Marea nera nell’Artico, Putin su tutte le furie: accusa il governatore e le agenzie federali, ma non Norilsk Nickel

 

Il gigantesco sversamento di petrolio nella Siberia settentrionale che ha spinto il presidente della Russia Vladimir Putin a dichiarare lo stato di emergenza federale, è stato causato dal crollo di un serbatoio di gasolio  a Norilsk il 29 maggio nella centrale elettrica della Norilsk-Taimyr Energy Company – NTEK, di proprietà di una filiale di Norilsk Nickel, le cui fabbriche hanno contribuito a rendere l’area circostante una delle più inquinate del pianeta, sta facendo cadere le prime teste.

Durante un’intervista televisiva, Putin ha detto di essere rimasto scioccato nello scoprire che le autorità locali avevano appreso dell’incidente dai social media solo due giorni dopo che era avvenuto e ha duramente rimproverato il governatore della regione di Krasnojarsk, Alexander Uss, e altri funzionari durante un incontro con i burocrati del governo: «Perché le agenzie governative lo hanno scoperto solo due giorni dopo il fatto?

Dovremo scoprire le situazioni di emergenza dai social media? 

State bene in salute laggiù?».

Stranamente, almeno dalle dichiarazioni ufficiali, Putin non se l’è presa con Norilsk Nickel, il più grande produttore al mondo di nichel e palladio, che sul suo sito web ha dichiarato che «l’incidente è stato causato da un improvviso sprofondamento dei punti di supporto nel  seminterrato del serbatoio di stoccaggio» e che le squadre di emergenza «sono immediatamente arrivate sul sito per iniziare i lavori di bonifica».

Il gigante minerario ha dichiarato che la fuoriuscita è avvenuta in un’area remota e che nessuna comunità locale è stata colpita. 

I media russi scrivono che i prodotti petroliferi fuoriusciti, principalmente gasolio, sono andati alla deriva per circa 12 chilometri dal luogo dell’incidente, tingendo di rosso cremisi lunghi tratti del fiume Ambarnaya.

Secondo la televisione di Stato russa, la fuoriuscita ha contaminato 350 chilometri quadrati, un’area grande quanto una volta e mezzo l’Isola d’Elba.

Il direttore dell’NTEK Vyacheslav Starostin è stato messo in custodia giudiziaria dalla magistratura fino al 31 luglio, ma non era stato ancora accusato.

L’ONG ambientalista/scientifica norvegese-russa Bellona evidenzia che «i dettagli della fuoriuscita suggeriscono che il cambiamento climatico avrebbe potuto avere un ruolo.

Da anni, gli esperti  sono preoccupati perché l’aumento delle temperature globali sia riducendo la copertura del permafrost, il mix di ghiaccio e suolo che costituisce circa il 60% della massa terrestre della Russia».

Un allarme rilanciato nel 2018 dall’agenzia meteorologica russa,  Rosgidromet, in un rapporto nel quale affermava che «lo scioglimento del permafrost a causa dei cambiamenti climatici potrebbe minacciare infrastrutture minerarie e altri centri industriali per un valore di decine di miliardi di dollari che sono stati costruiti per decenni sul terreno ghiacciato della Siberia».

Rosgidromet sottolinea che in alcuni luoghi, come la penisola Yamal centro-settentrionale, sede di enormi impianti di estrazione del gas naturale, i livelli del permafrost sono diminuiti di ben 26 centimetri. 

A Nadym, un insediamento petrolifero nella Siberia nordoccidentale, lo strato di permafrost si è ridotto di 38 centimetri.

A Norilsk, dove è avvenuta la fuoriuscita, il permafrost si è ridotto del 22%.

Le associazioni ambientaliste russe sono molto preoccupate perché le dimensioni della marea nera e la conformazione geografica dei fiumi interessati renderanno molto difficile la bonifica che, secondo fonti ufficiali, potrebbe richiedere fino a 10 anni e costare fino a 1,5 miliardi di dollari.

Il Wwf-Russia ha detto che «grazie agli sforzi ben coordinati e immediati di tutti i partecipanti coinvolti nella bonifica della fuoriuscita di carburante vicino a Norilsk, le panne antipetrolio sono state installati tempestivamente dal servizio di soccorso della Marina Federale, prima che che la fuoriuscita raggiungesse il lago Pyasino», ma Aleksey Knizhnikov, capo del programma per la responsabilità ambientale delle imprese del Wwf-Russia, evidenzia che «il contenimento riuscito non significa che elementi tossici non siano entrati nell’acqua del lago.

