Per salvaguardare la biodiversità è necessario istituire aree protette in tutti i climi

 

Per ridurre la diffusa perdita di biodiversità e proteggere gli habitat vulnerabili, i Paesi di  tutto il mondo hanno istituito aree protette, ma  le specie e gli ecosistemi si sono adattati a climi particolari e, visto il rapido cambiamento climatico in corso, dentro a al di fuori confini delle aree protette, le specie si spostano per cercare condizioni adatte alla loro sopravvivenza anche in territori non protetti, dove le attività antropiche provocano un potenziale degrado della conservazione delle specie.

Lo studio “Keeping pace with climate change in global terrestrial protected areas”, pubblicato recentemente su Science Advances  da un team di ricercatori statunitensi,  fornisce un’ampia analisi di come le aree protette continueranno a ospitare i climi adatti per le specie animali e vegetali anche in futuro. 

Il team di ricercatori costituito da Paul Elsen, Adina Merenlender ed Eric Dougherty del Department of environmental science, policy, and management dell’università della California – Berkeley, Bill Monahan dell’USDA Forest Service e dalla Wildlife Conservation Society, utilizzando i dati di diversi importanti modelli climatici globali e le mappe delle aree protette, ha prima determinato come ci si aspetta che il clima cambi a livello globale all’interno di tutte le aree protette terrestri e ha scoperto che «nei prossimi 50 – 80 anni, la quantità totale di terra protetta situata in climi caldi e freddi, in una vasta gamma di precipitazioni annuali, dovrebbe diminuire in modo significativo».

Merenlender  spiega: «Abbiamo calcolato che la maggior parte dei Paesi non riuscirà a proteggere oltre il 905 del loro clima disponibile ai livelli attuali, costringendo molte specie a spostarsi in territori non protetti».

Ad Essere influenzati in modo sproporzionato saranno gli ecosistemi o le specie adattati a specifiche condizioni climatiche, come quelli nelle foreste tropicali e subtropicali di latifoglie umide, le foreste boreali, la tundra, le savane, le praterie e gli arbusteti.

I ricercatori statunitensi  hanno quindi testato come potrebbero funzionare diverse strategie di mitigazione e adattamento per limitare la quantità di cambiamento che le specie potrebbero sperimentare nelle aree protette all’interno dei Paesi, riducendo così la vulnerabilità delle specie. 

Ad esempio, hanno studiato se l’attenuazione delle emissioni di gas serra o l’aggiunta di nuove aree protette fossero più efficaci per costruire la resilienza ai cambiamenti climatici. 

Elsen fa notare che «le aree protette sono preziose per preservare la biodiversità, ma laddove tali aree protette sono posizionate in relazione ai climi disponibili possono avere un’enorme influenza sulla loro capacità di ridurre la vulnerabilità delle specie ai cambiamenti climatici».

Gli autori dello studio ritengono che «se i Paesi di tutto il mondo dovessero espandere le aree protette per raddoppiare la diversità dei climi protetti, in futuro conserverebbero il 118% in più di superficie terrestre degli attuali climi protetti. 

Al contrario, la riduzione delle emissioni di gas serra in conformità con gli obiettivi globali aumenterebbe del 102% la conservazione dei climi attualmente protetti».

Elsen evidenzia che «se adottiamo una strategia per aumentare la protezione che cerchi  di massimizzare la diversità dei tipi di clima rappresentati nelle aree protette, ad esempio freddo, caldo,  umido, temperato, arido, ecc., avremo maggiori possibilità che le aree protette continueranno a comprendere le condizioni climatiche che supportino la biodiversità attualmente protetta».

Il team di ricercatori è rimesto sorpreso nello scoprire che  «semplicemente la creazione di aree più protette non era la soluzione per costruire la resilienza». 

Merenlender sottolinea: «Che si tratti dell’”half-earth” o di un obiettivo più modesto, abbiamo bisogno di più aree protette ma devono essere climate smart.

Questo significa  proteggere l’intero range di tipi di clima, altrimenti i parchi non proteggeranno la biodiversità come previsto per il futuro».

All’università della California – Berkeley  sono convinti che «il potenziale di conservazione a lungo termine delle aree protette dipende da un attento mantenimento delle condizioni biotiche e abiotiche appropriate che promuovono la biodiversità» e gli autori dello studio sottolineano che  «le decisioni sull’utilizzo del suolo, di natura socio-economica, devono tener conto anche della conservazione e della salute dell’ecosistema».

Elsen spiega ancora: «Le specie che inseguono il clima in terreni non protetti possono trovarsi di fronte a territori fortemente modificati dall’agricoltura, dalle infrastrutture, dallo sviluppo urbano e da altre attività umane, quindi è ancora fondamentale che lavoriamo per aumentare l’idoneità alla biodiversità delle terre non protette».

Per questo lo studio comprende raccomandazioni per la pianificazione di aree protette che in futuro siano in grado di proteggere meglio la biodiversità e che siano più resilienti ai cambiamenti climatici a lungo termine.

(Articolo pubblicato con questo titolo il 25 giugno 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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