L’estate delle vacanze «fai da te» ad alta quota, dal Trentino alla Val d’Aosta

 

Per la presenza di ampi spazi da vivere in libertà e per una stagionalità più lunga, la montagna viene vista dai turisti come la meta favorita per le vacanze estive 2020.

La sensazione è confermata da uno studio condotto dall’Università della Valle d’Aosta e dalla Libera Università di Bolzano su un campione di oltre millecinquecento italiani intervistati.

La ricerca ha indagato gli orientamenti dei consumatori nel settore turistico in seguito all’emergenza Covid-19 ed emerge che – se il 30% degli italiani rinuncerà alle vacanze per vari motivi- tra chi invece continuerà ad andare in ferie la montagna viene considerata più sicura sia del mare che delle città.

La propensione a sentirsi tutelati aumenta considerando come periodo di riferimento i mesi di agosto e settembre, le strutture ricettive più utilizzate saranno gli appartamenti e le seconde case.

«Inoltre i risultati dello studio mostrano che il turista ha la necessità di ricevere informazioni il più possibile in tempo reale – spiega Consuelo Nava, docente Univda-, soprattutto in merito al grado di affollamento di attrazioni e percorsi turistici».

ASTOI, CHE PER CONFINDUSTRIA VIAGGI rappresenta il 90% del mercato tour operating, riguardo al turismo in montagna evidenzia un orientamento su Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta come macro aree, mentre tra le singole località spiccano «Cortina, Corvara, Courmayeur e Cervinia».

Le strutture a media altura sono tra quelle preferite, per una vacanza «orientata alle passeggiate nel verde».

La durata della vacanza è in media di una settimana, in contrazione rispetto al passato.

«La maggior parte delle richieste arrivano dal nord Italia anche se non manca la richiesta dal centro; di minore importanza invece le prenotazioni provenienti dal sud».

Il confronto con il 2019 al momento non è significativo in quanto gli stessi operatori hanno iniziato a raccogliere da appena un mese le prenotazioni.

SE LA VACANZA FAI DA TE SEMBRA la soluzione più gettonata, la situazione legata al Coronavirus ha però imposto sia al legislatore che alle amministrazioni locali l’introduzione di alcune limitazioni.

Si tratta di misure che incidono sull’accesso alle strutture ricettive in quota anche per il turismo pendolare e che pongono delle restrizioni per quanto concerne i servizi erogati dai professionisti.

Frequentare i rifugi non è più semplice come in passato: il club alpino italiano ha dotato le proprie strutture di un kit di sanificazione anti Covid-19, ma a creare i maggiori disagi a gestori e clienti è soprattutto il distanziamento sociale.

Molte strutture hanno locali di piccole dimensioni per mangiare e camerate comuni per dormire, aspetto che limita coperti e posti in misura maggiore rispetto ai grandi hotel.

Il centro di ricerca Nat Risk dell’Università di Torino ha avviato una ricerca su tutto l’arco alpino contattando oltre 600 gestori.

Oltre il 50% dei custodi stima un incremento dei costi da sostenere tra il 20 e il 40%, mentre l’effetto Covid-19 sui ricavi vede un calo previsto fra il 40% ed il 60%, una diminuzione che rispecchia un numero atteso di visitatori minore.

Con una stagione che è iniziata in ritardo è difficile fare previsioni ma anche il coordinamento nazionale rifugi condivide le stesse stime: «Su scala nazionale crediamo che ci sarà una diminuzione del 60% delle prenotazioni – spiega il presidente Angelo Iellici-. L’impatto potrebbe essere più marcato al nord: nelle aree di confine l’afflusso nelle strutture riguarda gli stranieri al 70%, mentre nei rifugi al sud si tratta di un turismo prevalentemente domestico che potrebbe risentirne meno. Comunque le prenotazioni degli stranieri stanno tornando, compatibilmente con le norme sugli spostamenti tra nazioni».

La riapertura degli impianti a fune potrà spingere ulteriormente la frequentazione delle strutture in quota.

«Abbiamo proibito il servizio al banco e abbiamo perso diversi coperti e posti letto per ogni rifugio – spiega Stefano Sinuello, gestore del rifugio Pelizzo e presidente dell’associazione di categoria in Friuli Venezia Giulia – Alcuni gestori avevano aperto già a Pentecoste, speriamo che il turismo pendolare regga. Per ora abbiamo riscontrato una gran voglia di tornare in montagna.

Tra gli stranieri, specialmente i tedeschi sembrano confermare l’intenzione di venire da noi».

OGNI REGIONE – o Provincia Autonoma nel caso di Trento e Bolzano – ha la possibilità di normare secondo la propria sensibilità, ma i protocolli e le linee guida anti Covid sono giustamente piuttosto uniformi, per lo meno sull’intero arco alpino.

In Alto Adige i rifugi Cai sono stati tra i primi a riaprire, con pernotti solo su prenotazione: «La risposta è buona ma ovviamente ci sono molte questioni aperte – sottolinea il presidente del sodalizio alpino Riccardo Cristoforetti – Per esempio i gestori devono fare rispettare le norme non solo all’interno delle stesse strutture, ma anche nelle pertinenze esterne, che in alcuni casi non sono facili da controllare.

E pur non essendo obbligatorio misurare la temperatura all’ingresso, nel riscontro di un caso positivo bisognerà allontanare la persona febbricitante e farla accompagnare a valle dal soccorso alpino».

Talvolta i rifugi hanno spazi esterni anche grandi, nell’ordine di centinaia di metri quadri di prato, ma si spera che i custodi non siano chiamati a fare gli sceriffi, anche perché spesso non hanno personale a sufficienza per assolvere ai compiti di sorveglianza che si sono aggiunti.

SEMPRE PER RAGIONI SANITARIE sono state inoltre chiuse le capanne sociali autogestite, perché non potrebbe essere garantita la sanificazione degli ambienti.

I bivacchi invece rimarranno aperti per assicurare riparo in caso di emergenza o brutto tempo.

Per la stessa ragione anche i rifugi, qualora fossero chiusi o già al completo, dovranno comunque garantire l’accoglienza in caso di maltempo.

Al di là dell’utilizzo delle strutture, anche per i professionisti della montagna cambiano le regole, ma per il turista la possibilità di svolgere attività in accompagnamento è comunque garantita.

Guide alpine e accompagnatori di media montagna hanno ripreso a lavorare, anche se mancano le scolaresche e i gruppi di clienti non possono più essere numerosi come prima: «Abbiamo stimato una diminuzione del lavoro nell’ordine circa del 40% – spiega Pietro Giglio, presidente del collegio nazionale-. È soprattutto il mercato straniero che rischia un forte calo, ma per quanto riguarda il rispetto delle norme i nostri professionisti si sono allineati secondo le linee guida e tutte le attività si possono ancora svolgere.

La responsabilità sul rispetto delle norme da parte dei clienti investe anche guide e accompagnatori, che dovranno vigilare a riguardo».

Il vademecum del collegio prevede distanze di sicurezza variabili a seconda delle varie attività e situazioni particolari (2 metri per le escursioni, 5 per l’alpinismo in ghiacciaio, 10 in caso di vento).

Per quanto riguarda le attività, sono tutte praticabili: arrampicata sportiva e alpinistica, così come il canyoning, nonostante lo si svolga in ambienti umidi.

(Articolo di Guido Sassi, pubblicato con questo titolo il 25 giugno 2020 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)

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