In Italia più olio di palma nei motori che nei biscotti

 

Nel suo nuovo dossier “Più olio di palma nei motori che nei biscotti, la mappa degli impianti in Italia”, Legambiente denuncia che «con l’olio di palma, le cui piantagioni sono la principale causa di deforestazione mondiale, non produciamo solo biscotti o detergenti ma soprattutto biocarburanti e bioenergie: il 67% delle importazioni di olio di palma in Europa e il 70% in Italia.

Siamo, infatti, uno dei paesi europei che più consuma olii vegetali alimentari per l’energia, perlopiù all’insaputa dei consumatori e con costi aggiuntivi».

Dal dossier del Cigno Verde emerge «per usi energetici, in Italia abbiamo bruciato nel 2019 oltre un milione di tonnellate di olio di palma, 150 mila tonnellate di olio di semi di girasole, 80 mila tonnellate di olio di soia.

Per la quasi totalità prodotti in piantagioni indonesiane e malesi, a danno di una delle maggiori foreste tropicali al mondo che ha perso negli ultimi vent’anni alberi e torbiere per oltre 33 milioni di ettari.

Un danno incalcolabile per il clima (ogni litro di olio di palma comporta il triplo delle emissioni di CO2 di un uguale volume di gasolio fossile) e per la biodiversità (distruggiamo l’habitat di specie vegetali e animali come l’orango, la tigre e il rinoceronte) che produce, inoltre, rischi di diffusione delle nuove zoonosi».

Secondo il rapporto “Più olio di palma e di semi di colza nei nostri serbatoi che nei nostri piatti – Dieci anni di politiche europee sui biocarburanti” di Transport&Environment,  «nel 2019 i conducenti europei hanno bruciato nei loro motori 20 volte più olio di palma di quanto ne ha usato la Ferrero per tutta la Nutella e i Kinder consumati nel mondo; 15 volte di più di quanto consumato dal gruppo Mondelez (Oreo) per i loro biscotti, quattro volte di più dell’olio di palma impiegato da Unilever per tutti i propri prodotti detergenti in tutto il mondo».

Andrea Poggio, responsabile mobilità di Legambiente mette in guardia parlamentari, governo e consumatori: «Mentre sulle confezioni o sui siti web dei prodotti alimentari o dei detergenti e dei cosmetici è riportata la loro composizione, i distributori di carburante o i produttori di energia elettrica che bruciano olio di palma lo nascondono nella migliore delle ipotesi, giustificano il sovraprezzo propagandando caratteristiche genericamente green, rinnovabili o vantaggi ambientali inesistenti.

Greenwashing, come ha appurato il 15 gennaio scorso l’Autority a proposito dell’Eni-diesel+ del nostro principale ente petrolifero».

Partendo dai dati del Gestore Servizi Energetici nazionale, Legambiente ha fatto qualche conto sui costi che cittadini e imprese sostengono indirettamente a favore dei petrolieri per la distruzione delle foreste: «Ogni automobilista italiano paga, in media, 16 euro all’anno per le così dette rinnovabili nel serbatoio, una cifra complessiva di circa 300 milioni di euro nel 2019 per la sola componente olio di palma (quasi metà del biodiesel).

Inoltre, cittadini e imprese, pagano nella bolletta elettrica una piccola quota aggiuntiva per i biocombustibili (che sono per il 69% da olio di palma e di soia): quasi 600 milioni di euro di sussidi attribuibili alla sola componente degli oli alimentari».

Poggio fa notare che «quindi, poco meno di 900 milioni di euro all’anno per distruggere foreste in tutto il mondo e aumentare le emissioni di CO2; tra l’altro in aperta violazione della nuova direttiva europea sulle energie rinnovabili che impone la comunicazione della composizione e della fonte del carburante e dell’elettricità venduta al consumatore».

Per questo, Legambiente ha recentemente scritto ai senatori della Commissione affari europei del Senato e ai ministri dello sviluppo economico e dell’ambiente, presentando proposte di emendamenti al disegno di legge sul recepimento della nuova direttiva rinnovabili, attualmente in discussione al Senato, «affinché pongano fine al più presto all’“inganno verde”.

Bruciare olio di palma, di soia e altri oli alimentari non fa bene all’ambiente e non deve più essere sussidiato per legge: è un “sussidio ambientalmente dannoso” pagato dai cittadini senza ragione».

Una petizione, lanciata dall’associazione, per l’abbandono dei sussidi legali all’olio di palma e di soia entro il primo gennaio 2021, rivolta al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ha già raccolto 60 mila firme.

In risposta a Legambiente, l’assemblea societaria del 13 maggio di Eni, il principale gruppo petrolifero nazionale, che pure nel 2019 ha importato 246 mila tonnellate di olio di palma, ha annunciato che entro il 2023 abbandonerà l’uso dell’olio di palma e conterrà al 20% gli altri oli alimentari nella produzione di biodiesel.

Ma Legambiente evidenzia che «Eni rappresenta “solo” un quarto delle importazioni dell’olio di palma bruciato in Italia.

E tutti gli altri?

Potranno andare avanti a commerciarlo lucrando a spese dei cittadini ignari e dell’ambiente?»

Dal dossier viene infatti fuori che «oltre alle due grandi bioraffinerie Eni, vanno infatti segnalate per importanza l’indonesiana Musim Mas, nel porto industriale di Livorno, che importa olio di palma che vende in tutta Europa, e la Bunge nel porto industriale di Ravenna.

Decine di traders e agenti commerciali forniscono oli di palma e soia alle 477 mini centrali – diesel – che producono elettricità inquinando come 5 mila autoarticolati a piena velocità autostradale».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 6 luglio 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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