C02. Il Testo Unico forestale può provocare danni gravissimi a boschi e foreste considerati in una visione e una logica industriale-produttivistica; non come ecosistemi da tutelare per la loro biodiversità e presidi idrogeologici, bensì solo come un capitale che deve produrre legno, contro ogni eco-logica che li considera invece ecosistemi naturali che si auto-governano contravvenendo quindi alla Conevenzione sulla Diversità Biologica fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 (ratificata dallo Stato Italiano con Legge 14 febbraio 1994 n.124) e a cui anche l’Unione europea partecipa ai sensi della decisione del Consiglio 93/626/CEE e richiede,la […]
Italia Nostra ha ampiamente manifestato la propria ferma contrarietà a nuove ipotesi di condono, spacciate come decisione vantaggiosa per la ripresa economica della Nazione. Le proposte circolanti in queste giorni e rilanciate dalla stampa, ci anticipano anche ulteriori minacce ai Beni Culturali e al Paesaggio, tutelati dall’art. 9 della Costituzione e alle regole del vivere civile. L’Associazione condivide che si conceda agli operatori della ristorazione il beneficio di un aumento temporaneo e gratuito delle superfici all’aperto per gli usi commerciali, ma ciò non può avvenire superando i vincoli monumentali fissati dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio sugli spazi pubblici aperti e le bellezze artistiche dei nostri centri storici e direttamente connessi alle tutele costituzionalmente garantite. Analogamente, non è ammissibile sottrarre alla pubblica fruizione gli ormai già rari episodi di spiagge libere oggi ancora esistenti sulle coste della Nazione, concedendole ai concessionari privati, a totale discapito delle fasce deboli della popolazione che non vedrebbero più alcuna alternativa alla rinuncia al mare. “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. E’ scritto nella nostra Costituzione. Tali scellerate concessioni affermerebbero il primato inaccettabile dell’interesse privato sull’interesse pubblico. (Comunicato Stampa di Italia Nostra del 13 maggio 2020)
Può l’esposizione a inquinamento atmosferico, sia cronica sia acuta, avere un effetto sulla probabilità di contagio, la comparsa dei sintomi e il decorso della malattia causata dal coronavirus Sars-CoV-2? È questa la domanda che riassume tutti gli interrogativi ancora aperti sui legami tra la qualità dell’aria che respiriamo e gli impatti di Covid-19 sulla salute. È necessario sottolineare che una risposta compiuta al momento non esiste, ma lo sforzo profuso da ricercatori di tutto il mondo è enorme e ogni settimana vengono pubblicate nuove ricerche – in larga parte versioni preliminari, non ancora sottoposte a peer-review – sul tema. Tutte, finora, suggeriscono che l’inquinamento atmosferico sia uno dei fattori in grado di aggravare l’impatto di Covid-19 sulla popolazione. Tra le più note spicca quella guidata all’Università di Harvard dalla ricercatrice Francesca Dominici, già intervenuta su queste pagine spiegando che le evidenze raccolte dal suo team mostrano come sul lungo periodo l’aumento di solo 1 μg/m3 di particolato PM2.5 sia associato ad un aumento del 15% nel tasso di mortalità da Covid-19. Una correlazione che necessita di ulteriori indagini per essere confermata, ma l’ipotesi non stupisce. FINORA LA COMUNITÀ SCIENTIFICA non ha maturato una posizione sui ruoli che l’inquinamento atmosferico può giocare nella pandemia in corso. Allo stato dell’arte molti dubbi sono stati avanzati in particolare sull’ipotesi che l’inquinamento sia in grado di fungere da carrier, ovvero veicolare virus Sars-Cov-2 in grado di trasmettere il contagio ad altre persone. Le evidenze finora raccolte suggeriscono piuttosto che l’inquinamento atmosferico sia uno dei fattori in grado di aggravare l’impatto di Covid-19 sulla popolazione, in quanto più è alta e costante nel tempo l’esposizione a PM più è alta la probabilità che il sistema respiratorio sia soggetto a malattie gravi. Una considerazione valida anche per il fumo da tabacco: le ultime ricerche prese in […]