Contadini ma diversi

 

La barba folta, il fisico asciutto e l’espressione di chi vede sempre dietro alle cose per come appaiono.

In questi giorni inediti e caotici, in cui riflettere sui sistemi di produzione e distribuzione del cibo è passato dall’essere un esercizio per ricercatori e intellettuali a una questione di sopravvivenza, non potevo che rivolgermi a lui: Nicola Savio, un pensatore sistemico e fuori dagli schemi che di mestiere fa l’agricoltore.

NICOLA HA UNA STORIA PARTICOLARE. 

È diventato agricoltore per caso.

Nella sua «vita precedente» lavorava nella ristorazione e viveva in un appartamento a Torino assieme alla compagna Noemi e a tre cani.

Un po’ troppi per un appartamento cittadino.

Da qui la decisione di trasferirsi nelle campagne vicino a Ivrea, quindi di licenziarsi, infine di iniziare a coltivare la terra.

Prima però studia.

Ha una mente brillante e impara in fretta. In questi anni a metà, con la testa fra i libri e le mani nella terra, passa dall’agricoltura naturale, all’agricoltura sinergica e approda alla permacultura, un metodo di progettazione sistemica.

Attualmente, oltre a portare avanti la sua microfattoria familiare, Officina Walden, commercia macchinari innovativi per un’agricoltura a bassissimo impatto ambientale.

Gli ho telefonato per avere una lettura della situazione della piccola agricoltura da parte di chi la conosce dall’interno: comprendere le criticità di questo momento e scovare le opportunità nascoste.

D’altronde Nicola fa parte, e non a caso, della schiera di coloro che hanno visto la domanda di prodotti crescere vertiginosamente in tempi di coronavirus.

SOLUZIONI VECCHIE PER UN PROBLEMA nuovo.

Code interminabili all’ingresso dei supermercati, acquisti online in palla.

L’emergenza ha messo a nudo i limiti strutturali di un sistema, quello attuale, che ha bisogno di massimizzare l’efficienza a discapito della resilienza.

Basta un aumento della richiesta e qualche ritardo nelle consegne per mandare al tappeto uno dei comparti chiave per la nostra sopravvivenza.

Ed ecco che torna di moda l’agricoltura contadina, la produzione di piccola scala: varia, resiliente, sostenibile.

Eppure mentre alcune aziende vedono moltiplicarsi le richieste, altre sembrano entrate in una crisi profonda.

La crisi apre una finestra di cambiamento della filiera alimentare, ma il dibattito pubblico sembra arenarsi su posizioni stantie: più aiuti all’agricoltura, riapertura dei mercati contadini, poco altro.

«HO L’IMPRESSIONE – SPIEGA NICOLA – che stiamo provando a risolvere un problema non classico adottando soluzioni classiche.

Se le uniche richieste dei piccoli agricoltori sono i finanziamenti pubblici e la riapertura dei mercati non abbiamo risolto niente, è come mettere un cerotto su un taglio che mi parte dall’inguine e mi arriva fino al collo».

Il nostro paese, così come l’Unione europea, ha spesso adottato nei confronti dei piccoli agricoltori quella che potremmo definire una strategia-panda: trattarli come una specie in via di estinzione.

Abbiamo cercato di preservare i contadini senza però riservargli un ruolo nella società e la loro difesa è diventata una battaglia spesso più retorico-ideologica che pratica.

«Questo sistema ci ha solo permesso di sederci su un comodo cuscino.

Non devo pensare a niente: io produco e porto la merce al mercato, se vendo bene se non vendo mi arrabbio per ottenere delle sovvenzioni sempre più risicate e inarrivabili.

Così non fai impresa, non c’è sviluppo».

QUINDI COSA POSSIAMO FARE? 

Quali soluzioni abbiamo nel cappello, o per meglio dire nel paniere?

«Possiamo osservare i modelli che stanno funzionando e prenderne spunto – continua Nicola – penso alle Csa (un modello comunitario di gestione dei terreni e di pianificazione della produzione, ndr), o in generale a modelli che costruiscono una relazione diretta e continuativa con i clienti, adattandosi alle loro esigenze.

Per anni abbiamo cercato di aggregare le persone costringendole a venire al mercato contadino o al Gruppo d’acquisto.

Il che è molto bello sulla carta, ma rischia di ridurre la fetta di clienti potenziali, aumentare la competizione interna fra i piccoli produttori e in definitiva avvantaggiare la Grande distribuzione organizzata».

AL CONTRARIO, L’AGRICOLTURA CONTADINA potrebbe diversificare i canali di distribuzione.

«Spesso i modelli che stanno funzionando si basano sulla prevendita di pacchetti annuali, che prevedono forniture settimanali.

C’è chi si è organizzato per effettuare consegne direttamente a casa, chi per il ritiro delle cassette in azienda, chi vende tramite piattaforme di e-commerce o persino chi ha fatto gruppi Whatsapp».

In questa maniera, nel loro complesso, le piccole aziende riescono a raggiungere una clientela più vasta e diversificata e diventano un tassello fondamentale della resilienza e della sicurezza alimentare.

Quindi è necessario pianificare e diversificare la produzione.

La «strategia-panda» ha spesso annullato la necessità di pianificare la produzione in relazione alla domanda.

Se la piccola agricoltura va tutelata in quanto tale, pianificare diventa superfluo.

«L’idea di base è sempre stata: io produco, poi se vendo bene, altrimenti mi aiuta lo stato.

Ma così viene meno l’obiettivo vero dell’agricoltura, che sarebbe quello di sfamare le persone.

Per tornare a svolgere un ruolo centrale e utile la piccola agricoltura deve ritrovare la capacità di pianificare la produzione».

FARE PIANIFICAZIONE, QUANDO si mettono in piedi modelli di relazione diretta con i clienti, diventa relativamente semplice: si conoscono in anticipo quante cassette di verdure a settimana si devono produrre e in base a quello si decide quanto piantare, calcolando eventuali margini di errori e una percentuale di sovrapproduzione per il consumo personale.

UN ALTRO «MOSTRO» PARTORITO dalla «strategia-panda» è quello delle piccole coltivazioni iperspecializzate.

Se l’agroindustria produce cibo su larga scala per sfamare la massa, un ramo della piccola agricoltura ha ripiegato (ingolosita dai finanziamenti) su prodotti di alta qualità per piccole nicchie benestanti.

Anche in questo caso vengono a galla i limiti delle politiche agricole: «L’agricoltura dovrebbe essere l’apice della resilienza: diversificare, in modo che se non va bene una coltivazione ne va bene un’altra.

E se proprio va malissimo mangio io e dopo vediamo.

Invece i finanziamenti ti portano a fare scelte sbagliate.

E adesso per questi piccoli produttori sarà dura: se hai piantato solo prodotti di nicchia che vendi a 50€ al kg, chi te li compra in piena crisi di liquidità?».

Di fronte alla crisi della filiera alimentare – crisi strutturale che va al di là dell’emergenza – l’agricoltura contadina è richiamata a svolgere un ruolo essenziale.

«SPESSO NEL DIBATTITO PUBBLICO – conclude Nicola – affermiamo che dobbiamo difendere l’agricoltura contadina, ma se qualcuno chiede perché, in pochi sanno rispondere.

Per me adesso bisogna supportare la piccola agricoltura contadina perché si sta dimostrando l’unica che riesce a portare il cibo a casa».

(Articolo di Andrea Degl’Innnocenti, pubblicato con questo titolo il 2 luglio 2020 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)

****************************

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vas