Sfortunatamente gli elementi più velenosi del gasolio sono composti aromatici come benzolo, toluene, etil benzene, xilene, che si mescoleranno in modo massiccio con l’acqua ed è impossibile raccoglierli usando le panne petrolifere».

Gli esperti dicono che  è importante organizzare immediatamente il monitoraggio dell’acqua nel corso inferiore del fiume Pyasina, dove si trova uno dei territori della Grande riserva naturale statale dell’Artico.

I funzionari governativi hanno detto a Putin che il fiume Ambarnaya è troppo poco profondo per poter utilizzare le chiatte per arginare la fuoriuscita e che la regione remota non ha strade.

Il ministro delle risorse naturali Dmitry Kobylkin ha messo in guardia chi vorrebbe bruciare una così grande quantità di olio combustibile e ha proposto di provare a diluire il gasolio – che affonda più lentamente del petrolio greggio – con i disperdenti, asserendo che «solo il ministero delle emergenze, con il supporto militare, potrebbe affrontare l’inquinamento».

Quando Kobylkin ha suggerito  di pompare la chiazza di gasolio nella tundra adiacente, Putin ha fatto notare che il terreno era già «probabilmente saturo» di idrocarburi.

Mentre Norilsk Nickel ha annunciato una campagna da miliardi di dollari per revisionare i suoi impianti e renderli conformi alle normative ambientali, è continuamente alle prese con incidenti simili, come lo sversamento che nel 2016 fece diventare rosse le acque di un fiume che scorre poco lontano dall’area interessata dall’attuale catastrofe e, nonostante le sue responsabilità fossero evidenti da subito, le ammise solo dopo diversi giorni.

Anche per Greenpeace Russia la causa principale della nuova marea nera è lo scioglimento del permafrost che è sempre più forte e veloce ma aggiunge che proprio per questo le imprese «sono tenute a monitorare i suoli e prevenire la possibile distruzione delle infrastrutture» e fa notare che «l’incidente avrebbe potuto essere evitato se tutte le norme di sicurezza industriale fossero state osservate durante il funzionamento di tali impianti pericolosi. 

Qui, ovviamente, svolge un ruolo i fattore umano».

Per Greenpeace Russia un’altra delle cause è «la mancanza di un’efficace supervisione ambientale e tecnologica da parte dello Stato. 

Ora è difficile condurre un’ispezione non programmata delle imprese, per farlo è necessario ottenere il permesso della procura».

Gli ambientalisti russi ricordano che la bonifica di un incidente di questo tipo può richiedere mesi, ma che alla fine non è possibile raccogliere più del 10% dei prodotti petroliferi. 

«Dopo aver eliminato le conseguenze, l’impresa dovrebbe preparare un progetto per il ripristino dell’ambiente interessato. 

Il ripristino della copertura del suolo può richiedere diverse stagioni estive, perché nell’Artico puoi lavorare solo durante la breve estate. 

Ma qui è importante capire che i prodotti petroliferi rimasti in natura avveleneranno gli ecosistemi acquatici per molti anni a venire».

Secondo i calcoli di Greenpeace, «il danno ambientale ai corpi idrici nel solo Taimyr supera i 6 miliardi» e se si tiene conto anche dei danni al suolo e all’atmosfera, «l’importo può ammontare a decine di miliardi».

L’ittiofauna sarà la prima a soffrire per il disastro.

Attualmente la concentrazione massima ammissibile di gasolio nell’acqua vicino al luogo dell’incidente è stata superata di decine di migliaia di volte e Greenpeace dice che «nessun pesce in questa zona sopravviverà. Inoltre, gli uccelli acquatici e gli animali che bevono l’acqua possono essere colpiti. Il diesel si depositerà sul fondo e inquinerà un’area significativa durante le alluvioni».

Ma quello che sta accadendo potrebbe essere solo un avvertimento: nella zona del permafrost ci sono molti edifici, strutture per lo stoccaggio di prodotti petroliferi, oleodotti e gasdotti, reattori nucleari, che sono a rischio. 

