Bike sharing e Roma, un matrimonio difficile: da Veltroni a Raggi una storia di fallimenti

 

C’era una volta il bike sharing.

Potrebbe iniziare così, come le favole che si raccontano ai bambini, la narrazione sulla tormentata relazione tra la Capitale e le biciclette in modalità condivisa.

Una storia di continui approcci, spesso naufragati dopo pochi mesi.

Alcune volte in maniera plateale, e stigmatizzabile, con tanto di bici lanciate nel Tevere

Il primo approccio

Il primo tentativo di sperimentare lo sharing a Roma risale al lontano 2008.

All’epoca gli smartphone neppure esistevano e per utilizzare una delle 250 biciclette che il sindaco Veltroni aveva fatto recapitare nella Capitale, occorreva seguire una scrupolosa procedura.

I mezzi si sbloccavano solo passando una tessera sulla colonnina a cui il mezzo veniva ancorato.

Ma prima bisognava recarsi in un punto d’informazione turistica.

Ed occorreva registrarsi, versando una cauzione di 30 euro a cui sommare altri euro con cui caricare la card magnetica. Insomma un percorso ad ostacoli adatto solo ad utenti estremamente motivati.

Il bike sharing di ATAC

Anche Alemanno ha sperimentato la strada del bike sharing. 

Insediatosi nel 2008 il nuovo Sindaco ha cancellato il contratto con l’azienda spagnola Cemusa, a cui si era affidato il predecessore.

L’intenzione del nuovo primo cittadino era infatti quella di puntare su una società pubblica, l’ATAC.

Ma la nuova flotta capitolina, inizialmente dotata di 450 mezzi, è stata progressivamente depredata.

L’esperimento, anche in questo caso, si è rivelato fallimentare.

Per i furti.

Ma anche per una modalità di accesso ai mezzi che continuava ad essere farraginosa.

E che imponeva il versamento d’una quota per ottenere, in uno dei pochi punti accreditati, la solita card magnetica.

I primi tentativi di flow floating

La tormentata storia d’amore tra la Capitale e le bici in modalità condivisa, ha conosciuto un’accelerazione durante la giunta Raggi.

Con la Sindaca pentastellata, convinta sostenitrice della mobilità sostenibile, sono arrivati nuovi operatori.

La amministrazione grillina, sulla scorta di quanto sperimentato anche in altre città italiane, ha deciso di puntare sul flow floating.

Niente stalli per le bici che i 5 stelle mettono a disposizione della Capitale.

E così nel 2017 arrivano GobeeBike e O-Bike. 

La prima lascia la città eterna nel febbraio del 2018, la seconda resiste un po’ di più ma l’epilogo è comunque drammatico.

Anche la società, nata a Singapore ed approdata a Roma con le migliori intenzioni, sul finire dello stesso anno lascia la città. 

La parabola di Jump

Gli ultimi capitoli della tormentata storia d’amore tra Roma e le bici in modalità sharing, è stata scritta da Jump Uber.

Le e-bike, giunte nell’Urbe alla fine del 2019, sembravano destinate a conquistare il cuore dei romani.

La Capitale è la prima città a raggiungere i 100mila chilometri e nel momento di massimo splendore sulle sue strade circolano 2800 bici rosse a pedalata assistita. 

Poi è arrivato il nuovo Coronavirus ed il conseguente lockdown durante il quale, comunque, l’azienda ha continuato a mettersi a disposizione della città.

E per l’occasione ha anche ritoccato al ribasso le tariffe, divenute particolarmente vantaggiose.

Nella fase 2 però Uber e Lime, azienda californiana leader nel settore del mobility sharing, hanno raggiunto un accordo.

In Europa è in fase di definizione, mentre negli Usa è già operativo.

Il risultato è che Uber, nelle ultime settimane, ha riportato la gran parte delle biciclette in circolazione a Roma nei propri magazzini.

Greta: l’ultima e-bike in condivisione

Ad oggi, quindi, al netto del progressivo abbandono di Jump, resiste solo Helbiz.

Ha tentato l’avventura portando, sul finire del 2019, 100 modelli di Greta: una bici a pedalata assistita che, con il passare dei mesi, è stata potenziata nella flotta.

Ed arriva anche nei quartieri più periferici.

Un aspetto tutt’altro che secondario visto che, solitamente, il servizio di sharing è stato destinato solo alle strade del centro cittadino. Una novità che potrebbe fare la differenza.

Almeno questa è la speranza di chi, a dodici anni dall’avvio della storia, vorrebbe concludere questa narrazione con un bel lieto fine.

(Articolo di Fabio Grilli, pubblicato con questo titolo l’11 giugno 2020 sul sito online “Roma Today”)

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N.B. – Nella storia dei fallimenti di Roma il giornalista ha dimenticato di includere il servizio di bike sharing finanziato dalla pubblicità, che dovrebbe essere assegnato per 10 anni a seguito di un regolare bando di gara e che avrebbe garantito regole certe ed un utilizzo esteso a tutta la città.

La previsione di un servizio del genere è stata  inserita dal Sindaco Marino nella 1° fase della riforma dei cartelloni pubblicitari.

La 2° fase della riforma è stata portata avanti dalla Raggi con l’approvazione dei Piani di Localizzazione che sono stati approvati dalla Giunta Capitolina con deliberazione n. 243 del 13 novembre del 2017: a distanza di 2 anni e mezzo deve essere portata a conclusione la 3° fase della riforma con l’espletamento dei bandi di gara e l’assegnazione del servizio per 10 anni a chi si aggiudicherà l’appalto.

In tutto questo frattempo la Sindaca non si è di certo dimostrata una vera sostenitrice della mobilità sostenibile, considerato che –  malgrado i ripetuti fallimenti di cui non vuole ostinatamente fare tesoro – continua ad affidarsi ciecamente proprio alle ditte multinazionali contro cui si sono scagliati i detrattori del servizio di bike sharing finanziato dalla pubblicità, nella presunzione di un loro monopolio, per avere in cambio quello che a tutti gli effetti è soltanto un servizio di noleggio delle bici affidato ad un oligopolio.

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

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