Secondo alcune stime, oggi, a causa dello scongelamento e del degrado dei terreni del permafrost, «nei campi petroliferi della Siberia occidentale, ci sono circa in media 7,400 incidenti all’anno, di cui circa 1,900 nel circondario autonomo dei Khanty-Mansi». 

E gli scienziati avvertono che il 45% dei giacimenti di petrolio e gas nell’Artico russo si trovano in una zona ad alto rischio, dove, entro il 2050, il previsto disgelo del permafrost potrebbe causare gravi danni alle infrastrutture.

Nel 2009, Greenpeace ha pubblicato un rapporto che valuta i rischi per gli impianti petroliferi  e del gas  derivanti dallo scioglimento del permafrost.

Attualmente il gasolio è il combustibile base dell’industria nell’Artico. 

Il diesel viene utilizzato nei trasporti e per produrre energia elettrica nelle aree remote. 

Greenpeace sottolinea che «i rischi legati al gasolio iniziano dal momento del suo trasporto per migliaia di chilometri verso le remote aree del Nord. 

In questo momento, può verificarsi la depressurizzazione dei serbatoi e quindi i prodotti petroliferi si sverseranno nella fragile natura settentrionale. 

Il carburante consegnato viene immagazzinato in serbatoi di diversi volumi, che si trovano sul permafrost. 

Anche questo può potenzialmente portare a fuoriuscite e a inquinamento ambientale».

L’alternativa al diesel è l’energia rinnovabile: «Già ora nell’Artico russo ci sono esempi di successo dell’uso di impianti eolici e solari – fanno notare a Greenpeace Russia –  Ad esempio, a Tiksi è stato recentemente inaugurato un parco eolico. 

La regione di Norilsk ha uno dei più alti potenziali per lo sviluppo dell’energia eolica. 

I parchi eolici possono produrre energia elettrica, che può essere utilizzata anche per l’approvvigionamento di calore. 

La generazione di energia stabile può essere supportata da batterie agli ioni di litio e idrogeno generato dall’energia eolica».

Ma l’attuale rete di distribuzione dell’energia nell’Artico Russo è un colabrodo inefficiente. 

Secondo le stime del direttore generale del Centro per l’efficienza energetica – XXI secolo I. A. Bashmakov, «solo eliminando i problemi di riscaldamento e modernizzando i sistemi di illuminazione nelle regioni settentrionali si potrebbe risparmiare il 35–45% di elettricità. 

Il potenziale di risparmio per  il calore è ancora maggiore e, insieme all’isolamento delle facciate degli edifici, può raggiungere il 60-70%».

Greenpeace Russia denuncia: «La sicurezza ambientale dovrebbe essere una priorità, non gli interessi commerciali. 

Ora vediamo la situazione opposta e un terribile esempio di quello a cui può portare». 

Per questo Greenpeace ha inviato una lettera al governo russo con due richieste:ordinare un’immediata verifica non programmata della conformità alla legislazione (inclusa la verifica della conformità agli standard tecnici) in tutti gli impianti  dell’Artico che contengono una quantità significativa di petrolio o prodotti petroliferi.

Garantire e  controllare direttamente il calcolo oggettivo del danno che si è verificato con l’incidente, nonché del completo ripristino di tale danno.

Greenpeace Russia ha anche inviato un appello alla Duma – il Parlamento federale russo –  con una richiesta di presentare proposte per modificare le leggi federali esistenti per  «l’abolizione della necessità di un coordinamento con le autorità giudiziarie per condurre ispezioni straordinarie nel campo della protezione ambientale; Introduzione dell’obbligo per gli organi di controllo statale nel campo della protezione ambientale di condurre controlli dopo aver ricevuto  informazioni (sia sotto forma di appelli che di pubblicazioni) su possibili minacce significative per la popolazione e l’ambiente; Introduzione della responsabilità per i dipendenti degli organi di controllo statali nel campo della protezione ambientale in caso di rifiuto di condurre ispezioni nei casi di cui sopra».

Greenpeace Russia conclude: «L’incidente di Taimyr dimostra che è impossibile indebolire ulteriormente la legislazione ambientale. 

Vediamo già che il sistema non funziona e le proposte dell’associazione delle grandi imprese russe per indebolire ulteriormente la supervisione ambientale e l’approvazione di queste proposte da parte del governo possono portare a conseguenze ancora più tristi. 

Ora è il momento di pensare a rafforzare il controllo ambientale e prevenire simili disastri in futuro».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 5 giugno 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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